di Elisa Di Agostino 14/02/2017
La chiesa di San Salvatore a Spoleto è uno dei più importanti edifici di epoca longobarda, appartenente alla Longobardia Minor. Fu realizzato, come d’abitudine, con materiali di riuso di epoche precedenti ed è oggi considerato una delle più importanti testimonianze architettoniche alto-medievali italiane, nonché rappresenta il maggiore monumento spoletino dell’antichità.
Di origine germanica, i Longobardi, si videro protagonisti dal II fino al VI secolo da una migrazione che li fece giungere dal basso corso dell’Elba fino all’Italia, dove entrarono in contatto con la politica mediterranea e la cultura bizantina. Nel 568 d.C. una volta insediatosi in Italia Re Alboino, diede vita ad un regno indipendente che estese progressivamente il proprio dominio sulla massima parte del territorio italiano continentale e peninsulare.
Nella foto di sinistra, la posizione dove è situata la basilica di San Salvatore con adiacente il sottostante cimitero civico, progettato nel 1836 dall’architetto Ireneo Aleandri. Nella foto centrale, la facciata della basilica romanica. Nella cartina di destra l’Italia suddivisa in zone di influenza longobarde e bizantine. La Langobardia Minor era il nome che, in età altomedievale, veniva dato ai domini longobardi dell’Italia centro-meridionale, corrispondente ai ducati di Spoleto e di Benevento. Dopo la conquista del regno longobardo da parte di Carlo Magno, nel 774, rimase ancora a lungo sotto controllo longobardo.
Casta militare separata dalla popolazione romanica, i Longobardi si integrarono progressivamente con il tessuto sociale italiano, grazie all’emanazione di leggi scritte in latino (Editto di Rotari, 643), alla conversione al cattolicesimo (fine VII secolo) e allo sviluppo, anche artistico, di rapporti sempre più stretti con le altre componenti socio-politiche della Penisola (bizantine e romane). La fusione tra i germani e i romanici pone la base per la nascita e lo sviluppo della società italiana dei periodi successivi.
Spoleto conobbe in quei secoli un certo splendore poiché divenne ducato e centro di potere: come era consuetudine in quel periodo, spinti sia da ristrettezze economiche, da ovvie ragioni pratiche ma anche da motivi ideologici, la chiesa di San Salvatore a Spoleto fu realizzata quasi interamente con materiali di riciclo e si trova leggermente disassata rispetto al borgo medievale cittadino.
L’edificio si presenta a tre navate, dove lungo quella centrale corre un fregio dorico di spoglio, sorretto da grandi colonne doriche e corinzie, appartenenti all’età classica.
Se i Longobardi non sempre riuscivano nell’intento di dare agli ambienti – da loro concepiti – l’armonia degli edifici romani qui “Nel restauro di San Salvatore a Spoleto viene tuttavia raggiunto un risultato di straordinaria coerenza classicista, sia dal punto di vista della struttura architettonica, con il grande ordine corinzio a colonne e semicolonne del presbiterio, sia come imitazione dei motivi decorativi romani (…)”.
Sulla facciata si aprono tre portali e tre finestre, tutti decorati con splendidi elementi di reimpiego: sulle architravi dei portali sono scolpite girali fitomorfe tipicamente classiche, dentelli e volute che hanno ispirato generazioni di decoratori successivi in tutta la regione. La pietra dell’architrave centrale pare provenga da un monumento funerario romano risalente al I secolo d.C..
Viste interne della basilica di San Salvatore a Spoleto.
Si pensa che l’origine della basilica del Salvatore risalga addirittura al IV o V secolo: si racconta che fu ivi sepolto il corpo del martire Concordio e che sui resti di un’antica villa fu costruita questa chiesa in memoria del santo. I primi dedicatari dell’edificio furono proprio Concordio e Senzia, ma probabilmente il nome fu cambiato verso l’VIII secolo, quando i Longobardi effettuarono dei lavori di ristrutturazione a seguito di un incendio e fu così chiamata San Salvatore.
Vi è, non lontano da Spoleto, un altro edificio che ha suscitato la curiosità e la perplessità degli studiosi per molti secoli, il cosi detto tempietto del Clitunno. L’edificio è situato nel comune di Campello sul Clitunno (PG), nella frazione di Pissignano. E’ iscritto alla Lista dei patrimoni dell’umanità dell’UNESCO nel giugno 2011.
Si tratta di una piccola chiesa (“chiesa di San Salvatore“), a forma di tempietto corinzio. In passato era ritenuto essere un sacello romano riconsacrato come chiesa, ma la presenza di una croce al centro del timpano, coerente e integrata al resto della decorazione scolpita, sembra provare che fu invece sin dall’inizio un edificio di culto cristiano. La costruzione dell’edificio è stata attribuita al IV-V secolo.
Sull’architrave si trovano, rispettivamente sui lati ovest, sud e nord, le seguenti iscrizioni in caratteri maiuscoli romani quadrati, rarissimo esempio di epigrafia monumentale alto-medievale.
Il manufatto è costituito da un basamento con camera, accessibile da un portale sul fronte, e da una parte superiore in forma di tempietto. L’ambiente ricavato nel basamento, coincideva con i resti di un più antico edificio pagano. La parte superiore conserva la facciata tetrastila corinzia in antis (a quattro colonne). Il fusto delle colonne si presenta scanalato a spirale e sorreggono la trabeazione ed il frontone. L’accesso alla parte superiore avveniva per mezzo di due scalinate laterali con protiri e, in origine, precedute da un proprio pronao, che venne demolito nel XVIII secolo per riutilizzarne i blocchi.
Nascosto tra gli alberi e poco visibile dalla strada principale, il Tempietto del Clitunno sorge ad 1 km di distanza dall’ingresso alle Fonti. Come descrive Plinio il Giovane in una lettera ad un amico, lungo il corso del fiume sorgevano diversi templi in onore del Dio Clitunno, che oggi per la maggior parte sono andati perduti.
Internamente è presente la cella o naos, coperta da volta a botte, con un’edicola che inquadra l’abside sul fondo. Sono presenti affreschi del VII secolo (il Salvatore tra i santi Pietro e Paolo e Angeli), che hanno somiglianze con quelli di Santa Maria Antiqua a Roma.
Nonostante la scarsa propensione dei duchi longobardi ad accogliere la contemporanea rinascita anticheggiante che si sperimentava a Roma, gli interventi sul tempietto raggiunsero – come poco più tardi la chiesa di San Salvatore a Spoleto – una coerenza classicheggiante eccezionale, sia nella struttura architettonica sia nella ripresa dei modelli decorativi romani.
Questa struttura è il frutto di elementi di riporto che ne rendono molto difficile la datazione, con la maggior parte degli ornamenti scolpiti – a differenza di altre opere architettoniche longobarde – che sono manufatti originali e non reimpieghi di elementi di età romana.
Le analogie tra i due edifici sono così evidenti che Judson Emerick li chiama “sister buildings” praticamente “strutture sorelle” e li mette in stretta relazione cronologica. Anche il tempietto del Clitunno infatti presenta elementi di riporto e una decorazione eterogenea che lascia dubbi sulla datazione. Come la chiesa di San Salvatore, si tende a datarlo verso l’VIII secolo, in epoca longobarda.
Come la cripta longobarda di S.Eusebio a Pavia, San Salvatore – così come il tempietto del Clitunno – presenta un’eccezione nella cultura dei nuovi invasori. Questi esempi rappresentano l’uso diffuso – da parte dei Longobardi – nel creare edifici utilizzando parti diverse di architetture più antiche, le quali furono riadattate con una certa creatività e un certo gusto.
Questi due edifici testimoniano ancora un periodo che per secoli è stato buio e che per la mancanza di dati scritti risulta ancora di difficile lettura per gli storici dell’arte, di contro – invece – ha lasciato chiare tracce di una volontà di conservare e allo stesso tempo innovare, lo stile classico riadattandolo alle nuove esigenze del culto.
Per approfondimenti:
_Judson Emerick, The Tempietto del Clitunno and San Salvatore near Spoleto: Ancient Roman Imperial Columnar Display in Medieval Contexts in “Architecture and the classical tradition from Pliny to Posterity“, Harvey Miller Publishers
_Angiola Maria Romanini, L’arte medievale in Italia, Sansoni
_Pierluigi De Vecchi, L’arte nel tempo, Bompiani
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