30 Dic Storia della musica medievale: il sacro e il profano
di Giuseppe Baiocchi del 01/01/2017
Negli anni del Tardo Impero romano (III-IV secolo) la musica da pagana deve divenire sacra per le nuove esigenze cristiane. In una situazione confusa, la nuova tradizione musicale doveva sforzarsi di unificare il mondo cristiano, senza rompere totalmente con la tradizione. Inizialmente tale tradizione è orale, difatti le testimonianze letterarie come i Vangeli, le lettere di San Paolo usano la prassi del “salmodiare”, pratica legata al salmo davidico di derivazione ebraica, modificato alle nuove esigenze liturgiche cristiano-giudaiche che raggiunse nel III secolo l’Europa romana, partendo dall’attuale Siria (Antiochia e Damasco).
L’idea di educazione musicale riprende il concetto di “formazione dell’uomo” già espresso in età classica da Platone e Aristotele. Tale concetto sparito in età imperiale romana, viene ripreso come strumento per avvicinare l’uomo alla vera fede. Nei primi anni medievali della Chiesa, la musica era ritenuta uno strumento del demonio, fonte di corruzione e lasciva per i giovani, ma l’uso sempre più massiccio – in ambito ecclesiale – di tale disciplina come parte integrante della liturgia, fa si che l’idea iniziale muti pian piano, fino ad arrivare alla consapevolezza che il canto poteva essere uno strumento di salvezza e di elevazione spirituale, se ben impiegato.
Il canto sacro diviene strumento ausiliare della preghiera favorendone la divulgazione al popolo. Con il passare dei secoli le esigenze musicali si rendevano sempre più indispensabili e sempre più ampie: dal canto dei primi secoli, affidato ai fedeli, successivamente questo fu di competenza di cantori professionisti, data la forte elaborazione canora che rischiava di essere banalizzata e profanata da voci inesperte. La memorizzazione di testi musicali sempre più complessi – con l’invenzione dei tropi e delle sequenze – richiese anche un sistema di notazione più preciso (che non si limitasse ad un vago ricordo a memoria).
Dal punto di vista teorico i modi del canto Gregoriano rimangono con gli stessi nomi dell’antichità greca (frigia-dorica-lidia-misolidia), ma non hanno nulla a che vedere con le armonie greche.
Il Canto Gregoriano nasce nell’VIII secolo come genere musicale vocale, monodico e liturgico. Prima di ciò, l’unico punto di riferimento cristiano era rimandato al canto sinagogale ebraico (tradizione ancora viva nelle comunità ebraiche moderne) il quale anch’esso non presentava una notazione, non prima dell’VIII secolo (la notazione alfabetica greca era del tutto inadatta per i fedeli per lo più analfabeti).
Dunque la tradizione primitiva musicale cristiana si basa essenzialmente sul modello ebraico di tradizione sinogale (musica semitica) con nuovi modi Gregoriani (VIII secolo) che continueranno a portare i nomi delle armonie dei greci. I canti dei primi cristiani, in ebraico o aramaico, mutarono successivamente in lingua greco e latina che si codificò in forme più rigide nel IV e V secolo dopo Cristo.
Il Cantus Planus (Canto Piano) è un genere musicale sacro che possiede diverse caratteristiche: è una musica vocale, si esegue “a cappella” ovvero senza accompagnamento musicale, è di tipo monodico venendo eseguito all’unisono, non presenta modulazioni armoniche essendo modale e ha un ritmo verbale.
E’ utilizzato generalmente in canti religiosi, ma non è esclusivo dei canti cattolici. Il canto Gregoriano è un repertorio liturgico cristiano del Canto Piano e prende il nome da Papa Gregorio I, vissuto nel IV secolo d.C. , il quale non fu propriamente favorevole a questa tipologia di musica vocale, né fu il creatore.
In Occidente la struttura musicale fu ripresa anche da quella bizantina – struttura responsoriale e antifonaria – ma il repertorio fu unificato grazie all’utilizzo dell’unica lingua ufficiale occidentale: quella latina. Esistono, tuttavia, alcune differenziazioni come il canto Ambrosiano a Milano o il canto Gallico nella penisola iberica, ma è il canto Gregoriano ad imporsi nell’immenso repertorio del canto Occidentale.
E’ certo che Gregorio Magno I non è l’autore diretto delle importanti e fondamentali innovazioni nel campo musicale che avvennero sotto il suo pontificato, il quale riassestò tutto il mondo cristiano-cattolico con importanti riforme. Le semplificazioni e migliorie sotto il suo regno furono l’antifonario riformato, una raccolta dei testi dei canti Liturgici, e la creazione della “Schola cantorum” ovvero dei cantori professionisti che seguivano e tramandavano il repertorio.
Il Francia l’imposizione del Canto romano si consolida e diviene franco-romano per le influenze del canto gallicano, il quale apporterà definitivamente importanti influenze al Canto gregoriano adottato nell’Europa Cristiana. E’ solo nell’anno XI che si sviluppa la scrittura musicale, la quale muove i suoi primi passi gradualmente a sostituzione della tradizione orale. I cantori delle “scholae” dovevano imparare le formule melodiche da applicare ai testi della liturgia con l’aiuto di segni grafici essenziali (detti neumi) per facilitare l’apprendimento mnemonico. I cantori iniziano, così, a leggere il Repertorio come in una moderna partitura. Difatti la notazione greca era finalizzata a scopi di carattere teorico, mentre la notazione gregoriana era finalizzata a scopi meramente pratici. Tra i suoi scopi si individua l’obiettivo di riprodurre l’andamento della melodia per fissare una modalità esecutiva distinta e in secondo luogo i neumi (i segni) vengono ricondotti a derivazione dati dalla trasformazione degli accenti latini oratori, strettamente legati alla “Scuola Cantorum”. I primi neumi furono tracciati sopra il testo, senza rigo per indicarne il moto (né altezza, né intervalli tra suoni diversi) e furono nominati come “notazione adiastematica” o “notazione in campo aperto”.
Successivamente si inventò un sistema ritmico di notazione che permettesse di definire il valore di durata di ogni singola nota. Fu introdotta la linea e le relative chiavi per indicare i neumi che cadevano sulle linee. Dalla metà del X secolo si cominciò ad usare una o due linee orizzontali, di colore rosso per indicare il FA e di colore giallo per indicare il DO; Infine dal XI secolo si arriverà al Tetragramma, un sistema di quattro righi, che rimarrà adottato in tutto l’ambiente musicale occidentale.
Sempre a partire dal IX secolo si impiegò accanto alla notazione neumatica alcune notazione di carattere alfabetico per indicare i suoni (soprattutto nei brani polifonici). Per segnare con più precisione la melodia si usò un sistema con un numero di linee variabili, dove i “segni” furono definiti “dasiani” con derivazione greca. Tale sistema era noto per l’uso – nel tetracordo – di quattro segni per i suoni, i quali vengono usati per annotare rispettivamente un tetracordo più basso e i due tetracordi e mezzo più alti. I neumi del sistema dasiano furono anche chiamati “di notazione quadrata” (neumi quadrati, di forme grosse e quadre) a partire dall’XI secolo quando l’esattezza e la precisione delle singole note aumentò notevolmente.
Secondo la notazione quadrata – fondata sulla equivalenza ritmica delle note – che si discosta dell’interpretazione mensurale (successione di valori lungo e breve) vi sono neumi che rappresentano da una a tre note: Virga, Punctum (1 nota); Pes, Clivis (2 note); Scandicus, Climacus, Torculus, Porrectus (3 note). Nel 1904 con il decreto del Motu proprio, Papa Pio X adotta ufficialmente i neumi quadrati.
Bisognerà aspettare il 1100 d.C. per avere un sistema pratico di notazione comprendente sia note quadrate singole, che raggruppamenti di note dette ligarurae (le legature) per definire la durata di queste.
La scuola parigina di Notre Dame (prima scuola polifonica sacra del 1175 d.C.) introdusse e elaborò tale notazione, la quale nel basso medioevo verrà definita “modale” (notazione modale) esprimendosi in sei modi ritmici. Ogni modo ritmico è scandito dalle ligaturae che arrivano a racchiudere fino a cinque note. Il modo ternario (una ligaturae da tre) si impone sul binario (imperfetto), poiché deriva dal numero della Trinità, considerato perfetto. Si deve al tedesco Francone da Colonia l’introduzione della semibrevis (semibreve) espressa in forma romboidale, la quale ebbe l’efficacia di fissare ancor di più il valore di durata della nota. Nel 1200 d.C. si vedrà l’inserimento anche del punctus divisionis (punto di divisione), ovvero di un punto posto appena dopo la nota, che diventerà successivamente il moderno punto (anche se nel medioevo non ebbe il carattere di allungare la nota di metà del suo valore). La piena legittimità del sistema binario arriverà nel 1300 con Jehan des Murs (1300-1350) teorico e matematico parigino. Parallelamente il compositore Philippe de Vitry (1291-1361) nel suo trattato Ars nova (arte nuova) definirà un nuovo sistema di notazione che prenderà il nome di mensurale: un rapporto tra breve e semibreve (tempus) e semibreve e minima (prolatio) con entrambi i rapporti trasformabili in tempi perfetti (ternario) o imperfetti (binario). Nel tardo medioevo (XV secolo) i valori di tempo più lunghi – nel sistema della notazione – furono contraddistinti dallo scrivere solo la parte perimetrale della singola nota, lasciando il centro bianco: nasce la “mensurale bianca”. Le note “nere” si lasciano per valori piccoli.
Bisogna dunque tener presente nel canto gregoriano il rapporto tra la parola e la musica, comprendendo il tutto attraverso gli archi melodici, l’accento delle parole e l’andamento prosodico.
Carlo Magno (742-814, re dal 768) impose l’uso – attraverso l’emanazione di atti legislativi – dei libri liturgici romani in tutte le aree dell’impero, per ammirazione verso le usanze romane oltre che per ragione di natura politica. Papa Leone III incoronò Imperatore del Sacro Romano Impero Carlo Magno il 25 dicembre dell’800 d.C. decretando la prosecuzione naturale del glorioso Impero Romano d’Occidente. La legislazione carolingia contribuì al processo di unificazione ecclesiastica che promuoveva l’uso liturgico, anche nelle scuole. L’apprendimento e l’esecuzione dei canti romani in terra francese doveva avvenire su basi sicure e le melodie dovevano essere fissate su basi certe. Così insieme al canto Gregoriano, nasceranno i primi Tonari: dei libri liturgici che classificano i brani del repertorio sacro secondo la loro appartenenza ad uno degli otto toni ecclesiastici (octo echoi – anche se i primi tonari recano solamente l’incipit dei testi liturgici e non la musica).
Il supporto mnemonico scritto, si basava sulle cadenze conclusive dei salmi, suddividendosi in tono per tono (modi) con le differenze inerenti ai singoli toni stessi. I toni non furono semplici scale, ma vere e proprie formule melodiche, le quali si aggiravano intorno all’asse della corda di recita, quest’ultima era nel canto fondamentale poiché intorno a lei, insisteva la cantillazione salmodica.
Successivamente gli otto modi furono classificati in scale costruite tramite una sovrapposizione – dei modi autentici – e di una sottoposizione con i modi plagali. Vi sono otto modi (toni) medievali (ogni modo possiede la classificazione autentico e plagale):
_protus (re-la) per il primo modo
_deuterus (mi-si) per il secondo modo
_tritus (fa-do) per il terzo
_tetrardus (sol-re) per il quarto
Vi era poi la finalis su cui terminava la melodia e la repercussio attorno alla quale la melodia ruotava.
Dunque il Gregoriano vocale si elabora attraverso i canti, organizzati secondo i periodi dell’anno liturgico. I testi sono raccolti all’interno del Breviarium (notazioni musicali) e l’Antifonario (antifone, responsori, versetti). La figura centrale del culto Cristiano è Gesù Cristo con i suoi eventi scanditi tra nascita-morte-resurrezione. I riti della Chiesa di Roma si articolano in due Servizi Fondamentali:
_la liturgia delle Ore (l’Ufficio). Otto sono le ore canoniche attraverso le quali viene scandita la giornata per i fedeli: mattutino (2.00), Lodi (alle 5.00), Ora Prima (7.00), Terza (9.00 – segue liturgia Eucaristica), Sesta (12.00), Nona (15.00), Vespri (17.00) e Compieta (20.00) – contenuti nel libro Liber Usualis;
_la liturgia Eucaristica (La Messa) – la quale si suddivide in tre momenti: riti di introduzione, Liturgia della parola, Liturgia eucaristica. Questa struttura si consoliderà intorno al IX-XI secolo e sarà solo in lingua latina, fino al Concilio Ecumenico Vaticano Secondo (1962-1965) che permise l’utilizzo delle lingue correnti nei paesi dove la messa veniva celebrata. I canti della messa si suddividono in Ordinarium Missae (Ordinario della Messa: Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Agnus Dei – contenuti nel tomo liturgico del Kyriale) e Proprium Missae (Proprio della messa: Introito, Graduale, Alleluia/Tractus, Offertorio, Communio – contenuti nel tomo liturgico del Graduale).
Inizialmente si richiedeva la partecipazione canora dei fedeli, ma successivamente il coro fu affidato a cantori professionisti. Per i canti della Proprium Missae si hanno due diverse esecuzioni: l’esecuzione dei canti antifonali (Introito, Offertorio, Communio) distribuiti tra due cori alternati e l’esecuzione dei canti responsoriali (Graduale, Alleluia/Tractus) affidati alternativamente a solista e coro. All’interno dei canti responsoriali – infine – vi sono due differenze vocali: il melismatico e il sillabico; il primo ha una fioritura melodica vasta (melisma) fino a 30/40 note per singola sillaba del testo, mentre il sillabico ad ogni nota corrisponde una sillaba.
Sempre a partire dal IX secolo d.C. i cantori dell’Impero Franco coltivarono e svilupparono per i Canti della liturgia Eucaristica, una interpolazione ai testi che prese il nome di Tropi, i quali avevano lo scopo di approfondire il senso teologico del testo liturgico.
Altro grande protagonista per la musica medievale, possiamo riscontrarlo in Guido D’Arezzo (990 circa-1050 circa), il quale per meglio definire i caratteri dei modi e per facilitarne la memorizzazione creò l’esacordo, – che sostituendosi al tetracordo – facilitò l’operato dei cantori, dove la scala di sei suoni aveva l’aggiunta di una nota all’inizio e alla fine. Il monaco per facilitare la letture introdusse anche un primitivo solfeggio cantato. Per facilitare l’apprendimento da parte dei cantori del sistema della solmisazione si congegnò un aiuto visivo, che prese il nome di “mano guidoniana” – presente in numerosi trattati medievali – dove su ciascuna falange e alle estremità delle dita (mano sinistra) sono presenti le diverse sillabi delle scale esacordali.
In Età Carolingia (l’impero retto da Carlo Magno) si crearono due realtà: il classico repertorio liturgico del canto gregoriano monodico e parallelamente il dramma liturgico con la polifonia. Il risultato fu il mantenimento del canto Gregoriano, il quale poteva – pur mantenendo l’originale come fondamento – essere variato con aggiunte di carattere musicale e testuale. Il tropo, dunque, ebbe rilevanza anche per possibile fatture di un primo mutamento in campo accademico musicale. Forma particolare del tropo è la sequenza, ovvero una aggiunta di testo letterario al melisma alleluiatico del testo. Il testo liturgico diviene il pilastro della costruzione polifonica e viene utilizzata come abbellimento della liturgia al fianco dei tropi e delle sequenze. Sempre in epoca carolingia è il tropario di Winchester (raccolta di tropi), il quale contiene al suo interno il primo esempio di dramma liturgico: il “Visitatio sepulchri” – consiste in un dialogo fra gli angeli (coelicole) e le pie donne (christicole) sul comportamento di queste ultime recatesi al Sepolcro di Gesù già risorto. Il dramma liturgico fu traslato come tropo nella messa pasquale per via della possibilità di un ampliamento maggiore del dramma con l’aggiunta di nuove parti musicali, nuovi episodi e la migliore sincronizzazione tra la celebrazione liturgica insieme a quella narrativa evangelica. Il dramma liturgico tematicamente più ricco è quello del Ludus Danielis dove sono presenti una cinquantina di melodie, mentre del dramma dello Sponsus vedrà la compresenza di parti in latino e parti in francese dialettale: primo crocevia tra il dramma liturgico e quello extraliturgico in volgare, il quale avrà molta importanza in ambito teatrale.
Nell’888 d.C. con Carlo il Grosso, l’Impero Carolingio si disgrega con la conseguenza di importanti trasformazioni a livello musicale date dall’instaurazione del feudalesimo. I monasteri, detentori del monopolio culturale musicale, iniziarono a non essere più i soli a produrre musica, poiché questa inizia ad essere anche ad uso privato, all’interno dei Castelli e dei borghi – aprendo la nuova strada della musica di derivazione laica. Tale miscellania tra canto gregoriano (melopea sacra), contenuti poetici cortesi, mezzi linguistici profani, influssi popolari creano “la tradizione poetico-musicale profana”. Nasce la figura del trovatore o trovadore o trobadore (forma arcaica, derivante da tropo – tropator): un compositore ed esecutore di poesia lirica occitana (ovvero di testi poetici e melodie) che utilizzava la lingua d’oc, parlata, in differenti varietà regionali, in quasi tutta la Francia a sud della Loira. I modelli politici e culturali della tradizione laica riuscirono gradualmente ad affermare l’importanza della Cattedrale, come luogo per eccellenza delle attività musicali, con il monastero che viene emarginato in maniera progressiva. La cattedrale diviene così la sede delle pratiche liturgiche collettive. Dopo la “Scuola di Parigi” la polifonia inizia ad avere un carattere profano, dando vita all’Ars Nova, che osservava l’elemento musicale come prodotto piacevole per l’animo e non ragionava più come un duplicato ritmico e numerico dell’ordine cosmico.
La monodia divenne, così, profana e concesse i suoi temi poetici all’arte polifonica. Manteneva ovviamente alcuni fondamentali equivalenze con il canto liturgico: la terminologia, l’andamento melodico con l’alternanza tra i sillabismi e i melismi, l’articolazione dello sviluppo melodico intorno alle note polari (una o due), libera concordanza metrica tra testo e musica. Uno dei massimi esponenti dell’Ars Nova è stato Guillaume de Machaut (1305-1377), compositore francese, grande fautore di questa contiguità.
L’Ars Nova si sviluppa anche in Italia, dove sono presenti più espressioni monodiche devozionali (le laudi). In Italia, difatti, avviene in anticipo il passaggio tra la civiltà feudale e la società comunale, che vedrà la nascita della borghesia urbana. Tale nuova società, vuole elevarsi – come quella aristocratica – e cercherà di implementare il campo musicale. Nascono le corporazioni musicali e si fisseranno vere e proprie tariffe per le prestazioni di cantori e musici. Si avranno le performance di giullari e trovatori unite ad una dimensione urbana congestionata di eventi sonori e di manifestazioni musicali che soddisferanno le più disparate esigenze. Nelle regioni meridionali della Francia – di lingua occitana – si introduce una nuova visione dell’amore e una innovativa modalità canora. Nasce l’amor cortese: una sublimazione dell’amore erotico il cui la cortezia (corteggiamento amoroso) tre modello e simbolo dai valori cavallereschi di qualche secolo prima. Tale comportamento diviene un nuovo mezzo per la purificazione spirituale, che riesce a far giungere l’uomo alla joi, ovvero la beata estasi, di cui la stessa “gioia” sarebbe già una riduzione del termine.
Così i trovatori suddivideranno l’amor cortese in tre grandi generi poetici che toccano la canzone d’amore, la situazione poetica e il soggetto poetico: la canso, l’alba e la pastorela. Parallelamente all’amore verrà sviluppato anche l’argomento satirico e politico (il sirventes) con gare poetico-canore (la tenso). La maggior parte dei codici è in notazione neumatica quadrata senza indicazioni mensurali (relative al valore ritmico delle note). Dopo duecento anni, anche la tradizione trovadorica decadde per la fusione della cultura della Francia meridionale (lingua doc) con quella della Francia settentrionale (lingua doil). Le cause, come sempre, sono diverse: dai giullari, questi artisti saltinbanchi itineranti che vagavano di corte in corte – entrando spesso in maniera fissa nelle corti come menestrelli (ministeriales, da ministerium ovvero servizio fisso) – esportando il canto trobadorico; ai matrimoni tra nobili fino alle crociate come quella effettuata nel 1208-1229 che devastò la Linguadoca materialmente e culturalmente. Infine la decadenza, come spesso accade, è avvenuta anche per esaurimento del fenomeno culturale, il quale una volta raggiunto l’apice può solo scendere: semplicemente si era esaurito lo spirito. Nella Francia nel Nord vi era la figura del troviere (non quella del trobadore, figura – come detto – della Francia meridionale) che prediligeva i canti di genere narrativo come la Chanson de toile, la quale riprende elementi narrativi delle antiche chanson de geste (di cui la Chanson de Roland è la più famosa) intonate su una stessa melodia che si ripeteva.
Nella seconda metà del XII secolo il canto tovadorico e trovierico influenza le aree a lingua tedesca. Il trovadore prende il nome di Minnesänger ed il canto del Minnesang. Il tutto era organizzato in corporazioni che attuavano la parafrasi dei testi dal francese al tedesco. Una particolare struttura tedesca era quella di Bar (poema) che consiste nella successione di due piedi e una chiusa: AAB che sotto il profilo ritmico-esecutivo riprende la medesima tradizione francese.
In Italia la monodia extraliturgica fiorì nell’ambito del movimento dei laudesi, suddiviso in confraternite che praticavano i canti delle laude. Sulla scia di S.Francesco e degli ordini mendicanti, i quali proponevano una rivoluzionaria forma spirituale di devozione, rielaborano i temi dei due cicli dell’anno liturgico in un volgare vibrante di commossa partecipazione e ricco di immagini colorate. Tra i vari tipi di laudari riscontriamo quello di Cortona e quello Magliabechiano. Le laude sono uniche poiché uniscono gli elementi del canto liturgico con quelli della tradizione profana.
Per approfondimenti:
_Baroni, Fubini, Petazzi, Santi, Vinay – Storia della musica – edizioni Piccola biblioteca Einaudi
_Elvidio Surian – Manuale di storia della musica, vol.1 – edizioni Rugginenti (6°)
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