Johannes Brahms, l’immobile fervore di una musica eterna

di Carlotta Travaglini del 12/05/2017

Massimo musicista del tardo romanticismo tedesco, Johannes Brahms è considerato ancora oggi uno dei maggiori esponenti della disciplina musicale. Solo analizzandolo da un preciso contesto possiamo osservarne da fuori le scelte compositive ed inserirle in una gradualità, dunque farle nostre. Questo compositore è stato oggetto di numerose discussioni, volte ad avvalorare in un senso o in un altro il suo lavoro musicale, tant’è che è quasi impossibile procurarsene un’idea precisa, che sia assoluta. Già Richard Wagner si adira, ai tempi, contro questo severo “principe della musica”, schierandosi ironicamente in difesa del celebre detto di Felix Mendelssohn «ognuno compone come può» (“Sulla composizione letteraria e musicale”, edito per la prima volta nel Bayreuther Blatter nel 1879).
Molti lo considerano un capostipite di un’idea musicale: “Un maestro dell’arte se n’è andato per sempre, un maestro più grande sboccia in Brahms”; così si pronuncia, nell’anno di morte del compositore, Felix Mendelssohn-Bartholdy, Edouard Marxsen, il più importante insegnante di musica di Amburgo, su un Brahms appena tredicenne.

Johannes Brahms: Amburgo, 7 maggio 1833 – Vienna, 3 aprile 1897, è stato un compositore, pianista e direttore d’orchestra tedesco.

Un talento che sfiora già i sentieri del cambiamento. Suo padre, Johann Jakob Brahms sfida una ereditaria famiglia di commercianti ed artigiani intraprendendo gli studi musicali. Il matrimonio con la moglie Johanna Enricha Cristianna ed i tre figli Elise, Johannes e Friedrich provano quanto la sua situazione fosse stabile, nonostante gli esordi incerti. Ad Amburgo riesce a vivere come musicista ottenendo anche la qualifica di “Istrumental-Musicus”.
Johannes Brahms nasce il 7 maggio 1833, nel quartiere chiamato “Gangeviertel”; nello stesso anno, Felix Mendelssohn- Bartholdy pubblica la sua Quarta Sinfonia op. 90, “l’italiana”, Schubert è morto da circa cinque anni (e con lui, il “primo” romanticismo) ed i principali compositori sono più che ventenni. L’anno precedente muore una delle voci più soavi del secolo, Johann Wolfgang Von Goethe; a tre anni dalla sua morte, compaiono i Colloqui con Goethe, monumentale opera di Johann Peter Eckermann. Sono anni di fermento, ognuno sembra obbedire al proprio imperativo morale. I paesi gridano un coro unanime: nazione – che sconfina dai perimetri territoriali.
La Germania è divisa, sono frequenti le manifestazioni per la sua unificazione: nel 1834, con l’istituzione dell’Unione Doganale, si tenta di superare il problema delle divisioni interne: a questa comunità economica aderiscono la maggior parte degli stati tedeschi, tranne l’Austria asburgica; la Prussia rimane lo stato più influente, a cui si guarda con speranza per la guida di tutte le lingue tedesche. 
Nello stesso anno, Robert Schumann fonda la Neue Zeitschrift fur Musik (“Nuova rivista di musica”), che redige fino al 1844. Destinata ad essere una delle voci più influenti della critica musicale dell’epoca, la penna del compositore incide fortemente sull’opinione pubblica. Nel 1840 sposa Clara Wieck, pianista concertista dal talento straordinario, e la loro unione crea un estremamente pittoresco cenacolo musicale.

Clara Josephine Wieck Schumann (Lipsia, 13 settembre 1819 – Francoforte sul Meno, 20 maggio 1896) è stata una pianista e compositrice tedesca, moglie del compositore Robert Schumann. È stata una delle pianiste più importanti dell’era romantica.

Nel frattempo Brahms vive la propria infanzia in un clima di precarietà. I genitori si impegnano comunque per la sua istruzione: segue delle lezioni in alcune scuole private dove, oltre agli insegnamenti tradizionali, rivolti principalmente su materie umanistiche, viene iniziato alla matematica ed alle scienze naturali.
All’età di nove anni vive l’evento più difficoltoso della sua infanzia, il gigantesco incendio che devastò gran parte della città di Amburgo; a dieci anni, la sua prima apparizione pubblica come pianista.
Studia lo strumento già da tre anni sotto l’occhio vigile del maestro Otto Von Cossel. La sua prima esibizione deve essere risultata particolarmente notevole: il maestro è più che compiaciuto, ai genitori sono tentati da una prospettiva di carriera del figlio all’estero, negli Stati Uniti, come bambino prodigio. La proposta deve essere davvero allettante, per una famiglia umile: Cossel è avveduto, discute personalmente questo intendimento, e pilota infine i loro sguardi verso Edouard Marxsen, il più rinomato insegnante della città. Dall’anno successivo Brahms è anche nella sua classe di Composizione.
È una giovinezza travagliata, trascorsa in duri anni di studio. Il perenne ‘cruccio‘ che caratterizza la natura di Brahms lo porta naturalmente all’introversione ed al perfezionamento di sé stesso: sono gli anni della tensione giovanile quelli della maturazione artistica, tecnica. Sappiamo di un’apparizione pubblica certa il 21 settembre 1848. Nell’anno successivo Brahms esegue una Fantasia su un valzer in voga, composta da lui stesso. Dal titolo dell’opera si intuisce che la trascrizione di brani noti e la loro rielaborazione sia stato uno dei lavori più usuali del giovane studente di composizione (quello eseguito è sicuramente il lavoro meglio riuscito fra i tanti tentativi), e l’importanza che il suo insegnante abbia attribuito a questa fase. In questo genere Brahms si trova infatti ad eccellere: si ricordino, ad esempio, le celebri Variazioni e fuga su un tema di Haendel, op. 24.
A due anni dopo risale la sua prima pubblicazione: un Souvenir de la Russie, presso l’editore Cranz. La firma che reca è “G. W. Marks”, uno pseudonimo, come se questa scelta fosse più del maestro che un proposito personale.
Tuttavia in seguito non manca di mostrargli la propria gratitudine: a lui dedicherà il suo Concerto per pianoforte n.2 op.83, del 1881, e di lui farà pubblicare – a sue spese – i 100 esercizi per pianoforte.
Nell’anno 1850 viene fondata la Società Bachiana a Lipsia: tra i fondatori, troviamo Robert Schumann. La sua fondazione avviene nel pieno del successo che di questi tempi sta riscuotendo il defunto compositore, dopo decenni di oblio.
Il progetto è ambizioso: pubblicare integralmente le composizioni di Johann Sebastian Bach fino ad allora conosciute.
Nel XVIII secolo la sua musica è considerata troppo complessa, non viene tenuta in auge come un capolavoro. Solo nel 1829 Felix Mendelssohn riscopre la Passione secondo Matteo e la propone in una prima esecuzione: il successo è immediato e ne viene riconosciuta la grandezza.
Il monumentale prodotto, la Bach-Gesellschaft Ausgabe, fu terminata solo nel 1889 e pubblicata in un totale di 46 volumi. Ognuno di essi reca la firma del curatore; tra i nomi, Johannes Brahms, che guarda di buon occhio la nascente Musicologia, questa scienza in grado non solo di avvalorare la ricchezza del passato, ma di riportarla in vita. Collabora con essa, presta suoi stessi lavori per eventuali edizioni critiche ed è curatore di edizioni integrali di diversi autori, sia passati sia contemporanei.
Fin dagli studi giovanili Brahms è avvicinato alla musica antica. In questo ricevette un primo grande input dal maestro Marxsen: numerose sue Toccate e Fughe figurano tra le sue pubbliche esecuzioni, sulle sue composizioni è improntato lo studio rigoroso dell’arte del Contrappunto che lo interesserà anche in epoca matura. Si impegnerà personalmente nella divulgazione di opere del passato, nel timore che ricadano nel silenzio.
L’approccio con il brano in analisi è più ‘storico’ possibile, di modo da saperlo e poterlo eseguire nella maniera più vicina possibile all’intenzione originale. A tal proposito studia a fondo il Saggio di metodo autentico per tastiera di Carl Philip Emmanuel Bach (figlio di Johann Sebastian), e non manca mai di acquistare nuovi spartiti, manoscritti o in copie, per aggiornare la sua corposa biblioteca (tra di essi, ad esempio, figurano 60 schizzi di Beethoven).
Dal 1853 ha inizio un periodo fulgido: una fortunata tournée con il violinista ungherese Eduard Reményi in insigni città europee. Anche se il livello del violinista non sarebbe mai stato paragonabile alla sua impeccabilità di esecutore, questo lungo viaggio musicale gli consente un ingresso definitivo nella società dei musicisti. La serie di concerti si protrae da aprile a dicembre.
Ad Hannover ha il primo incontro con Joseph Joachim, uno dei violinisti più celebri della storia. I due condividono idee, e modi di pensare, ed il legame che si viene a creare sarà duraturo; perdura per la sua intera vita.
A Weimar conosce invece Franz Liszt con il quale i rapporti sono fin dall’esordio difficoltosi. I loro nomi convergono nell’aneddotica legata alle celebre Sonata in si minore, suo ideologico cavallo di battaglia, dedicata a Robert Schumann.
La sua stesura risale al 1853: il compositore, cinquantaduenne, risiede a Weimar, dove lavora come direttore della cappella di corte, dal 1847. Per un decennio, su consiglio della compagna Caroline se Saint-Wittgenstein, decide di dedicarsi interamente alla composizione, alla direzione d’orchestra e all’insegnamento. La Sonata, prediletta dal compositore in svariate esecuzioni, più volte deludette il pubblico, abituato a ben altri tipi di spettacolo: l’ambizioso progetto che questa composizione rivestiva era purtroppo preceduto dalla sua fama di pianista. Il suo suo estro catturava le folle: dotato di uno straordinario talento musicale, impregnava le proprie performances di una forte esuberanza, cimentandosi in una musica percussiva ed irruenta in cui sperimentare prima di tutto sé stesso. In questa plurinomia si cercava di trovare una maniera di vivere la musica più vitale possibile, di modo che essa aderisse alla persona come fosse una pelle: di questo parla l’anelito romantico all’introversione, o all’arte di sé stessi. E così troviamo anche, per contrasto, uno Chopin operante in una direzione più ‘riparata’, in un rapporto ‘esclusivo’ con il proprio strumento che rifugge qualsiasi magniloquenza dove riversare tutta la propria pienezza di sentimenti. Liszt è un autore disinvolto, che vuole far convergere l’immagine estetica di un esuberante esecutore come di un riflessivo compositore, ugualmente perso nella sua musica o intento in una rigorosa rilettura di un Bach.
La Sonata in si minore è l’unica composizione “classica” di Liszt: la ‘sonata‘ è appunto uno dei generi tradizionali della musica classica, che molti compositori considerano soltanto lasciti obsoleti del passato. Si compone di un unico grande movimento – la sua esecuzione copre più di trenta minuti -, sostituendo la tradizionale struttura in più movimenti: tuttavia ha dentro di sé sia questa divisione sia l’unità di un singolo movimento. Si tratta quindi di una scrittura vivace e mutevole, che si piega a molteplici espressione. Lo stile avrebbe dovuto stupire il pubblico, sì, ma soprattutto l’esecutore: la multiformità suggerisce d’istinto una lettura diversa della musica, più descrittiva, più narrativa. È una scrittura che parla di una storia, della storia di un animo, che ne descrive i moti interiori in un lungo discorrere che l’esecutore deve essere bravo non soltanto a rendere ma ad impersonare.
Il pubblico di un Liszt tradizionale, come di una performance “spettacolare”, non è abituato a prestare un orecchio attento a dei lavori d’ingegno. Di qui la delusione: ma nel pubblico puro e semplice si nasconde qualcosa in più: si trattava comunque di un attacco alla forma. L’idea musicale che propugna non è da tutti presa per buona: vi sono dei pareri contrastanti e dei veri e propri dibattiti sulla tradizione. Una coralità di critiche, a questo punto, proviene da compositori definiti “formalisti”: Johannes Brahms, da molti considerato addirittura capostipite, è annoverato tra di essi. Questi compositori, in sintesi, si opponevano ad una considerazione negativa del lascito della tradizione, ovvero difendevano le forme del passato. In questa sonata notano dunque, nonostante il progetto innovativo, la ripetitività, specie in alcuni passaggi, e la evidenziano.

Jean Baptiste Oudry, Natura morta con violino – 1730, 87 x 102 

A tal pro, si narra del celebre “sonno” di un Johannes Brahms incapace di sostenere l’esecuzione.
Finalmente, a Düsseldorf, nel 1853, l’ingresso in casa Schumann. Percorso da un viavai continuo di artisti, è culla di splendidi sodalizi. La musica è guardata, vissuta e concepita da più occhi, vi è comunione d’intenti, medesimo fervore. Brahms ha appena vent’anni. Schumann lo osserva come un astro nascente.
Il musicologo Giulio Confalonieri definì Brahms e Schumann due “romantici introversi”; questa dicitura si adatta perfettamente allo spirito che anima il tardo ottocento, dove lo slancio entusiastico che aveva animato gli albori romantici inizia a mutare di prospettiva, introiettandosi sempre di più in una mutuata riflessione, a tratti nostalgica.
“Musica da camera” è il termine che utilizziamo per definire l’intimità di una musica che nasce con Schubert: i frutti del genio musicale vengono offerti occasionalmente a convitati scelti come perle che il compositore, all’angolo della sua stanza, esegue al pianoforte o con un complesso riunito per l’occasione. Questo capita per le sinfonie, opere di risonanza monumentale eseguite in piccoli salotti, da musicisti spesso dilettanti, in piccoli circoli – è una musica enorme che non conosce l’ampio respiro dei teatri. Questa concezione, dalla sua morte, è andata via via scomparendo: basti pensare che, dalla Renana (Sinfonia n.3) di Schumann, per un ventennio non vengono più scritte sinfonie.
La musica da camera è vista come “accademica”, i generi ereditati come “antiquati”. Franz Liszt e Robert Schumann condividono quest’idea, che scrivere ancora sonate o sinfonie potesse essere percepito, all’epoca, come un gesto intellettuale. Per il maestro questi generi monumentali hanno perso la loro passata vitalità e sono scesi nell’accademismo. A questo punto si può collocare, ad esempio, la Sonata in Si minore di Franz Liszt, che ho citato prima. Opera monumentale per pianoforte solo, proponeva di racchiudere la perduta vitalità delle forme ampie tradizionali, la sinfonia e la sonata, in un unico, grande movimento, che avesse in sé sia la tripartizione interna del primo movimento (tradizionalmente suddiviso in esposizione – sviluppo – ripresa) sia la stessa spartizione in più movimenti. La sete di cambiamento si percepisce dappertutto, gli sguardi al passato – o intorno a sé – sono talora delusi o smarriti.
Bisogna pur considerare che il dilettantismo va ormai scemando, così come i salotti privati: le prime istituzioni musicali pubbliche nascono in questi anni, ed i concerti iniziano a far parte di rassegne in cui protagoniste sono le grandi orchestre sinfoniche di professionisti. I Wiener Philarmoniker – orchestra filarmonica di Vienna, tra le più prestigiose al mondo) nascono dopo il 1842, quando il compositore Carl Otto Nicolai fonda a Vienna l’Accademia Filarmonica, la prima orchestra completamente indipendente. Nei teatri, negli ambienti pubblici ha modo di affluire un maggior numero di persone (anche se il pubblico di un teatro rimaneva comunque “ristretto”). I fruitori sono i primi a sgranare gli occhi.
Il “cameratismo” di Schumann è Brahms è una fervida presa di posizione rispetto ad un pubblico abituato a fruire di opere di sempre maggior respiro. In tal senso la loro si potrebbe definire una scelta borghese, ma in nessun caso accademica. Casa Schumann è l’ambiente della borghesia intellettuale tedesca tardo ottocentesca, un cenacolo le cui ideologie vengono condivise e sentite da più animi, all’interno di un panorama di grandi mutamenti.
Colma di questo spirito è la celebre Sonata F.A.E., scritta in onore di Joseph Joachim e basata sul suo famoso motto, “frei aber einsam” [libero ma solo]. Ad essa lavorano più mani: del primo movimento si occupa Albert Dietrich, Robert Schumann cura il secondo ed il quarto e Brahms il terzo (il celebre Scherzo). Joseph Joachim, a cui viene fornita una copia dell’originale manoscritta, avrebbe poi dovuto indovinare quale compositore si celasse dietro ciascun tempo. La sonata fu eseguita in prima dal violinista e da Clara Schumann al pianoforte.
In casa Schumann le musiche eseguite son, tuttavia, spesso frutto di fini ragionamenti, per comprendere i quali il carattere privato della composizione è estremamente necessario. Questo aspetto, in particolare nelle musiche di Brahms, va particolarmente sottolineato, nelle quali il lavoro compositivo è talvolta minuzioso da essere apparentemente percepito da fuori come “gravoso”, e da necessitare di un ascolto più che attento per essere apprezzato fin nelle sue segrete viscere. Nasce una tradizione musicale della quale Brahms deve farsi nuovo portavoce: solo con la sua opera potrà essere “salvato” il salvabile, e resa al passato nuova vita ed una nuova posizione. Brahms è l’erede di una tradizione ormai muta. A Dusseldorf le composizioni scritte durante la serie di concerti godono di particolare successo. Brahms si reca personalmente a Lipsia presso l’editore di Robert Schumann, su indicazione dello stesso. Il maestro è entusiasta del giovane compositore, che invece, schivo e riflessivo, cede i propri scritti con titubanza. Il 28 ottobre 1953 viene pubblicato, sulla Nuova Rivista di musica, il celebre articolo Neue Bahnen [Nuove vie] di Robert Schumann, che riporto integralmente.
“È da così tanti anni – dieci, per l’esattezza: all’incirca quanti ne ho dedicati un tempo alla redazione di questa rivista – che avrei dovuto esprimermi su questo terreno così ricco di ricordi. Spesso, malgrado l’estenuante attività produttiva, mi sentivo stimolato; alcuni nuovi, notevoli talenti apparivano sulla scena, pareva annunciarsi un nuovo genio musicale, come testimoniano molti musicisti d’oggi che stanno puntando in alto, anche se la loro opera è conosciuta in una cerchia piuttosto ristretta: Joseph Joachim, Ernst Naumann, Ludwig Norman, Woldemar Bargiel, Theodor Kirchner, Julius Schaffer, Albert Dietrich, senza dimenticare il compositore profondo e spirituale C.F.Wilsing, dedito alla grande arte. Andrebbero qui citati come precursori vigorosi anche Niels W.Gade, C.F.Mangold, Robert Franz e St.Heller.
Seguendo con la massima partecipazione i percorsi di questi eletti, io pensavo che dopo tali predecessori sarebbe improvvisamente apparso, dovuto apparire qualcuno che fosse chiamato a dar voce in maniera ideale alla più alta espressione del tempo, qualcuno che ci avrebbe portato la maestria non per gradi ma già perfettamente compiuta, come Minerva uscì armata di corazza dalla testa di Crono. Ed è arrivato, sangue fresco la cui testa fu vegliata dalle Grazie ed Eroi, Si chiama Johannes Brahms, viene da Amburgo, dove creava in oscuro silenzio ma essendo formato ai canoni più ardui dell’arte e da un ottimo insegnante (Eduard Marxsen, Amburgo) che istruisce con entusiasmo, raccomandatomi poco tempo fa da un rinomato e venerato maestro. Egli possedeva, anche esteriormente, tutti i segni che lo annunciano come eletto. Seduto al pianoforte, cominciò a svelare regioni meravigliose. Venimmo attratti in cerchi sempre più magici. Sorse un suono così geniale da trasformare il pianoforte in un’orchestra di voci ora gementi, ora esultanti. Erano sonate, o piuttosto velate sinfonie – liriche, la cui poesia si capirebbe anche senza conoscere le parole, sebbene una grave melodia cantabile le percossa tutte – singoli brani pianistici, in parte di natura demoniaca e della forma più leggiadra; quindi sonate per violino e pianoforte, quartetti per strumenti ad arco, e ciascuna così differente dall’altra da sembrare sorta da una fonte diversa. Poi fu come se egli, convogliatele in una fiumana irruente, le fondesse tutte in una cascata, gettando il placido arcobaleno sopra le acque precipitanti attese a riva dal volo delle farfalle e dal canto degli usignoli. Se egli calerà la sua bacchetta magica dove la potenza della musica infonde la sua forza, nel coro e nell’orchestra, allora ci verranno dischiuse prospettive ancora più magnifiche dei segreti del regno dello spirito. Possa il Genio supremo corroborarlo in ciò che pertiene a questa aspettativa, giacché egli possiede anche un altro genio, quello della modestia. I suoi compagni lo salutano al suo primo affacciarsi al mondo, dove lo aspetteranno forse ferite ma anche allori e palme; noi gli diamo il benvenuto come gagliardo combattente.
In ogni epoca vige un’alleanza segreta di spiriti affini. Serrate, voi che vi appartenete, le fila, sicché la verità dell’arte splenda con sempre maggiore limpidezza, spandendo ovunque gioia e benedizione”.
Per approfondimenti:
_Baroni, Fubini, Petazzi, Santi, Vinay – Storia della musica – edizioni Piccola biblioteca Einaudi
_Elvidio Surian – Manuale di storia della musica, vol.3 – edizioni Rugginenti (6°)

 

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