Joseph Joachim, quando la perfezione si fa spirito

di Carlotta Travaglini 02/02/2017

Joseph Joachim fu un violinista, didatta, direttore d’orchestra e compositore ungherese vissuto nella seconda metà dell’ottocento, fino ai primi del novecento. A seguito del trasferimento con la famiglia nella città di Pest, iniziò gli studi col primo violino del teatro dell’opera della sua città, Serwaczynski (più tardi anche maestro di Wieniavski), il miglior violinista della città. Nonostante i suoi genitori non fossero esperti nel settore, furono istruiti nella scelta di un maestro “non ordinario”. All’età di otto anni fa la sua prima esecuzione pubblica, a seguito della quale si sposterà a Vienna, dove seguiterà gli studi al locale Conservatorio sotto la guida di M. Hauser, uno dei violinisti di maggior virtuosismo dell’epoca e G. Hellmesberger. In seguito ebbe modo di perfezionarsi più a fondo con Joseph Bohm, fondatore della moderna scuola violinistica ungherese. Allievo dell’insigne Pierre Rode a Budapest, fu particolarmente impegnato come camerista; faceva parte di un quartetto che collaborò anche con Ludwig Van Beethoven, del quale eseguì la prima del Quartetto d’archi op.12.Di lui Joachim ricorda in particolare ed elogia l’innata capacità nell’arte del fraseggio: aveva infatti una straordinaria ed immediata comprensione dell’idea musicale che gli si proponeva, ed era perfettamente in grado di rendere le intenzioni di qualunque autore, il suo violino aggirava qualunque impedimento tecnico o lacuna interpretativa.

Adolph von Menzel, Clara Schumann e Josep Joachim in concerto -1854.

Sua cugina, Fanny Figdor, lo ospita a Lipsia: qui Felix Mendelssohn è direttore della Gewandhausorchester Lepzig, orchestra tra le più antiche e prestigiose del mondo. Il maestro, che ne nota le precocissime doti e ne rimane strabiliato, sceglie di seguirlo personalmente, rendendolo un suo protetto. Joseph Joachim si esibirà così svariate volte sotto la direzione del maestro, come insigne solista. La sua prima esecuzione è quella del Concerto per violino di Heinrich Wilhelm Ernst, ma sarà ma sarà quella del Concerto per violino op. 61 in re maggiore di Beethoven a Londra nel 1844 che gli consegnerà gloria imperitura.
Negli anni in cui si distinse nell’attività orchestrale, come primo violino di spalla, iniziò a dedicarsi anche alla composizione, in particolare di brani virtuosistici per violino: i primi brani risalgono al 1848 ed arrivano fino agli ultimi anni della sua vita. Dopo la morte di Mendelssohn è al primo leggio della Gewandhausorchester Leipzig assieme al violinista Ferdinand David. In seguito, a Weimar, ha modo di suonare anche nell’orchestra di Franz Liszt, con la cui musica avrà esperienze contrastanti. Liszt infatti è attualmente uno degli esponenti più agguerriti della “Nuova Scuola Tedesca”, assieme ad Hector Berlioz e Richard Wagner, la quale, in sostanza, si faceva promorice e sostenitrice dell’estetica del contenuto, della volontà di subordinare, in ambito musicale, la forma al contenuto. Ciò consisteva nel prediligere il carattere descrittivo della musica, la sua capacità di rappresentare elementi di varia natura, da aspetti del concreto a concetti elevati oggetto di altre arti. La conseguenza di questo rivoluzionario modo di pensare sarebbe stato un rinnovamento totale e subitaneo dell’intero sistema musicale, nella modifica radicale del lascito delle tradizioni e nell’abbandono di musiche ormai considerate obsolete perché troppo rigide per rispondere a questo imperativo morale. Una forma statica non avrebbe potuto rappresentare nulla: le strutture portanti del passato si sgretolano, in nome della fusione delle arti, dei generi, dei tempi all’interno di un singolo brano, ed il futuro della musica sembra non essere altro se non quello di una “corrente impetuosa e continua”, caratterizzata dalla perenne generazione e rigenerazione.
Joachim dapprima sembrerà apprezzarne le nuove idee musicali: ne è la prova, ad esempio, un Concerto per violino in un movimento, in sol minore, da lui composto nel 1851 e dedicato a Franz Liszt. In seguito, tuttavia, si schiera dalla parte opposta, assolutamente a favore della cosiddetta “musica del passato”. In una lettera al maestro dell’agosto 1857 troviamo scritto:
«Non mi è assolutamente simpatica la tua musica; contraddice tutto ciò che dalla prima giovinezza ho appreso come nutrimento per la mente dallo spirito dei nostri grandi maestri».
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Nella immagine, particolare di dipinti raffiguranti: Franz Liszt, Hector Berlioz e Richard Wagner – tre degli esponenti principali della “Nuova Scuola Tedesca”.

Ad Hannover, nel 1853, avviene uno degli incontri più significativi della sua vita: quello con Johannes Brahms, impegnato in una tournée europea con il violinista Eduard Reméniy. Con il maestro, già noto pianista ed astro nascente della composizione, nasce subito un’intesa, destinata a consolidarsi negli anni. Nel 1860 un folto gruppo di musicisti decide di esprimere il proprio pensiero contro le nuove tendenze “progressiste” della musica in Germania; tra di essi figurano Joseph Joachim e Johannes Brahms.

Fitta è la loro corrispondenza in proposito, negli anni precedenti. «Sono sovente tentato di attaccar briga e scrivere contro Liszt» confessa Brahms in una lettera a Joachim del 1859; spesso rigetta le composizioni del maestro indicandole come “fandonie”; non sembra mai entrare in polemica, invece, con Richard Wagner La pubblicazione viene accolta con biasimo, e gli assertori vengono tacciati di conservatorismo. I due maestri non entreranno più nel fulcro di dibattiti pubblici.
In questi anni riceve numerosi stimoli alla composizione. Scrive numerose tipologie di brani, e mette per iscritto anche numerose Cadenze ai più famosi concerti; celebre è quella del Concerto per violino e orchestra di Johannes Brahms, da lui eseguita per la prima volta nel 1879 ed ora frequentemente ripresa dai moderni esecutori. Si distingue anche come camerista: nel 1869, con Robert Hausmann (violoncello), Karel Halíř (2° violino) ed Emanuel Wirth (viola), fonda il celebre Quartetto Joachim, che ottiene una risonanza a livelli europei.
È il primo violinista a registrare brani per una casa discografica; nel 1903 incide due lati per la Grammophone Company, lascito utilissimo per avere un’idea concreta della maniera di suonare il violino ottocentesca.
Si dedica, fin da giovane, anche alla didattica violinistica: insegna al Conservatorio di Lipsia e fonda a Berlino la Royal Academy of Music nel 1866. È infatti una delle figure centrali della moderna scuola violinistica tedesca insieme a Ludwig Spohr, che ne è il fondatore. 

Quartetto Joachim: Joseph Joachim (1. Violino), Robert Hausmann (Violoncello), Emanuel Wirth (Viola) e Heinrich de Ahna (2. Violino).

È autore di un’apprezzatissima Violinschule, compilata con Arthur Moser, insegnante di violino particolarmente interessato ai problemi dei bambini. L’opera rappresenta il primo tentativo di fornire all’allievo un metodo “globale”, dove tecnica pura ed arte del fraseggio vengono insegnati ed appresi di pari passo come facenti parte di un unico meccanismo, e non separatamente ed in contesti differenti. Musica e prassi rigorosa fanno insieme parte del dialogo tra maestro ed allievo, che va necessariamente costruito in modo sequenziale e progressivo.

Ludwig Spohr, nel suo metodo, considerando tutti gli aspetti necessari ad una ‘buona’ esecuzione musicale, esigeva dal violinista una perfetta intonazione, un rispetto rigoroso del tempo e del valore delle note, la resa dei piano e dei forti; qualora si volesse eccellere in una “bella” esecuzione, allora la si doveva arricchire di un suono bello e corposo senza cedimenti, di frasi ben caratterizzate e variegate in ciascuna minuta sfumatura e nella maestria nell’esplorazione degli infiniti timbri dello strumento; un lavoro complesso, al quale lo studente-virtuoso poteva arrivare con zelo e con una spiccata capacità creativa, importantissima nel Romanticismo.
Queste indicazioni risultano utili per comprendere come si suonasse il violino ai tempi di Joachim. Il maestro assimila ed amplia considerevolmente la lezione del predecessore: educa infatti fin da subito l’allievo all’interpretazione del pezzo, impartendogli non semplicemente una serie di regole obbligate, ma una gradualità che lo scorti dalla meccanica alla musica.
Dettagliatamente troviamo il percorso da seguirsi del giovane musicista, espletato da esempi ed immagini. La prassi musicale viene spiegata nei primi due volumi. Leopold Auer, violinista ed importante didatta ungherese, ricorda le massime del maestro come spesso “caotiche”, ed il suo metodo di insegnamento “sempre con il violino in mano”. Da una lettura del suo volume non si notano però tali incongruenze; d’altronde, tra i violinisti che si sono formati nella sua scuola, si parla di un numero maggiore di 400 elementi. Lo stesso Auer non poté non ricordare il maestro con i massimi elogi.
Nel secondo volume, in particolare, vengono trattate anche problematiche specifiche dell’intonazione, per definire i quali Joachim stesso si impegnò in studi di acustica applicata con il fisico J. Helmholtz. Vi sono, poi, descrizioni di aspetti dell’esecuzione tipici della musica romantica, come ad esempio i portamenti, piccoli glissati usati a fini espressivi, a cui dedica particolare attenzione, ed il vibrato, che distingue in tipologie diverse a seconda dell’intenzione e della dinamica musicale richiesta allo specifico suono.
Riprendendo Johannes Brahms, da “Album Letterario o Lo scrigno del giovane Kreisler“, questi asseriva: “Metti per iscritto tutto ciò che senti essere divenuto vero in te, foss’anche solo una reminiscenza”.
Joachim dedica il terzo volume interamente all’interpretazione, segno tangibile dell’importanza di questo aspetto nella formazione del musicista. I suoi saggi si incentrano su svariati autori; a partire da Bach, proseguono fin nell’analisi minuta dei Riporto alcuni estratti – dello stesso Joachim – dal saggio sul Concerto in mi minore op.64 di Felix Mendelssohn:
All’età di sedici anni ho avuto molte volte il privilegio di eseguire questo concerto accompagnato dall’autore: conosco quindi bene le sue intenzioni, poiché quando se ne presentava l’occasione egli non risparmiava la critica. Il 1° tema è un tenero lamento, deve essere reso con emozione, ma piano. Si eviteranno accenti troppo marcati, pur disegnando le linee ondulate e le sfumature di colore della melodia. Se volessimo precisare queste linee per mezzo di segni, subito diverrebbero troppo evidenti. […] Si dovrà anche evitare un ritardo troppo pronunciato dove la melodia termina […] (si arriva all’abuso di esagerare la sospensione del tempo, e di opporre subito un allegro ad un adagio!). […]”.
Ancora un estratto dal saggio sul Concerto in re maggiore op.77 di Johannes Brahms: “Il violinista solista fa il suo ingresso con un audace passo ascendente in minore che prosegue con fervore. Gli accordi in ottavi che iniziano alla 9a misura del solo, devono essere realizzati con un suono pieno, ma breve ed energico; il passaggio in quintina si esegue con estrema vivacità ma diminuendo fino alle semicrome con dinamica “piano” che, in una sonorità sempre più eterea, devono giungere al “pianissimo”. Si dovrà tener ben presente l’accompagnamento ricco di temi, ed unirvisi il più strettamente possibile. Dalle terzine dove Brahms scrive “espressivo” è concessa una maggiore libertà interpretativa, senza che per questo il “ritardando” che precede il trillo degeneri in un adagio. […] appare un nuovo episodio, colmo di fascino, che deve essere reso con uno stato d’animo intimo e raffinato, anche nelle decime, pur difficili che siano. Per l’interpretazione di queste ultime è illuminante l’indicazione “lusingando […]“.
Dalle analisi del repertorio romantico emerge come la creatività del musicista abbia un ruolo fondamentale nell’esecuzione e nella lettura del pezzo, e come si suonasse in un clima di “libertà” individuale, del cui dispiegamento una maggiore chiarezza dell’architettura del pezzo e una padronanza tecnica senza pari non possono che essere soltanto le basi. Anche il musicista fa parte del processo creativo, al pari del compositore.
Casa Schumann è uno dei più pittoreschi e fruttiferi prodotti della convivialità romantica ottocentesca. Robert Schumann è uno dei più grandi compositori dell’epoca romantica: pianista, si dedica anche all’attività giornalistica ed alla critica musicale, fondando una propria rivista, la Neue Zeitschrift für Musik [Nuova Rivista di Musica]; sua moglie, Clara Wieck, con la quale Joachim ha occasione di suonare più volte, è una delle più importanti e talentuose pianiste dell’epoca. A questa dimora sono legati vari aneddoti, tra i quali la stesura della celebre Sonata F.A.E. In occasione di una visita di Joseph Joachim, Robert Schumann, Albet Dietrich e Johannes Brahms decidono di comporre una sonata per violino e pianoforte in suo onore: di ognuno dei tempi il violinista dovrà riconoscere l’esecutore, e per farlo gliene sarà portata una copia, per non avere indizi dall’originale manoscritta. Schumann si dedica al II ed al IV movimento, Dietrich al I e Brahms al III (il celebre Scherzo). Il titolo richiamerebbe la sequenza di note fa-la-mi (F, A, E, in notazione alfabetica), utilizzate più o meno direttamente dai compositori, ma fa in realtà riferimento, in sigla, al motto di Joachim «Frei aber einsam», “Libero ma solo”.
Nuovamente troviamo questa sigla nel taccuino personale di Brahms (Album letterario o Lo scrigno del giovane Kreisler), prestato per un periodo all’amico Joachim. Al suo interno, tra le citazioni di autori e filosofi noti che il compositore si premura di annotare nel corso degli anni, il violinista inserisce delle proprie riflessioni ed osservazioni firmandosi con il suo “f.a.e.”, o con la corrispettiva sigla musicale:
“Quando avvertiamo in noi un embrione di idea, sovente ci sforziamo solo, e con troppa ansia, di farlo venire al mondo il più velocemente possibile, e così si atrofizza prima che si sia riusciti a farlo crescere robusto in noi al punto che da solo, squarciando il nostro petto, come canto aneli verso il cielo”.
L’unione artistica, dapprima concretizzatasi nella stesura a quattro mani del manifesto contro la musica “progressista” della Nuova Scuola Tedesca, confluisce in una fedele amicizia.
Joachim segue sempre più da vicino l’attività e la ricerca musicale del compositore, e ne incentiva e valuta il processo creativo. Significative saranno le nozioni di tecnica violinistica nel repertorio strumentale. Da questo sodalizio nascerà il celebre Concerto per violino op.77 in re maggiore (1878) del quale Joachim stesso fornirà un utile saggio di estetica e di stile nel III volume della sua Violinschule.
Nel 1884 Joachim divorzia dalla moglie Amalie, convinto di una sua presunta relazione con Fritz Simrok, l’editore di Brahms; quest’ultimo interviene con una lettera amichevole scritta a lei, ma i rapporti tra i due si raffreddano ugualmente. Verrà ripristinata solo in seguito, quando Brahms scriverà il Concerto per violino e violoncello op.102 come “offerta di pace” a Joachim.
Ogni artista è un Edipo: se si ferma, senza risolverli, dinnanzi agli enigmi del tempo, la Sfinge lo getta nell’abisso dell’oblio ed egli non le transita innanzi verso il futuro dell’immortalità“.
Joseph Joachim muore nel 1907 a Berlino, dopo una gloriosa carriera di interprete, didatta ed acuto studioso, consacrato per sempre come leggendario virtuoso del violino. Da fonte di ispirazione e sostegno all’amico Brahms si è fatto straordinario dispensatore di consigli per tutti gli altri interpreti e compositori a venire, affermandosi come uno dei protagonisti indiscussi del secolo scorso: un musicista a tutto tondo, il cui lascito è destinato ad essere in ogni tempo oggetto di confronto ed arricchimento. Concludo ancora con Joachim: Non elogiate, non ammirate: amate, imitate!”.

 

Per approfondimenti:
_Johannes Brahms, Album Letterario o Lo scrigno del giovane Kreisler, EDT, 2007
_Enciclopedia della musica Garzanti
_Enzo Porta, Il violino nella storia: maestri, tecniche, scuole, EDT, 2000
_Renato di Benedetto, Storia della musica: L’Ottocento I, EDT, 1985
_Christian Schmidt, Brahms, EDT, 1990

 

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