Duecento anni dopo, Arthur Schopenhauer riprenderà questa visione sostenendo che la sostanza unica che accomuna tutti gli esseri viventi, la celebre volontà schopenhaueriana, sia una forza irrazionale, un desiderio incontrollabile che lotta contro il nostro intelletto per affermarsi. Il male è un problema umano, ognuno lotta per affermare la propria volontà di vivere sull’altro. Il mondo è così, anche per Schopenhauer, una lotta di tutti contro tutti, ma la differenza sostanziale con la teoria hobbesiana è che qui il ϑεός scompare definitivamente, non c’è nessuna derivazione divina, il male proviene dalla cosa in sé. Ma, anche se in questa visione l’aspetto teologico viene eliminato, l’etica di Schopenhauer arriva solo a un passo dalla totale emancipazione. Il male viene ancora giustificato attraverso una deterministica, totalizzante, metafisica cosa in sé. Per arrivare alla definitiva “dichiarazione d’indipendenza” dell’etica riguardo il problema dell’origine del male c’è bisogno di spingersi ancora più avanti di un secolo.
Nel 1962 Konrad Lorenz, il padre dell’etologia contemporanea, scrive Das sogenannte Böse: Zur Naturgeschichte der Aggression (L’aggressività: il cosiddetto male). In quest’opera Lorenz sostiene che ciò che noi identifichiamo eticamente come “male” sia lo sviluppo degenerato di un impulso aggressivo, presente in tutti gli esseri viventi. L’aggressività è un istinto, un impulso biologicamente adattivo, spontaneo e innato in tutte le specie. Niente Dio, niente cosa in sé. L’aggressività è un impulso biologico, punto. A primo acchito, la visione lorenziana sembrerebbe la naturale evoluzione secolarizzata delle teorie precedenti. Una teoria scientifica in stile novecentesco, legata sì all’etologia e alla biologia degli esseri viventi, ma che prende comunque le mosse dalla concezione di una innata condizione di peccato e corruzione. Ma la visione di Lorenz segna una frattura decisiva con i suoi predecessori e mette luce su cosa sia il male negli esseri viventi e da dove esso tragga origine. In primo luogo è necessario porre una differenza tra i termini: violenza e aggressività. Lo stato di guerra di cui parlano Hobbes e Schopenhauer è uno stato di violenza, egoista, insocievole, caotico, di sopraffazione, fine a se stesso. Gli esseri viventi del Leviatano, per sopravvivere senza uccidersi tra loro, devono rinunciare a tutti i loro diritti di natura in favore di un potere assoluto esercitato da un unico legislatore e sovrano. Il concetto di aggressività innata in Lorenz, invece, è uno strumento di organizzazione degli esseri viventi che permette la conservazione della vita. L’istinto aggressivo o combattivo ha la specifica funzione di garantire la sopravvivenza dell’individuo e della specie. L’aggressività permette la convivenza, addirittura, senza di essa non sarebbero possibili neanche vincoli personali come l’amicizia, l’amore e la tolleranza. In Lorenz, dunque, il concetto di aggressività ha un tono totalmente diverso da ciò che si intende comunemente con questa parola, soprattutto da ciò che intendeva Hobbes. Inoltre, Lorenz non sarebbe stato affatto d’accordo con la metafora del lupus, dato che egli notò che il lupo, ai fini di frenare il conflitto, offre all’avversario – che riconosce come superiore – il lato marcato estremamente vulnerabile del suo collo, instaurando così un rapporto di pace. L’aggressività non è violenza. In Lorenz questo termine assume un valore positivo. L’aggressività è lotta, è combattività. Io stesso, mentre scrivo queste righe mi rendo conto di essere molto combattivo. Scrivere una dissertazione è una piccola lotta, ed ogni lotta, in qualunque misura venga intrapresa, è vita. Quante volte sentiamo pronunciare frasi come: “le sfide della vita“, o “la vita è un eterna lotta“? Queste riflessioni dossologiche in Lorenz si confermano da un punto di vista etologico, dimostrando, attraverso lo studio del comportamento animale, l’importanza dell’istinto aggressivo. Tema fondamentale de L’aggressività di Lorenz è la lotta intra-specifica; così scrive lo stesso autore nella premessa: «il libro tratta dell’aggressività, ossia della pulsione combattiva, nell’animale e nell’uomo, diretta contro appartenenti alla stessa specie». Lorenz e gli etologi in genere, sono soliti distinguere l’aggressività rivolta a individui di specie diversa (lotta inter-specifica) da quella che si estrinseca nei confronti degli individui della stessa specie (lotta intra-specifica). Di fatto, la prima è essenzialmente diversa dalla seconda. Ciò che spinge un animale a cacciare è differente da ciò che lo spinge al combattimento con un suo simile. La domanda è: perché mai attaccare un individuo della stessa specie? Negli animali, nota Lorenz, ci sono diverse spiegazioni: il territorio, l’accoppiamento, l’istituzione di una gerarchia* per la conservazione della specie, l’evoluzione, la selezione naturale. Nell’uomo diventa più problematico. Per l’etologo austriaco, nel mondo animale non esiste un reale pericolo che una specie si estingua a causa dell’aggressività, anzi, è proprio l’opposto; nell’uomo, invece, questo pericolo è assai presente. Egli sostiene che nel caso del genere umano il ritmo dello sviluppo naturale ha creato condizioni alle quali l’uomo non è filogeneticamente preparato. Siamo nel pieno dell’involuzione. L’uomo non si adatta più all’ambiente: adatta l’ambiente a sé. Attraverso un uso improprio e degenerato della τέχνη (Techne, tecnica) crea armi di distruzione di massa, pigiando un semplice tasto è capace di decidere la sorte di interi popoli.

Konrad Zacharias Lorenz (1903-1989) è stato uno zoologo ed etologo austriaco. È considerato il fondatore della moderna etologia scientifica, da lui stesso definita come «ricerca comparata sul comportamento» (vergleichende Verhaltensforschung).
I deterrenti atomici con i quali minaccia di fare la guerra da un momento all’altro, i missili intelligenti lanciati a distanza e capaci di raggiungere il bersaglio riducendo le possibilità di fallimento al minimo. Certo, è paradossale concepire il “non aver distrutto migliaia di vite” come un fallimento, evidentemente queste persone sono troppo poco aggressive. È proprio questo il punto. Lorenz sosteneva che l’uso di queste moderne armi comandate a distanza esclude il contatto diretto con l’aggredito. Ciò ne aumenta la pericolosità, perché per queste ragioni, nella specie umana mancano molti dei meccanismi auto-inibitori** dell’aggressività presenti nelle specie non umane. Il comportamento aggressivo diventa fine a se stesso, perde il suo carattere di conservazione della specie e si trasforma in folle distruttività intraspecifica. Del resto, chi avrà più traumi, chi vedrà più fantasmi, l’uomo che a distanza di migliaia di chilometri fa esplodere un ordigno atomico pigiando un tasto seduto comodamente sulla poltrona del suo laboratorio, o un uomo che accoltella un altro in uno scontro ravvicinato? Il metodo lorenziano di osservazione del comportamento animale ci consegna delle importanti informazioni sul funzionamento dell’istinto aggressivo. Se osserviamo il comportamento delle oche, delle quali Lorenz diventa genitore adottivo, notiamo che i maschi per allontanare i nemici dal loro territorio ed evitare gli scontri cantano. Inoltre attirano anche gli esemplari femmina per garantire la riproduzione. Questo processo è chiamato da Lorenz ri-direction activity, ovvero, ri-direzione dell’aggressività. Si pensi a quella specie particolare di scimmie del Congo chiamate bonobo. La loro società è improntata sulla pacifica convivenza. È una specie di Homo dotata di una sviluppata sensibilità. I suoi membri riescono ad essere gentili pazienti, altruisti, solidali. L’aggressività intra-specifica è quasi del tutto assente perché riescono ad attuare una ri-direction activity di particolare successo: incanalano l’istinto aggressivo nella pratica sessuale. Di fatto è l’unica specie vivente oltre l’uomo a praticare rapporti che vanno al di là della semplice riproduzione. Vivono in una comunità matriarcale dove persino i maschi adulti dipendono dalle madri e restano tutta la vita nel gruppo dove sono nati; dove le femmine sono il sesso forte della specie e non mostrano nessuna soggezione nei confronti del maschio al quale non viene concesso nessun diritto di precedenza; dove viene praticato, insomma, una sorta di selvaggio eterno femminino in cui la donna è simbolo in terra dell’amore, si identifica con esso e con esso si eterna. I bonobo sono dunque molto legati fra loro, pacifici, filantropi. Gli animali, dunque, attraverso il loro comportamento, ci dimostrano che in natura la pace è possibile e si ottiene incanalando l’aggressività istintuale.
Per concludere, Lorenz rivoluzionò il modo classico**** di studiare gli animali: non li esaminava in laboratorio, ma viveva con loro, ne condivideva la quotidianità e partecipava da scienziato attento e rigoroso dei loro rituali. Quest’incessante attività gli permise di capire dei lati essenziali del loro comportamento e, inevitabilmente, anche di quello umano. Grazie al suo amore per gli animali e per la scienza riuscì a emanciparsi dalle precedenti e artificiose posizioni sull’origine del male proponendo una teoria semplice, realistica, scientifica. Localizzò il problema in una dimensione biologica, lo distinse dalla mera violenza, frutto di castrazione, e propose un rimedio: la ri-direzione. Non c’è bisogno di scomodare nessuna teologia, nessun teismo, nessuna metafisica. Dunque, abbiamo così raggiunto l’indipendenza dell’etica sul problema dell’origine del male. Un’etica che, finalmente, senza ostacoli trascendentali, si può occupare del riconoscimento, della gestione e del controllo di questa pulsione attraverso l’organizzazione di attività che ne permettano una deontologica ri-direzione. Un’etica che si trova nell’educazione, nella scuola, nella famiglia, in un tessuto sociale che non si basi sulla fredda castrazione di sogni, bisogni e aspirazioni, ma che garantisca possibilità di azione e realizzazione concreta dell’individuo. Lo stesso Lorenz suggerisce che l’istinto aggressivo va incanalato verso forme di scarica periodica come le competizioni sportive, l’entusiasmo per la scienza e per le arti, gli hobby e qualsiasi altra attività che possa fungere da convoglio. Si tratta di una vera e propria catarsi, che ha come scopo quello di impedire il male, ovvero l’aggressione socialmente dannosa, la violenza, per permettere la conservazione della specie umana. Una catarsi dunque, una purga dai mali, proprio come la catarsi conclusiva del Faust di Goethe, opera tanto cara al nostro Lorenz, nella quale Faust si libera dai pesi e dai mali del mondo proprio per effetto di amore.
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