Il lavoro di Kuhn è arduo e faticoso, dal momento che ha come intento la trasformazione dell’immagine della scienza dalla quale siamo dominati. Egli si muove in maniera delicata, come un chirurgo o come un profeta, nel tentativo di scacciare via un vecchio e resistente pregiudizio, lo stereotipo della scienza come sapere cumulativo. Per centrare l’obiettivo, il professore invita a riconsiderare il ruolo della storia. A lui va il merito di aver inserito il fattore storico in contesto scientifico. A tal proposito, il primo capitolo de La struttura delle rivoluzioni scientifiche – capitolo introduttivo dedicato alla ricerca storica – si apre in questa maniera:
«La storia, se fosse considerata come qualcosa di più che un deposito di aneddoti o una cronologia, potrebbe produrre una trasformazione decisiva dell’immagine della scienza dalla quale siamo dominati. Fino ad oggi questa immagine è stata ricavata, anche dagli stessi scienziati, principalmente dallo studio dei risultati scientifici definiti quali essi si trovano registrati nei classici della scienza e più recentemente nei manuali scientifici, dai quali ogni nuova generazione di scienziati impara la pratica del proprio mestiere. È però inevitabile che i libri di tal genere abbiano uno scopo persuasivo e pedagogico: una concezione della scienza ricavata da essi non è verosimilmente più adeguata a rappresentare l’attività che li ha prodotti di quanto non lo sia l’immagine della cultura di una nazione ricavata da un opuscolo turistico o da una grammatica della lingua. Questo saggio cerca di mostrare che essi ci hanno portati a fraintendimenti fondamentali. Il suo scopo è quello di abbozzare una concezione assai diversa della scienza, quale emerge dalla documentazione storica della stessa attività di ricerca» (T. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, cit., p. 19).
Kuhn, nella sua opera, esordisce lanciando una dura accusa alla comunità degli scienziati, colpevole di aver reso la scienza una “costellazione di fatti, teorie e metodi” riportati e contenuti nei manuali scientifici correnti. La critica nei confronti di questi lavori scientifici è serrata poiché essi «sembrano spesso implicare che il contenuto della scienza sia esemplificato unicamente dalle osservazioni, dalle leggi e dalle teorie descritte nelle loro pagine»[2]. I manuali scientifici, riproducendo una storia della scienza, hanno contribuito a generare una concezione di scienza basata sull’idea di “sviluppo per accumulazione”, trattando in maniera insufficiente certe questioni scientifiche che meritano invece d’essere osservate con uno sguardo più aperto e meno rigido. Così, al fine di riprodurre fedelmente una storia della scienza, chi si è occupato dello sviluppo scientifico ha sempre determinato quando è stato scoperto o inventato un fatto, una legge o una teoria scientifica e chi è stato l’artefice o l’autore di tale scoperta o invenzione. Tuttavia, recentemente:
«Alcuni storici della scienza hanno trovato sempre più difficile adeguarsi ai compiti che il concetto di sviluppo per accumulazione assegna loro. Come cronisti di un processo incrementale, essi scoprono che ulteriori ricerche rendono più difficile, non più facile, rispondere a domande come; Quando fu scoperto l’ossigeno? Chi fu il primo a concepire l’idea di conservazione dell’energia? Alcuni di loro sospettano in misura sempre maggiore che, semplicemente, è sbagliato fare domande di questo genere. Forse la scienza non si sviluppa per accumulazione di singole scoperte e teorie» (ibidem).
Ad essere rifiutata da Kuhn è la tesi secondo la quale lo sviluppo della scienza procede per accumulazione, cioè per accumulazione di singole scoperte ed invenzioni. Ed è rigettando questo punto fermo della vecchia tradizione storiografica che il filosofo delinea una nuova immagine della scienza, un’immagine che tiene conto di svariati fattori singolari, da quello psicologico a quello sociologico. Un’immagine di scienza, dunque, che costringe inevitabilmente all’interrogazione circa il concetto di verità scientifica.
La domanda che rimane alla base del pensiero kuhniano è sempre la medesima: Come cresce la conoscenza scientifica? Nel tentativo di risposta, Kuhn pone in essere la distinzione tra “scienza normale” e “scienza rivoluzionaria (o straordinaria)”. Alla base della cosiddetta “scienza normale” c’è il concetto di paradigma, una sorta di modello o schema accettato dalla comunità scientifica. Esso ha a che fare con la fondazione della teoria scientifica, è in qualche modo il suo veicolo: «Con la scelta di questo termine [paradigma] ho voluto far presente il fatto che alcuni esempi di effettiva prassi scientifica riconosciuti come validi – esempi che comprendono globalmente leggi, teorie, applicazioni e strumenti – forniscono modelli che danno origine a particolari tradizioni di ricerca scientifica con una loro coerenza» (ivi, p. 30). Kuhn, è bene specificarlo, utilizza in diverse accezioni il termine paradigma: a) risultato in grado di attirare gruppi di studiosi appartenenti a diverse scuole di pensiero; b) risultato che genera dei “rompicapo”, cioè dei problemi da risolvere per la nuova comunità scientifica; c) teoria che risulta essere migliore rispetto a quella con cui è in competizione; d) come una sentenza emessa da un giudice che dà luogo ad ulteriori articolazioni e specificazioni. I paradigmi forniscono agli scienziati non soltanto un modello, ma anche delle indicazioni essenziali per costruire un modello. In ogni caso, i paradigmi secondo Kuhn non sono delle regole e non sono degli algoritmi: «Le regole, suggerisco, derivano dai paradigmi, ma i paradigmi possono guidare la ricerca anche in assenza di regole» (ivi, p. 64). Essi determinano teorie e metodi. Così, «allorché impara un paradigma, lo scienziato acquisisce teorie, metodi e criteri tutti assieme, di solito in una mescolanza inestricabile. Perciò quando i paradigmi mutano, si verificano di solito importanti cambiamenti nei criteri che determinano la legittimità sia dei problemi che delle soluzioni proposte» (ivi, p. 138).
Per cogliere in pieno questa concezione, in una delle pagine più accattivanti della sua opera [La struttura delle rivoluzioni scientifiche], Kuhn rivolge l’attenzione all’osservazione del fenomeno del “corpo oscillante”:
«Fin dalla remota antichità molti avevano visto che un qualunque corpo pesante, appeso a una corda o a una catena, oscilla avanti e indietro fino a raggiungere alla fine uno stato di quiete. Per gli aristotelici, che credevano che un corpo pesante si muovesse per sua natura da una posizione più elevata verso uno stato di riposo naturale in una posizione più bassa, un corpo oscillante era semplicemente un corpo che cadeva con difficoltà. Vincolato dalla catena, esso poteva raggiungere lo stato di riposo nel suo punto più basso soltanto dopo un movimento tortuoso e un periodo di tempo considerevole. Galileo invece, quando guardò un corpo oscillante, vide un pendolo, ossia un corpo che quasi riusciva a ripetere lo stesso movimento più e più volte all’infinito. Dopo aver osservato attentamente il fenomeno, Galileo notò anche molte altre proprietà del pendolo e sulla loro base costruì alcune delle parti più importanti ed originali della sua nuova dinamica» (ivi, p. 148).
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