La scrittrice ucraina, naturalizzata francese Irène Némirovsky, scriverà nel suo romanzo capolavoro “Suite francese” l’evento della disfatta, ponendo la questione sotto un profilo “umano” dell’invasore: “Non erano ancora i tedeschi ad arrivare, ma UN tedesco: il primo. Dietro le porte sprangate, dagli spiragli delle imposte socchiuse o dall’abbaino di un solaio, tutto il paese lo guardava avanzare. Il soldato fermò la motocicletta sulla piazza deserta; portava i guanti, un’uniforme verde e un elmetto con visiera sotto il quale, quando alzò la testa, apparve un volto roseo, magro, quasi infantile. «Come è giovane!» sussurrarono le donne. Inconsciamente si aspettavano una qualche visione apocalittica, un qualche mostro orrendo. Il tedesco scrutava tutto intento alla ricerca di qualcuno. Allora il tabaccaio che aveva fatto la campagna del ’14 e sul risvolto della vecchia giacca grigia portava una croce di guerra e la medaglia militare, si fece incontro al nemico. Per un attimo i due uomini restarono immobili, l’uno di fronte all’altro, senza parlare. Poi il tedesco mostro la sigaretta che teneva in mano e chiese del fuoco in cattivo francese. Il tabaccaio rispose in cattivo tedesco giacché aveva preso parte alla occupazione di Mainz nel ’18. Il silenzio era tale (tutto il villaggio tratteneva il respiro) che si coglieva ogni loro parola. Il tedesco domandò la strada. Il francese rispose, poi fattosi coraggio: «E’ stato firmato l’armistizio?». Il tedesco allargò le braccia. «Non lo sappiamo ancora. Speriamo» disse. E la risonanza umana di quella parola, quel gesto, tutto l’insieme provava in modo evidente che non ci si trovava di fronte ad un mostro assetato di sangue, ma a un soldato come gli altri, e il ghiaccio fra il paese e il nemico, fra il contadino e l’invasore si ruppe immediatamente“.
Marc Bloch è lì, nella ritirata, ed è più che mai è nel suo elemento. Conosceva tutti i luoghi di rifornimento per la benzina e nella ritirata li fa incendiare tutti: “Da Mons a Lille ho fatto bruciare a tutti gli incroci della ritirata: migliaia di ettolitri di benzina. Ho appiccato più incendi di quelli che può avere appiccato Attila”, scrisse nelle sue memorie.
Un ufficiale di mestiere durante la ritirata gli affermerà: “Ci sono dei militari di mestiere che non saranno mai dei guerrieri e ci sono dei civili che per natura sono dei guerrieri. Prima del dieci maggio non l’avrei mai immaginato, ma lei è un guerriero”. Lo storico rimarrà talmente colpito da tale affermazione che la inserirà all’interno dei suoi diari. La guerra a Bloch non piace, ma l’avventura si: riuscirà ad imbarcarsi a Dunkerque, ma una volta in Inghilterra i francesi – credendo fortemente che la guerra non fosse ancora persa – per ordine degli alti comandi vengono, la mattina successiva, rispediti nella Normandia con l’idea di rimettere in piedi l’esercito e continuare la guerra. Nel frattempo l’esercito tedesco avanza inesorabile e dai diari di Bloch si evince come l’alto comando francese non avesse minimamente compreso l’innovazione della macchina bellica tedesca: “Ogni giorno ci spostavamo indietro di venti chilometri: non abbiamo mica capito che dovevamo spostarci di duecento chilometri! Non avevamo capito niente”.
Il professore si reca a Rennes e dopo qualche settimana, uscendo dal suo ufficio in divisa da ufficiale, osserva l’ingresso della wehrmacht nella città: i tedeschi hanno occupato inesorabilmente tutta la Francia.
Bloch, riesce a nascondersi e spogliatosi degli abiti militari, si reca nel più vicino hotel prenotando una stanza: i tedeschi non lo scoprono. Dopo aver lasciato Rennes nel mese di luglio incontra – dopo molto tempo – la sua famiglia alla quale affermerà stizzito: “dopo, ci saranno molti conti da regolare”. Emerge in lui – nel mezzo dello sfracelo della Francia – una sorta di durezza e di spietatezza verso gli alti comandi, ma soprattutto verso il sistema politico francese prima del conflitto, incapace di autoregolarsi spaccando ideologicamente il paese. Con la famiglia si reca nella casa di campagna, tagliata fuori dalla nazione, invasa da una forza straniera e vive alla giornata.
Durante questo periodo terribile, Marc Bloch torna a scrivere e lo fa con la produzione di un altro piccolo capolavoro della storiografia: “La strana disfatta”, una lucida e perfetta disamina della guerra, con l’analisi delle motivazioni politiche e sociali di questa grande sconfitta. Scriverà: “noi eravamo vecchi e i tedeschi erano giovani. Noi eravamo comandati da vegliardi. Noi abbiamo combattuto una guerra di altri tempi: una volta si facevano le guerre coloniali e noi con il fucile sconfiggevamo i neri armati di zagaglie. Qui è stata la stessa cosa, solo che noi eravamo quelli con la zagaglia e i tedeschi quelli con il fucile. (…) I tedeschi correvano in macchina, con i motori e noi non abbiamo capito niente di che cosa era questa guerra”. Successivamente nei suoi scritti analizzerà anche la nazione francese prima della disfatta, non ritenendo possibile che la Francia si sia spaccata prima del conflitto. Vi erano manifestazioni operaie in piazza: rumorose, piene di rancore, pugni alzati e ostili, ma Bloch vi intravedeva anche tanta speranza nei manifestanti. La classe dirigente francese, invece, memore dell’esperienza russa, prese paura: i politici, i militari, il clero, gli industriali. La classe dirigente è spaventata e nell’alternativa preferirebbe un uomo forte come Hitler alla controparte “rossa” e su questo punto viene meno – per Bloch – l’unità del paese che ha smarrito il vero pericolo: il nemico tedesco.
La riflessione porterà un’interrogazione anche sul periodo intercorso fra le due guerre, dove il paese francese non ha prodotto molto – a differenza di quello tedesco – se non lo studio accademico. Ripartisce la colpa della disfatta anche alla sua categoria: quella degli storici, i quali convinti che gli eventi si plasmano intorno al movimento delle masse, sono rimasti immobili e passivi davanti agli eventi.
Dopo l’invasione tedesca, la Francia viene suddivisa il 10 luglio del 1940 in tre zone di influenza: una nazista, una francese ed una italiana. Bloch si rifugia nello “Stato francese” che successivamente verrà denominato “Governo di Vichy” con l’eccezione della zona di Mentone, occupata dall’Italia, e della costa atlantica, governata dalle autorità tedesche. Mantenne la sua neutralità militare – ma non politica, vista la dipendenza dai nazisti – nel corso di tutto il conflitto che ne seguì.
In una Francia dipendente, umiliata e sconfitta, Bloch inizialmente continua ad insegnare, ma viene spedito in una piccola università di provincia senza poter tornare a Parigi, occupata dai tedeschi e dalle famigerate Schutz-staffeln.
La sua casa a Parigi è confiscata dai vincitori ed affidata agli ufficiali di stanza nella capitale, così come la sua biblioteca che sparisce per sempre in Germania.
Marc Bloch insegna in un clima di antisemitismo crescente e successivamente anche la Francia di Vichy viene occupata dai tedeschi. Lo storico alsaziano è costretto a nascondersi per via delle sue origine ebraiche e nel 1942 la famiglia si rifugia nella casa di campagna, mentre i due figli maggiori li fa espatriare in Spagna con la speranza di poter dar loro la possibilità di raggiungere de Gaulle comandante della “Francia libera” in Africa. Sistemata la famiglia si reca a Lione e contatta la resistenza francese clandestina che lo accoglie tra le sue fila. Il movimento è quello promosso da Georges Altman della frangia dei “Franchi-tiratori”. Dopo essersi distinto in varie operazioni rischiose, come portare lettere e giornali clandestini, anche la resistenza si rende conto della sua bravura e Bloch torna per la terza volta in “guerra” contro lo storico nemico.
Inizia così a fare carriera all’interno del suo movimento, arrivando ad esserne il rappresentante del direttivo della resistenza della Francia meridionale. In maniera provvisoria diventerà anche capo di tutto il direttivo della resistenza non comunista (la resistenza comunista opera in maniera individuale) in tutta la Francia meridionale: possiede degli uffici clandestini, delle identità false e una moltitudine di uomini sotto il suo comando. La raccolta informazioni e l’invio di notizie false ai tedeschi è all’ordine del giorno nella cittadina di Lione, dove – nel frattempo – a comandare la Gestapo (Polizia segreta di stato) arriva l’ufficiale Nikolaus Barbie detto Klaus, il quale diverrà tristemente noto come il “boia di Lione” e verrà processato solo negli anni ottanta dopo aver collaborato per anni con gli Stati Uniti nel dopoguerra.
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