Ludovico di Giovanni de’ Medici, l’ultimo cavaliere

di Giuseppe Baiocchi 06/05/2017

Non mi snudare senza ragione – Non mi impugnare senza valore“. Le lettere incise sul manufatto marmoreo, dallo scultore Temistocle Guerrazzi, non devono condurci all’abuso del nostro narcisismo, ma queste parole si prefissano di guidarci verso il suo vero significato più intrinseco: la fusione – come è plasmata la spada – delle più alte qualità umane, come la razionalità, l’eccellenza di mente, il valore etico e tecnico che conducono l’arma stessa ad essere dotata di una personalità e una sua missione, nei confronti del suo possessore.
La spada apparteneva a Ludovico di Giovanni de’ Medici il formidabile capitano di ventura italiano, il quale visse durante l’epoca rinascimentale e fu attore protagonista dei disegni geopolitici della nostra penisola.

Temistocle Guerrazzi, Giovanni delle Bande Nere, agli Uffizi (particolari). Il condottiero nasce a Forlì, il 6 aprile del 1498 e muore a Mantova il 30 novembre 1526, è stato un condottiero italiano del Rinascimento.

Il Rinascimento, per un’anime giudizio, sorse a Firenze – città tra le più vivaci e ricche d’Europa – nella metà del quattrocento. In essa si concentravano molteplici fattori, come quello politico, economico e sociale, che favorirono la nascita del movimento. Ma non fu l’unica città italiana, ad essa si associarono Venezia, Milano, Ferrara, Mantova, Urbino e tante altre città che, vissuta la felice esperienza dell’autonomia comunale nel XIII°– XIV° secolo, avevano poi affidato il loro governo e difesa a Signorie che passeranno alla storia per magnificenza e lungimiranza. Tali Signorie, che anticiperanno la nascita degli Stati italiani preunitari, svolgeranno anche un ruolo fondamentale nello sviluppo dell’arte militare del tempo. L’arte militare del XV° secolo fu caratterizzata dal grande sviluppo tecnologico rappresentato dalle armi da fuoco che aveva radicalmente cambiato il modo di combattere ma anche l’essenza stessa delle formazioni militari.
L’utilizzo del termine arte anziché scienza non è causale giacché la prima esalta le caratteristiche personali del militare – come il carisma, il coraggio e l’esperienza – mentre la seconda attiene più ad una disciplina, o metodo, da tutti applicabile e basata sulla conoscenza piuttosto che le qualità personali del singolo. La scienza militare si sostituirà all’arte anche in ragione della complessità dei conflitti moderni, che renderà necessarie una serie di conoscenze e funzioni un tempo inesistenti o inutili alla soluzione dei conflitti. La logistica, la tattica, l’organica e la strategia, già conosciute e applicate ai tempi della rivoluzione militare del XVII° secolo – l’organicità data loro dagli studi di Raimondo Montecuccoli rimarrà insuperata fino agli studi di Clausewitz, per il quale arte e scienza militari erano concetti inseparabili -, sono branche della scienza militare intuite, ma non approfondite dall’arte militare. Ad ogni modo, non va mai dimenticato che quando si parla di scienza militare non si può mai far riferimento ad una scienza esatta, ma sempre ad una scienza umana e quindi fallibile.

Nelle tre immagini, da sinistra a destra: L’Italia nel 1494, all’albore della campagna di Carlo VIII. La cartina mostra i vari Stati in cui era divisa la penisola; ritratto di Francesco I (nato François d’Orléans; 1494 – 1547) è stato Re di Francia dal 1515 alla sua morte; Pieter Paul Rubens, Allegoria di Carlo V dominatore del mondo – 1607, Salisburgo, Residenz Galerie.

In tale contesto storico Ludovico di Giovanni de’ Medici – detto anche “gran diavolo” -, per il talento all’interno dei singoli duelli, definiti “gran tenzone”, nasce al tramonto del XV secolo e fin da primissima nascita viene segnalato a corte per la sua attitudine al comando. Di animo focoso e vivace, alla morte della madre Caterina Sforza a soli undici anni, viene affidato al fiorentino Jacopo Salvati. Il giovane verrà presto bandito da Firenze per aver accoltellato a morte un suo coetaneo di tredici anni. Tornati i Medici del 1512 al capitano romagnolo gli verrà permesso il reintegro nell’urbe e subito si conquista la fama – già citata – di gran cavaliere, vincendo a ripetizione giostre e tornei cittadini. Ma non solo: il suo animo burrascoso e attaccabrighe, lo porterà a vari duelli di strada, arrivando ad assassinare anche il cancelliere di Piombino: nella sarabanda della lotta all’arma bianca, Giovanni è nel suo elemento.
Nonostante il suo trasferimento romano, presso il Papa – dovuto al trasloco del suo protettore Salvati, divenuto intanto ambasciatore pontificio – i suoi comportamenti non si placano e le frequentazioni nei bassifondi della città sono frequenti. Corre il cinque marzo del 1516, quando arriviamo al suo battesimo di fuoco: è guerra contro Urbino al seguito di Lorenzo de’ Medici.
La guerra fu breve di soli ventidue giorni, che vide la conclusione con la resa di Francesco Maria I Della Rovere. Giovanni è giovane, impavido e sprezzante del pericolo, ma è un arguto osservatore ed un attento stratega: duecento anni prima di Napoleone Bonaparte, capisce il declino tattico della guerra di posizione in favore di una guerra di movimento e logoramento. Intuì il declino della cavalleria pesante e così al momento di crearsi una propria compagnia, scelse l’impiego di cavalli piccoli e leggeri, preferibilmente turchi o berberi, adatti a compiti tattici, quali schermaglie d’avanguardia o imboscate, individuando nella mobilità la tattica militare più utile da usare. I suoi addestramenti erano dei più duri, ma riuscì ad insegnare ai propri uomini, indisciplinati, rozzi e individualisti, la disciplina e l’obbedienza.
Dopo la breve e vittoriosa guerra torna nella città eterna, dove – dopo un acceso diverbio – sul ponte di Castel S.Angelo, uccide in singolar tenzone il capitano d’arme di una delle famiglie romane più prestigiose: gli Orsini. L’episodio suscita, fin da subito, clamore per via della grande differenza di età e di esperienza tra i due duellanti, con il capitano della famiglia Orsini di dieci anni più grande di lui e combattente rinomato: per Giovanni de’ Medici si aprirà una carriera militare senza precedenti. Di lui disse il cardinale di Santa romana chiesa Giovanni Salvati: “ Faceva più danno alli inimici lui solo che tucto lo exercito”.
Papa Leone X stravede per lui e lo invia a sanare spesso diatribe politiche nelle Marche. Nel 1520 sconfigge diversi signori marchigiani e nel frattempo il Papa si allea con l’imperatore Carlo V contro Francesco I, per consentire agli Sforza di tornare padroni di Milano e per rioccupare le città perdute di Parma e Piacenza.
Il rinascimento, soprattutto negli anni che corrono tra il 1526 e il 1530, vedeva la penisola italica contesa da due potenze europee: da una parte Carlo V, imperatore del Sacro Romano Impero, e dall’altra Francesco I, Re di Francia. L’attuale Italia si presentava come un territorio diviso in molteplici, deboli città stato in perenne conflitto fra le parti. Il papato di Roma, terza potenza, fungeva spesso da ago della bilancia fra le due super-potenze.
In questo caos geopolitico Ludovico di Giovanni de’ Medici partecipò in novembre alla battaglia campale di Vaprio d’Adda, per il possesso del ducato milanese, dove una volta oltrepassato il fiume – controllato dai francesi – li mette in fuga, aprendo la strada per Pavia, Milano, Parma e Piacenza.
In breve tempo fonda la migliore compagnia di ventura italiana, plasmando dal nulla una vera e propria “Banda”: i suoi uomini – altamente addestrati – rispondono solo al suo comando ed hanno una fedeltà verso il condottiero romagnolo senza precedenti, per quanto concerne la fedeltà delle compagnie di Ventura: eserciti mercenari al soldo.
La sua fedeltà per lo stato pontificio sarà sempre costante e duratura, tanto da indurlo – nel 1521, per la morte di Papa Leone X – a modificare i colori dei suoi vessilli da bianco e viola a neri, in segno di profondo e cristiano lutto. Si crea il mito dell’uomo che fu leggenda: “Giovanni dalle bande nere”.

Fotogramma del film “Il mestiere delle armi” di Ermanno Olmi. Nell’immagine l’attore Hristo Jivkov, il quale interpreta Ludovico di Giovanni de’ Medici, detto Giovanni delle Bande Nere o dalle Bande Nere.

Nel XIV secolo, si avrà una “rivoluzione dell’artiglieria” che si sviluppò nel corso del XV secolo con una “rivoluzione delle fortificazioni”, proseguì nel XVI secolo con la “rivoluzione delle ami da fuoco” – fra il 1580 ed il 1630 -, ed infine vi fu una crescita della consistenza delle armate europee fra il 1650 ed il 1715.
Infatti l’epoca che corre tra il tardo medioevo e l’ultimo rinascimento non può essere appresa totalmente in ambito militare, se non si conoscono gli enormi mutamenti nell’arte bellica, sia questa comprenda l’architettura che la tecnologica.
L’architettura militare del tardo medioevo e successivamente del rinascimento si caratterizza per l’aumento sostanziale dello spessore delle fortificazioni, il quale raddoppia per permettere lo sbalzamento o l’assorbimento delle palle di bombarde o cannoni, derivate dall’artiglieria con la scoperta nel 1324 della polvere nera, la quale verrà migliorata in maniera sostanziale nel 1425 quando i francesi riuscirono ad inventare la polvere in grani omogenei, di grandezza costante.
Il risultato fu che la velocità di tiro e la potenza di fuoco dell’artiglieria si trovarono a raddoppiare quasi da un giorno ad un altro, anche se grandi miglioramenti erano ancora necessari sia riguardo alle tecniche costruttive degli archibugi, sia dei cannoni per quanto riguarda la robustezza degli stessi. Parallelamente, com’è ovvio, aumentò la forza d’impatto dei proietti, cioè il loro potere distruttivo; diventò così vitale, per i proprietari di fortificazioni, esaminare le proprie difese alla luce dei nuovi sviluppi e preparare adeguate contromisure atte a parare il nuovo pericolo.
Anche la condotta delle battaglie campali fu rivoluzionata dal diffondersi delle armi da fuoco, dove la forza dei combattenti fu superata dalla potenza delle armi a polvere nera. I quadrati di picchieri, che dominavano i campi di battaglia del Quattrocento e Cinquecento avevano ulteriormente ridotto l’importanza della cavalleria sul campo di battaglia, ma parallelamente divennero vulnerabili contro l’artiglieria da campagna e il fuoco degli archibugi. Così furono inseriti, nei quadrati di picchieri, dei moschettieri nel rapporto di uno a tre. Tale rapporto, crebbe sempre più a favore degli moschettieri, fino a raggiungere una proporzione 4:1 attorno al 1650.

Nella foto di sinistra: rievocazione di picchieri svizzeri, posizione di resistenza ad una carica di cavalleria; nella foto di destra: ricostruzione di quadrato di picchieri e moschettieri.

Tornando a Giovanni dalle bande nere, egli è ancora un “cavaliere crociato”, come stile di combattimento, ma è tuttavia un ottimo stratega, che legge bene le situazioni tattiche.
Nel 1523 viene ancora una volta ingaggiato dagli imperiali, che nel gennaio del 1524 attaccano il campo del francese Cavalier Baiardo, mettendolo in fuga e facendo prigionieri oltre trecento soldati. Successivamente affrontò gli Svizzeri, la più temuta fanteria dell’epoca, che intanto erano scesi dalla Valtellina in aiuto dei francesi; Giovanni li sconfisse a Caprino Bergamasco, costringendo l’armata francese a lasciare l’Italia. Intanto a Roma diviene Papa, Clemente VII, della famiglia Medici, cugino della madre di Giovanni, Caterina.
Il nuovo Papa, allarmato per la potenza di Carlo d’Asburgo si fece promotore della Lega di Cognac per contrastarlo e si alleò – oltre che con le città stato di Firenze e Venezia – con il Re di Francia, Francesco I. Per l’Imperatore del Sacro Romano Impero, tale gesto significò un tradimento gravissimo e per rappresaglia, incarico le truppe dei Lanzichenecchi a marciare su Roma per punire il pontefice. Il leader di tale esercito è il Landsknecht, – cioè servo della regione – Georg von Frundsberg il luterano, che provava odio verso una Roma che consideravano corrotta e papista.
La guerra non procede bene, soprattutto con la pesante sconfitta dei francesi presso Pavia e nelle battaglie successive lo stesso Giovanni viene leggermente ferito ad una gamba da un colpo di arma da fuoco. Rimossosi in forma e resosi nuovamente agibile in un successivo scontro – nel 1526 – Ludovico di Giovanni de’ Medici e la sua banda nera, vengono – sul campo di battaglia – abbandonati dalle truppe francesi, e si vedono costretti a caricare i Lanzichenecchi, prima che questi attraversino il Po nel territorio dei Gonzaga. Qui nella ressa e nella mattanza del combattimento Giovanni dalle bande nere viene colpito ad una gamba da un colpo di falconetto e viene tratto in salvo dai suoi uomini, i quali presto lo porteranno a Mantova presso il palazzo di Luigi Gonzaga, dove il chirurgo Abramo Arié, che già lo aveva curato con successo due anni prima, gli amputò la gamba. Per effettuare l’operazione il medico chiese che dieci uomini tenessero fermo Giovanni. Nel frattempo i lanzichenecchi avanzano. Da una descrizione di Francesco Guicciardini si annota:
«Camminorono dipoi i tedeschi, non infestati più da alcuno, lasciato indietro Governo, alla via di Ostia lungo il Po, essendo il duca d’Urbino a Borgoforte; e a’ venti otto dí, passato il Po a Ostia, alloggiorono a Revere: dove, soccorsi di qualche somma di denari dal duca di Ferrara e di alcuni altri pezzi di artiglieria da campagna, essendo già in tremore grandissimo Bologna e tutta la Toscana, perché il duca di Urbino, ancoraché innanzi avesse continuamente affermato che passando essi Po lo passerebbe ancora egli, se ne era andato a Mantova, dicendo volere aspettare quivi la commissione del senato viniziano se aveva a passare Po o no. Ma i tedeschi, passato il fiume della Secchia, si volseno al cammino di Lombardia per unirsi con le genti che erano a Milano. […] I fanti tedeschi intanto, passata Secchia e andati verso Razzuolo e Gonzaga, alloggiorono il terzo di dicembre a Guastalla, il quarto a Castelnuovo e Povì lontano dieci miglia da Parma; dove si congiunse con loro il principe di Oranges, passato da Mantova con due compagni, a uso di archibusiere privato. A’ cinque, passato il fiume dell’Enza al ponte in su la strada maestra, alloggiorno a Montechiarucoli, standosi ancora il duca d’Urbino, non mosso da’ pericoli presenti, a Mantova con la moglie; e a’ sette, i tedeschi passato il fiume della Parma alloggiorno alle ville di Felina, essendo le piogge grandi e i fiumi grossi. Erano trentotto bandiere, e per lettere intercette del capitano Giorgio al duca di Borbone, si mostrava molto irresoluto di quello avesse a fare. Passorono agli undici dí il Taro, alloggiorono a’ dodici al Borgo a San Donnino, dove contro alle cose sacre e l’immagini de’ santi avevano dimostrato il veleno luterano; a’ tredici a Firenzuola, donde con lettere sollecitavano quegli di Milano a congiugnersi con loro: ne’ quali era il medesimo desiderio».
Tornando al capitano di ventura, la cancrena fu però inarrestabile e nel giro di pochi giorni lo portò alla morte. Il valoroso condottiero si spense il 30 novembre 1526, e venne sepolto tutto armato nella chiesa di San Francesco a Mantova. Prive del loro capo e del suo carisma, le bande si sciolsero. Il sacco di Roma del 1527 fu un evento traumatico, il quale segnò la fine degli splendori dell’epoca rinascimentale in Italia.

Nell’immagine di sinistra: Johannes Lingelbach, “Il sacco di Roma”; a destra statua bronzea di Frundsberg presso il municipio di Mindelheim.

Il capitano italiano morì a soli 28 anni, una esistenza intenza, ma breve ed una fama enorme presso i contemporanei, che lo considerano uno dei migliori generali militari di tutto il rinascimento. A livello artistico, molti pittori lo hanno immortalato, mentre a livello marmoreo è presente la statua  degli uffizi, che meglio di ogni altro rappresenta la quint’essenza dello spirito guerriero rappresentato da Ludovico di Giovanni de’ Medici.
Infine nel 2011 il regista italiano Ermanno Olmi, lo ricorda nel film – di altissima caratura, dove lo vede protagonista – “il mestiere delle armi” presentato al 54°Festival di Cannes. La pellicola ha ridato smalto a questo straordinario personaggio storico: in un periodo povero di genti italiche di comprovato valore militare, Giovanni rappresentò un’eccezione. Alla fine del secolo la nostra futura Italia si ritrovò asservita a dominio straniero per ben due secoli.
Giovanni dalle bande nere fu certamente un mercenario irrequieto e senza padroni, ma parallelamente si è dimostrato uomo di comprovato valore morale ed etico, riportando spesso il discorso filosofico novecentesco della “questione morale” del soldato. Uno degli ultimi esempi di valore cavalleresco – tema ripreso nella letteratura di Chervantes, con Don Chichiotte – elemento caratterizzante della sua Europa, poi successivamente perso con l’ulteriore sviluppo della tecnè, che portò la sempre più irrilevanza della cavalleria, elemento che ci conduce – parallelamente – alla tragica morte del “Gran Diavolo” e che successivamente portò l’Europa ad esercitare quella “volontà di potenza” che avrebbe colonizzato l’intero globo terrestre. Ludovico di Giovanni de’ Medici era un nobile e poteva avere tutto. Scelse di diventare soldato.

 

Per approfondimenti:
_Cesare Marchi, Giovanni dalle Bande Nere, Milano, 1981
_Giovanni Delle Donne, Giovanni delle Bande nere, l’uomo e il condottiero – edizioni Websterpress
_Sacha Naspini, Il Gran Diavolo, Giovanni delle bande nere, l’ultimo capitano di ventura – edizioni Rizzoli

 

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