01 Mag Suolo e rigenerazione urbana
di Rosario Pavia 03/05/2017
Il tema del territorio non edificato e del suolo, è oggi uno dei temi architettonici di particolare rilievo. È la dimensione “geografica” del territorio che fa cogliere le molteplici relazioni sociali, economiche e spaziali di un contesto locale.
In questo spazio dilatato, il territorio aperto, non edificato, con i suoi valori paesaggistici, le sue reti naturalistiche, ma anche con le sue aree di degrado e di abbandono diviene il vero nodo del processo di pianificazione. Non solo la città costruita, l’urbanizzato, ma piuttosto il suolo inedificato, quello che fino a ieri era lo sfondo neutro della città, il territorio “rurale” come riserva per l’espansione edilizia, diviene la base fondativa della nuova urbanistica.
E’ in atto un cambiamento di sguardo e di prospettiva che fa considerare in termini nuovi il progetto di suolo di cui, dal 1986, ha iniziato a parlarci Bernardo Secchi (1). Il suolo non è solo lo spazio esterno agli edifici, lo spazio “tra”, da qualificare attraverso un disegno tecnico appropriato e attento ai rapporti con il contesto. Il suolo va oggi inteso nel suo spessore di supporto, di infrastruttura che sostiene l’insediamento urbano, l’affermarsi dei processi produttivi, il dispiegamento delle reti materiali e immateriali. Il suolo è anche il deposito di quello che resta dei processi di produzione e di consumo. I processi di produzione industriale e agricola lasciano sul territorio una sterminata quantità di aree in abbandono e volumetrie dismesse, ma anche scarti, di residui, di discariche che degradano il territorio e inquinano i suoli e le acque, ponendo con urgenza il tema della bonifica e del riciclo. Riciclare gli scarti della produzione industriale e riconvertire uno sterminato patrimonio immobiliare in abbandono è un processo complesso, difficile, troppo a lungo trascurato. In questa prospettiva il tema dei drosscapes posto da Alan Berger (2) si rivela sempre più un aspetto determinante, non solo per l’interpretazione delle trasformazioni territoriali, ma anche per le strategie progettuali d’intervento. Il suolo come risorsa limitata che metabolizza gli scarti organici da cui trae nuova vita, ma che nello stesso tempo, sottoposta a processi intensivi di utilizzazione, si impoverisce, si degrada. Kevin Lynch ha utilizzato il termine wasting away (tradotto da Vincenzo Andriello con “deperire”) per indicare il processo di dissipazione che investe il territorio e gli oggetti, le cose, che vi insistono (3).
Nelle tre foto, da sinistra a destra: Alan Berger, professore di architettura paesaggistica e design urbano presso l’università del Massachusetts; Bernardo Secchi (1934 –2014) è stato un architetto, urbanista e ingegnere italiano, professore emerito di Urbanistica, presso l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia (IUAV), corso di laurea in Architettura; Kevin Andrew Lynch (1918 –1984) è stato un urbanista e architetto statunitense.
Con Lynch il suolo assume una dimensione che va oltre la superficie, il disegno delle pavimentazioni urbane. Il suolo comprende il costruito e l’inedificato, il suo intradosso ed il suo estradosso, il suo ruolo è quello di una grande infrastruttura indispensabile per l’equilibrio dell’ambiente e della vita degli insediamenti umani (4). Con l’affermarsi della questione ambientale, l’intuizione di Lynch diviene sempre più netta all’interno della cultura urbanistica. Basti pensare alle elaborazioni di Bernardo Secchi e Paola Viganò (5) per la consultazione per le grand Paris, alle posizioni di un paesaggista come James Corner (6) o ancora più recentemente ai piani strategici adattivi di città come Londra, Copenhagen, Rotterdam.
Che il suolo funzioni come una infrastruttura ambientale è un dato acquisito per scienziati come James Lovelock (7) o Stewart Brand (8). Per l’agronomo William Bryant Logan (9) il suolo, la crosta superficiale della Terra, è una “pelle”, un organismo vivente, un manto stratificato, composto da materiali inerti e materia organica. La “pelle” respira, assorbe e respinge le radiazioni solari, incorpora carbonio, attiva processi chimici che decompongono e metabolizzano i residui organici di origine vegetale e animale. Il suolo contemporaneo non riesce più a metabolizzare tali scarti (ma potrebbe farlo se i rifiuti fossero trasformati in composta). Il suolo dell’antropocene, come infrastruttura che lavora per l’equilibrio dell’ambiente, mostra segni di affaticamento, ha bisogno di essere protetto, potenziato, attraverso la tecnologia e le scienze biologiche. La sua cura va sperimentata alla scala locale e di area vasta, con l’obiettivo di estenderla a tutto il territorio: in questo senso va inteso l’invito del paesaggista Gilles Clément (10).
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L’attenzione al territorio aperto, al valore della terra, allo spazio inedificato, al verde e al suolo agricolo, non è un fatto nuovo, la ritroviamo nella prima modernità con Olmsted, con l’ingegneria igienista, in Geddes che come biologo lega la pianificazione alla orografia e alla qualità dei terreni, è presente nei modelli di città giardino di Howard, in piani esemplari come quelli di Copenaghen (il piano delle cinque dita) o di Colonia di Rudolf Schwarz (la città paesaggio), compare nel dibattito del Ciam e ancora di più nelle posizioni della IFHTP (International Federation for Housing and Town Planning).
Oggi tuttavia l’attenzione è più profonda ed estesa. Si lega alla consapevolezza della gravità di una crisi ambientale che minaccia l’equilibrio del pianeta e di un mondo sempre più popolato e urbanizzato. La percezione di un futuro incerto, a rischio, politicamente e socialmente instabile, verosimilmente più povero, con minori risorse da destinare ad investimenti per la riqualificazione urbana e ambientale, introduce una nozione di tempo diversa rispetto alla modernità.
Intervenire oggi sulla città significa misurarsi con il presente e nello stesso tempo avviare in modo flessibile ed adattivo processi di medio e lungo periodo. In questo tempo lungo la pianificazione dovrà assumere un carattere strategico senza rinunciare ad intervenire nell’immediato con opere e programmi che possano migliorare le condizioni di vita della città esistente e avviare un processo di manutenzione e bonifica dei territori aperti e in edificati. Occorreranno interventi puntuali e a sistema, legati alla riqualificazione delle reti naturali e infrastrutturali. In realtà non c’è tra loro una separazione netta, da tempo artificio e natura ibridano l’insieme delle reti. Oggi dobbiamo operare affinché quelle naturali siano potenziate dalla tecnologia e quelle artificiali incorporino l’elemento naturale (11). Queste reti, che attraversano lo spazio urbano e soprattutto il territorio non ancora edificato, devono funzionare come infrastrutture al servizio dell’equilibrio dell’ambiente (attraverso la produzione di energia rinnovabile, la riduzione delle emissioni di gas serra, la difesa dal rischio idrogeologico…), e primo telaio per dare forma e identità ai territori attraversati. E’ in questa prospettiva che il suolo inedificato diviene il nuovo paradigma (12), il cardine di una profonda revisione delle politiche urbane e ambientali, il bene comune da cui ripartire. In un certo senso occorrerà invertire lo sguardo e il nostro modo di intendere il piano urbanistico: l’attenzione dovrà concentrarsi sul territorio perturbano, sullo spazio aperto, sul suolo agricolo e non e da questo muovere verso la città costruita. La riqualificazione urbana e ambientale partirà sempre più dall’esterno. Risanare e valorizzare il vuoto e l’inedificato per penetrare nella città costruita rinnovandola. In fondo il progetto di suolo comprende oggi entrambi gli ambiti: quello artificiale e quello naturale.
Per approfondimenti:
_Bernardo Secchi, Progetto di suolo, in “Casabella”n. 520,1986
_Alan Berger, Drosscape. Wasting land in urban America, Princeton architectural 2007
_Kevin Lynch, Deperire. Rifiuti e spreco, CUEN, Napoli 1992;
_Rosario Pavia, Eco-Logiche in “Piano Progetto Città”n.25-26, 2012
_Bernardo Secchi, Paola Viganò, La Ville poreuse. Un projet pour le grand Paris, et la métropole après-Kioto, Metispresses 2011
_James Corner, Terra Fluxus, in Charles Waldheim, Landscape urbanism reader, Princeton Architectural 2006
_James Lovelock, Gaia. Nuove idee per l’ecologia, Bollati Boringhieri, Torino 2011
_Stewart Brand, Una cura per la Terra. Un manifesto per una eco pragmatista, Codice, Torino 2010
_William Bryant Logan, La pelle del pianeta. Storia della terra che calpestiamo, Bollati Boringhieri, Torino 2011
_Gilles Clément , Il giardiniere planetario, 22 Publishing, Milano 2008
_Rosario Pavia, Il passo della città. Temi per la metropoli del futuro, Donzelli, Roma 2015
_Carlo Gasparrini, In the city on the city, List, Trento 2014
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