19 Dic Le priorità del Governo Gentiloni
di Giuseppe Baiocchi del 19/12/2016
Alla conclusione di questa crisi di Governo si possono trarre due conclusioni, una positiva, l’altra negativa: la prima è la rapidità con cui ha agito Sergio Mattarella, che ha mostrato piena consapevolezza delle urgenze del Paese, imponendole alle forze politiche sin dall’inizio del percorso tenendo conto delle scadenze della nazione; la seconda conclusione poco positiva è dettata dalla stessa lista dei Ministri letta il 12-06-2016 da Paolo Gentiloni, il quale suggerisce l’idea di un Governo pensato per reggere il “minimo” sia nelle sfide che nella durata. Un pensiero riconducibile a Matteo Renzi (suo predecessore) che ha disegnato un percorso congressuale con lo sguardo a elezioni ravvicinate con l’esecutivo in piena continuità con il Governo dimissionario.
Un analisi di tutti i Ministeri con obiettivi e scadenze.
_Il ministro all’economia Pier Carlo Padoan (tecnico) prima di entrare nel governo con l’arrivo di Renzi al Palazzo Chigi, è stato un economista sia all’università, sia in organismi internazionali come l’Ocse dove ha ricoperto il ruolo di vice-segretario generale e il fondo monetario internazionale. Nel suo curriculum anche le consulenze per la banca mondiale, la Commissione Ue e la Bce.
Le sue priorità passano anche per i dossier più caldi del suo tavolo: il primo impegno sarà la risoluzione della questione “banche”, dal Monte dei Paschi di Siena agli altri aumenti di capitale in difficoltà – Popolare di Vicenza, Veneto Banca e Carige – fino alla difficile cessione delle quattro “banche buone” nate dalla risoluzione di Banca Etruria, Banca Marche, Carichieti e Cariferrara. Nell’agenda di Via XX Settembre spicca anche la prosecuzione del confronto con l’Europa sulla manovra di bilancio 2017, in vista di una possibile correzione che dovrebbe essere chiamata a marzo dalla Commissione.
_il ministro allo sviluppo economico Carlo Calenda (Pd) ha occupato già lo stesso ministero nel governo Renzi. Nominato per tale ruolo lo scorso maggio dopo le dimissioni di Federica Guidi. Calenda, nei precedenti quattro mesi aveva ricoperta il ruolo di Rappresentante permanente d’Italia presso la Ue. Nel 2013 era stato nominato vice-ministro proprio al Mise con il governo Letta con la delega per le politiche di internazionalizzazione. Calenda è stato direttore dell’Area Strategica Affari internazionali di Confindustria e ha avuto incarichi sky Italia, Ferrari e Interporto Campano. Tra le sue priorità che dovrà affrontare nei prossimi mesi, spicca l’implementazione del piano Industria 4.0, soprattutto con la creazione di centri di competenza pubblico-privati. Calenda continuerà a lavorare alla nuova strategia energetica nazionale che potrebbe essere presentata ad aprile prima del prossimo G7 energia. Vanno poi completati la riforma delle agevolazioni per gli energivori e vanno resi operativi i riassetti del Fondo di garanzia Pmi e dei contratti di sviluppo.
_il ministro dell’interno è il sessantenne Marco Minniti (Pd) di Reggio Calabria – da sempre legato al mondo della sicurezza nazionale: sottosegretario alla Difesa, vice-ministro all’Interno e con delega all’intelligence nei governi Letta e Renzi.
I suoi obiettivi sono l’emergenza più immediata e attuale dell’immigrazione: dall’inizio dell’anno gli sbarchi sono arrivati a 175.323 record storico assoluto. Al Viminale si calcola che alla fine dell’anno potrebbero raggiungere quota 190 mila. Minniti dovrà fare i conti con l’Anci e un piano di distribuzione dei migranti in tutti i centri urbani. Oggi solo 2800 comuni accolgono immigrati – finora fermo per le proteste della maggioranza dei sindaci italiani. Ma al ministero dell’interno si giocherà anche la questione più importante e più strategica dello stesso governo Gentiloni: la riforma elettorale. Proprio negli uffici dell’Interno sono possibili verifiche e simulazioni di un nuovo modello. E’ lo sbocco decisivo per la prossima legislatura.
_Arriviamo al Ministero degli Esteri: Angelino Alfano (Ncd) è stato ministro dell’Interno dei Governi Letta-Renzi. Dal 2008 al 2011 è stato ministro della giustizia del governo Berlusconi. A Novembre 2013 è stato promotore della scissione dal Pdl e del lancio di Ncd di cui viene eletto presidente il 13 aprile 2014.
Da Gennaio il nostro Paese presiederà il G7 con tutte le riunioni preparatorie che culmineranno con il vertice dei capi di Stato e di Governo di Taormina il 26 e 27 maggio. Da Gennaio l’Italia siederà anche nel consiglio di sicurezza dell’ONU (per un anno) e a novembre avrà la presidenza di turno del consiglio.
Sempre con il nuovo anno, l’Italia farà parte della trojka dell’Osce e presiederà il gruppo di contatto per il Mediterraneo con responsabilità sul “Processo sui Balcani Occidentali” nel vertice di capi di stato e di Governo di quei paesi tra Giugno e Luglio in Italia. Il 25 marzo a Roma è invece fissato il Consiglio europeo per le celebrazioni della firma dei Trattati istitutivi della comunità europea.
_Il Sottosegretario alla Presidenza Maria Elena Boschi (Pd) è stata eletta deputata nel 2013 e nel dicembre dello stesso anno entra come responsabile delle riforme istituzionali. L’anno successivo, dopo la caduta del governo Letta, viene nominato ministro per le Riforme e i Rapporti con il Parlamento. In questo ruolo ha coordinato direttamente la definizione dell’Italicum e del disegno di legge di riforma costituzionale.
Nella sua nuova veste di sottosegretario alla presidenza del Consiglio con la funzione di segretario del consiglio dei ministri dovrà curare la verbalizzazione e la conservazione del registro delle deliberazioni del Cdm, secondo la lettera della legge 400 sulla presidenza del Consiglio. In realtà il suo ruolo sarà più ampio e politico: dovrebbe garantire uno snodo cruciale di mediazione e coordinamento sui principali dossier che saranno gestiti direttamente da Palazzo Chigi. Tra le priorità anche quello di definire il ruolo e le delghe da affidare ad altri sottosegretari alla Presidenza del Consiglio.
_Alla Giustizia Andrea Orlando (Pd) parlamentare dal 2006. E’ al terzo mandato ministeriale in questa legislatura: prima all’ambiente con Letta, poi alla Giustizia con Renzi e ora con Gentiloni. Esponente di spicco della corrente interna “Giovani Turchi” è considerato un possibile candidato alla segreteria.
Tra i dossier aperti, c’è soprattutto la riforma della giustizia penale, una delle più qualificanti per il governo Renzi: 40 articoli (molti di delega) sui temi scottanti come prescrizione, intercettazioni, carcere, bloccati al senato per volontà di Renzi, contrario ad andare al voto (anche di fiducia) prima del Referendum su un provvedimento che divide la maggioranza e il Pd, malgrado le pressioni di Orlando. Ancora alle prime battute la riforma del Processo Civile. Da sciogliere, poi, il nodo assunzione dei cancellieri (gli emendamenti alla Bilancio sono stati fermati) e proroga delle pensioni dei magistrati: l’Anm ha sospeso la proclamazione dello sciopero in attesa di interventi del governo promessi a Renzi.
_Roberta Pinotti (Pd) è confermata al Ministero della Difesa. Il modello di difesa è in evoluzione, ma ci sono criticità contingenti: come l’impiego dei 7mila militari dell’Esercito nell’operazione “Strade Sicure”, dislocati in funzione di controllo del territorio e anti-terrorismo. Il ministro Pinotti, poi, deve seguire con il dicastero degli Esteri il dossier Libia, dove il governo Serraj stenta a decollare. In attività nel Mediterraneo davanti alle coste libiche ci sono le unità della Marina militare, un gruppo ristretto di militari sul campo, un lavoro d’osservazione d’intesa con l’Aise (agenzia informazioni e sicurezza esterna). Corposo poi il capitolo nomine: oltre al capo di gabinetto da designare, entro febbraio 2017 scadono il capo di Smd, Claudio Graziano, il numero uno dell’Estero Danilo Errico e il comandante generale dell’Arma, Tullio Del Sette.
_Altra conferma quella delle infrastrutture: Graziano Delrio (pd) ricopre il ruolo dal 2 aprile del 2015. Subito prima aveva ricoperto la carica di sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei Ministri. E’ stato anche ministro per gli affari regionali del Governo Letta, sindaco di Reggio Emilia e presidente dell’Anci.
In cima alla lista delle priorità c’è il trasporto pubblico locale. Lo ha detto chiaramente la legge di Bilancio, che ha gettato le basi per un maxi piano di rinnovo del parco autobus in tutta Italia. Contemporaneamente iniziaerà anche la fase operativa del programma di messa in sicurezza delle ferrovie regionali. Entro aprile 2017 andranno chiusi – anche – due provvedimento strategici. Il primo è il decreto correttivo del codice appalti. Il secondo è il Documento pluriennale di pianificazione delle infrastrutture che indicherà le priorità nazionali. Dal Mit dipendono anche l’attuazione del sisma-bonus e il nuovo glossario unico che semplificherà i titoli edilizi per gli interventi privati.
_Il Ministero del lavoro ha avuto un’altra conferma: Giuliano Gentiloni. Proviene dal mondo della cooperazione e sotto il governo Renzi ha varato il Jobs act, mentre nella legge di Bilancio 2017 ha introdotto risorse per la lotta alla povertà e messo a punto un pacchetto di misure per anticipare la pensione. Ora dovrà completare le riforme lavoristiche: a partire dalla riduzione strutturale del cuneo sui rapporti stabili, annunciata più volte nei mesi scorsi, come prosecuzione naturale degli annunciati sgravi contributivi. Bisogna poi far decollare il nuovo sistema di politiche attive, ora in capo all’Anpal; e attuare – con provvedimenti amministrativi – il pacchetto previdenziale contenuto in manovra, dall’Ape agli usuranti. Resta poi da affrontare il nodo crisi aziendali considerato che a fine anno usciranno di scena due ammortizzatori sociali: la mobilità e la cassa integrazione in deroga.
_Veniamo ora a Beatrice Lorenzin, ministro della salute (Ncd) al suo terzo mandato nello stesso ministero. Dal governo Letta in quota Forza Italia, a quello Renzi e adesso come rappresentante di Ncd.
Numerosi i dossier aperti che Lorenzin si ritrova sul tavolo. A partire dai nuovi Livelli essenziali di assistenza (Lea), una partita da 800 mln l’anno vincolati dal Fondo sanitario: si attende il parere delle Commissioni Sanità di Camera e Senato, ma toccherà al consiglio dei Ministri l’assenso finale anche se l’applicazione verrà conclusa nel 2017. Altro nodo è il rinnovo dei contratti per medici e tutto il personale del Ssn, ma anche delle convenzioni per medici di famiglia e farmacie. C’è poi l’applicazione della manovra 2017 alla voce farmaci, in particolare per quelli oncologici e innovativi e per i vaccini. Sul fronte parlamentare spicca la legge sul rischio clinico per gli operatori sanitari, problema sempre più urgente sia per i medici che per gli ospedali: il Ddl è al Senato, ma dovrà tornare in terza lettura alla Camera.
_Altro ministero che ha ricevuto conferma è il Ministro dei beni Culturali e Turismo Dario Franceschini (Pd). E’ stato ministro per i rapporti con il parlamento nel Governo Letta, Sottosegrtario alla Presidenza – con deleghe alle riforme – nel scondo Governo D’Alema. Proviene dalla Dc ed è stato tra i fondatori della Margherita. Franceschini ha avviato un profondo riassetto del ministero, sia a livello centrale sia in periferia: rivisto numero e accorpamento delle direzioni centrali, conseguenza della riorganizzazione delle soprintendenze – elemento che fu molto criticato per gli addetti ai lavori.
Sono stati creati 20 super-musei con direttori scelti attraverso un bando internazionale a cui se ne sono aggiunti altri dieci. Obiettivo principale è mandare a regime la riforma che deve vedere anche completato il reclutamento straordinario di 500 tecnici. Ci sono poi da fare tutti i decreti attuativi della legge sul cinema, in vigore da dicembre 2016. Sul versante turismo, dopo la riorganizzazione di Enit, è atteso il varo definitivo del piano strategico.
_Proseguendo con l’analisi Valeria Fedeli (Pd) è il nuovo Ministro dell’Istruzione, unico ministero ad aver avuto una vera e propria bocciatura in difformità con lo scorso governo (l’uscente Stefania Giannini).
Valeria fedeli nasce a Treviglio nel bergamasco il 29-07-1949 con diploma tramutato in laurea in Scienza Sociali dall’Unsas. Scende in politica dopo una lunga esperienza di oltre trent’anni nella Cgil. Sul sito istituzionale del Pd si definisce “femminista, riformista, di sinistra”.
Tra i dossier più urgenti c’è l’attuazione della riforma della Buona Scuola che è stata una spina nel fianco dell’ex premier Renzi. Resta innanzitutto da capire cosa succederà alle nuove deleghe attuative della riforma, finora rimaste sulla carta. Va poi decisa la sorte del concorsone presidi: doveva arrivare a fine anno, ma ora si è tutto fermato. Con il rischio di trovarsi a settembre il solito boom di istituti retti a reggenza. Tra le prime priorità per l’università c’è l’attuazione delle misure previste dalla manovra: dalle super-borse di studio, alla no tax area per gli studenti più indigenti fino a 270 milioni per i migliori dipartimenti universitari. Da capire anche il destino del decreto sulle cattedre Natta contestato dal mondo accademico.
_Alle Politiche agricole il Ministero è stato affidato nuovamente a Maurizio Martina (Pd). Diplomato all’istituto tecnico agrario di Bergamo e laureato in scienze politiche, il 22 febbraio 2014 è stato nominato nel governo Renzi ministro delle Politiche agricole, con delega all’Expo. Con il precedente esecutivo Letta era sottosegretario nello stesso ministero. E’ a capo dell’area Pd “sinistra e cambiamento”.
Ha ottenuto con le ultime due manovre consistenti sgravi fiscali per gli agricoltori (1,3 miliardi) e agevolazioni (anche previdenziali) per i giovani. In agenda la priorità è innanzi tutto il negoziato che si apre a Gennaio per la riforma della Politica agricola comune, partita strategica per l’Italia che incassa ogni anno 4 miliardi di aiuti diretti all’Ue. Sul fronte interno dovrà completare la ristrutturazione degli enti vigilati, con la Riforma dell’Agea. Resta aperta anche la questione dell’etichettatura super trasparente dei prodotti alimentari. Dopo il latte, ora viene la pasta. Tra le sfide anche nuovi strumenti per favorire l’aggregazione delle filiere e il rilancio della ricerca.
_Gian Luca Galletti (Udc) è stato riconfermato all’Ambiente. E’ stato sottosegretario al ministero dell’Istruzione del governo Letta tra maggio 2013 e febbraio 2014, subito prima di entrare nell’esecutivo Renzi. La prima sfida arriva dall’emergenza smog: l’anno scorso Galletti ha dato vita al tavolo sulla qualità dell’aria. Ora che le polveri sottili tornano a salire, si attendono i primi risultati. Nel giro di qualche settimana dovrà firmare anche il parere sul nuovo piano ambientale dell’Ilva di Taranto. Le prossime settimane saranno, poi, decisive per l’attuazione di un pacchetto di interventi sul rischio idrogeologico: soprattutto è al traguardo un prestito Bei da 800 milioni. Ancora bisognerà lavorare sulla gestione delle acque reflue. Dopo la maxi multa chiesta da Bruxelles, andranno sbloccati i fondi fermi. Infine, c’è la partita del Dpr sulla gestione delle terre da scavo: approvato in estate, è atteso ancora in Gazzetta Ufficiale.
_Nel ministero degli Affari regionali si è operato ancora verso una riconferma: Enrico Costa (Ncd) ricopre il ruolo già da 11 mesi e mezzo, dopo essere stato sottosegretario e vice-ministro alla Giustizia.
Avamposto dei rapporti con le autonomie, il ministero (senza portafoglio) per gli Affari regionali gestisce per conto del Governo i diversi dossier da trattare con Regioni e Comuni. Partita che vede nelle conferenze la sede decisionale. L’agenda è ricca di temi caldi: il trasporto pubblico locale e la sanità, capitoli cruciali per le finanze locali. Dopo il jobs-act si sono lasciate irrisolte diverse questioni come i centri per l’impiego e il finanziamento per gli ammortizzatori. Capitolo attualissimo è quello dell’azione di rivalsa verso le autonomie in conseguenza delle multe da parte della Ue, in primis le sanzioni per le discariche abusive. Senza dimenticarci le concessioni demaniali e i nuovi limiti di distanza per l’installazione di macchinette per le scommesse.
_Il Ministero dei Rapporti con il Parlamento vede – di contro – una nuova figura. Anna Finocchiaro (Pd) è stata ministro per le Pari Opportunità durante il Governo Prodi I ed era attualmente presidente della Commissione Affari costituzionali al Senato. La lotta alla corruzione nel settore privato, lo scambio autonomatico e obbligatorio di informazioni fiscali, insieme alla gestione dei diritti d’autore sono tra le deleghe attuative della legge di delegazione Ue che sono in scadenza questa settimana. Senza il decreto inviato alle Camere il 16 il Governo non potrà dare attuazione alle tre distinte direttive con inevitabile richiamo della Commissione Ue. Entro la fine della settimana, poi, ci sarà da portare a termine anche il decreto sul terremoto all’esame definitivo della camera e in scadenza sabato 17 dicembre. Nelle stesse ore il nuovo ministro per i rapporti dovrà coordinare il lavoro di messa a punto del decreto di fine, più noto come il “milleproroghe”. Sempre entro la fine dell’anno andranno recepite anche le condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi nei trasferimenti intra societari.
_Ancora un nuovo ministro per la Coesione Territoriale e Mezzogiorno, che vede nella figura di Claudio De Vincenti (Pd) l’individuo prescelto. Nel Governo Renzi ha curato dossier caldi come quello delle crisi aziendali e dei patti territoriali. Sottosegretario allo Sviluppo Economico prima, e poi vice-ministro – dal 10 aprile 2015 – è stato sottosegretario alla Presidenza. Dal novembre 2011 ha ricoperto la carica di Sottosegretario allo Sviluppo Economico fino al febbraio 2014. Ha svolto attività di ricerca e di insegnamento come professore ordinario di Economia Politica all’università La Sapienza di Roma.
Le sue priorità si aggirano intorno alla coesione gestionale (più che programmatica) già parzialmente analizzata da Sottosegretario. Dovrà far funzionare i Patti per il Sud, e aumentar dunque la spesa per le aree svantaggiate del Paese, Sud e non solo: progetti per infrastrutture materiali, sviluppo economico, servizi sociali, utilizzando per la prima volta l’Agenzia per la coesione. I soldi ci sono (circa 100 miliardi di euro da ora al 2023), ma vanno spesi.
_Torniamo ad una riconferma per il Ministero della Pubblica Amministrazione e Semplificazione. Marianna Madia (Pd) ha debuttato in politica nel 2008 quando allora era sottosegretario del Pd e Walter Veltroni la scelse come candidata alla Camera. Laureata in Scienze Politiche alla Sapienza di Roma e specializzata in economia del lavoro all’Istituto di Studi avanzati di Lucca, è entrata nella segreteria nazionale del Partito democratico nel 2013 e l’anno successivo ha debuttato al governo come ministro per la PA e la Semplificazione nel governo Renzi.
Due impegni principali: i correttivi ai decreti attuativi della riforma della Pa, a cui ha legato il suo nome, su partecipate, assenteisti e dirigenti sanitari, e la prosecuzione nel cammino dei decreti con le nuove regole per il pubblico impiego. Da questo passaggio – chiamato a riscrivere le norme sul rapporto di lavoro – contrattazione integrativa e licenziamenti per giusta causa, dipende la possibilità di tradurre in pratica gli impegni dell’intesa del 30 novembre fra Governo e sindacati in vista del rinnovo dei contratti pubblici.
_ per concludere – altra nuova nomina – Luca Lotti (Pd) al Ministero dello Sport. Toscano, classe 1982 è considerato tra i fedelissimi dell’ex premier Matteo Renzi. Lotti ha seguito molti dei dossier delicati del Governo Renzi. E’ stato sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei Ministri con delega all’editoria e segretario del Comitato interministeriale per la programmazione economica. Due deleghe pesanti che mantiene. Tra le priorità del ministero dello Sport la prosecuzione del Piano avviato dal Governo Renzi con il Coni per il risanamento degli impianti sportivi nelle periferie italiane e seguito direttamente da Luca Lotti. La definizione delle garanzie del Governo per la Ryder Cup che sarà ospitata a Roma nel 2022. L’Italia si è infatti aggiudicata la prestigiosa competizione internazionale di golf. Tra gli altri dossier anche quello sui mondiali di sci che sono stati assegnati a Cortina per il 2021.
Mai in questa storia repubblicana, la cittadinanza è stata bombardata mediaticamente sulla scelta politica da compiere nell’appena concluso referendum. Mai. E’ stata una violenza inaudita, una vergogna. La politica è una cosa estremamente seria, è assolutamente necessaria – nello stesso tempo – ed è una cosa molto dura da sopportare, poichè non ammette “anime belle“.
Politica è anche sempre conflitto e competizione per il potere. Nella lotta per il potere – come scrisse Machiavelli nel principe – c’è il virtuosismo: prima considerazione realistica da porre in atto. La seconda è la virtus (virtù): cioè avere il potere per realizzare alcuni obiettivi, per realizzare alcuni fini. Non si deve avere il potere per il potere. Si deve avere il potere per fare. Questa la virtus del realismo politico che ritroviamo in Machiavelli.
Il politico è valutato per il fine che persegue. Quali sono i fini da realizzare politicamente oggi? Per un lungo periodo questo paese non è riuscito a porre mano a quelle necessarie riforme atte a compiere lo sforzo di far tornare il nostro paese, un protagonista della vita politico-economico-culturale della nostra epoca contemporanea.
Machiavelli sullo Stato asseriva come la mancanza del “riformarsi” e del “non riuscire a mutare le proprie costituzioni” porta questo alla decadenza. Gli esseri forti sono quelli capaci di “essere in relazione con l’altro da sè” non di isolarsi, non di resistere, non di conservarsi, ma di trasformarsi.
Il nostro paese è da più di una generazione che non si trasforma, che chiacchiera di trasformazione, che polemizza su idee di trasformazione, ma sostanzialmente non si trasforma sui suoi elementi fondamentali. E’ un paese che è rimasto stretto nel corso della sua ultima generazione tra una ideologia ormai sotterrata dalla crisi del 2007/2008, sepolta ovunque. Una ideologia liberista male interpretata (intesa come general generica deregulation) e sovrastata da una crisi economica di portata globale che ancora oggi stiamo vivendo con buona pace di chi afferma il contrario.
Di fronte a questa pseudo-innovazione – questa mal digerita ideologia liberista – sostanzialmente si finiva con l’esprimersi in una sorta di insofferenza per ogni regola, per ogni controllo ed è una delle cause della crisi globale non soltanto nel nostro paese.
Questa economia si è sposata anche con un carattere demagogico populistico variamente intesa da alcuni partiti del Nord Italia, nati federalisti e regionali e oggi “garanti della nazione italiana“. Dunque nel nostro paese a questa tendenza mai morta e sepolta, si è contrapposta una tendenza sostanzialmente conservatrice.
Di fronte al liberismo della deregulation (che non ha niente da vedere con il liberalismo, che invece è una tendenza culturale-politica che vuole il controllo del mercato e del capitale-finanziario) si è posta la conservazione, anche perchè la metodologia di cambiare costituzione si presenta raffazzonata, non coerente, non presenta nulla di sistemico. Un movimento di conservazione anche legittimo e motivato, ma bloccante. Nel nostro paese c’è bisogno di riforme, eccome! Riforme costituzionali in senso federalistico, di come vada inteso il federalismo soprattutto nel mezzogiorno, soprattutto per il mezzogiorno. Riforma del sistema del Walfare previdenziale, riforme necessarie, inevitabili se vogliamo affrontare la questione di questo paese che è la questione dei giovani e dei non-nati, che stiamo già compromettendo. Bisognava rifondare le politiche industriali, attraverso opportuni sostegni mirati, con strategie industriali, perché se è vero che lo Stato non deve essere capitalista, questo deve avere funzioni immense in tutto il mondo per orientare le scelte di investimento. Questa è la realtà ed è inutile giraci intorno.
Non esiste il popolo “bello, buono e sano” e i politici tutti “cattivi”, vi è sempre una complicità tra governanti e governati. Non c’è mai la purezza e la bontà e dall’altra la cattiveria: sono solo forme complesse di intrecci più o meno virtuosi o più o meno perversi.
Altro punto del realismo politico di Machiavelli, quando ragionava sugli antichi romani – sopra la prima Deca di Tito Livio – esso ci insegnava a ragionare sull’intreccio tra forme di governo, rappresentanze politiche e i rappresentati.
Io credo che la responsabilità – di questo paese – anzitutto debba iniziare suoi ceti dirigenti, non soltanto dei ceti politici, ma anche su quelli “che dirigono” le strutture del paese: i professori universitari, ad esempio, non hanno fatto nulla che non fosse corporativismo, molti di loro insegnano benissimo – senza dubbio – ma le loro politiche sono state tutte improntate nella stragrande maggioranza a logiche di tipo corporativo.
Gli industriali hanno mantenuto in tutti questi venticinque anni, la tendenza tipica dell’industrialismo italiano: essere assicurati e chiedere favori al politico, invece di contrattare seriamente sulla base di strategie industriali condivise, giusto comportamento da tenere. L’industriale che si basa sul rapporto mercato/stato (che porta strategia, idee, danaro) è un imprenditore intelligente che guarda al futuro con rinnovato vigore. Alle volte questa ultima strategia è stata adottata, ma non in maniera sufficiente per mutare gli indirizzi fondamentali di questo paese.
L’assuefazione ha raggiunto anche molte organizzazioni: ordini professionali che non hanno saputo assolutamente riformarsi a partire dalla stessa confindustria e sindacati. Non solo – dunque – non vi è stata una riforma politica, ma soprattutto non è avvenuta una riforma sociale e si è giunti al limite estremo: o tutto ciò viene affrontato, oppure l’Italia non riuscirà a superare questa crisi globale.
I paesi occidentali hanno una chance di essere per il futuro protagonisti dello sviluppo economico e quindi sociale/culturale a livello globale: investire sul capitale umano, sostenere imprese innovative e operare nel settore della ricerca e sviluppo.
In una situazione economica di crisi che non permette né di aumentare le tasse, né stampare moneta, come possiamo garantire innovazione, ricerca, sviluppo, formazione di capitale umano?
Il blocco dei salari dei dipendenti subordinati pubblici e privati e le prospettive cupe dei giovani all’interno dei nuclei famigliari ci presentano la prospettiva di un impoverimento del ceto medio e questo è deleterio per le democrazie, le quali si reggono con un ceto medio che ha delle prospettive sociali alte.
Quando manca la prospettiva di mobilità sociale, per il ceto medio, le democrazie cessano di funzionare e si entra in una fase di carattere demagogico e populista di carattere meramente sociale. Si arriverà allora al “ci penso io” al “fidati di me”, è fisiologico.
La politica diventa “promessa assicurante”. Cattura del consenso attraverso rassicuranti promesse, cessa di essere “costituente” (in cui le forze politiche responsabili, trovano accordo su alcuni fondamentali). Dunque il vero obiettivo dovrebbe essere, l’unità del paese, il futuro della nazione con lavoro per le nuove generazioni: ma non un lavoro qualsiasi! Non un lavoro schiavistico, precario – che gli ultimi governi stanno cercando di attuare – (garanzia giovani ecc..), non come i free-lance del committente, ma un lavoro autonomo, responsabile, certo e con alcune sicurezze di base previdenziale. Nessuno può lavorare, per quanto vi sia mobilità, senza sapere se a sessanta anni o settanta, alla soglia della pensione, potrà vivere o morire sotto un ponte. Si può ammettere la mobilità, ma non si può accettare la frase: “chi sa, se avrò la pensione?” Se non si fa ciò, di fronte a questa crisi sarà impossibile uscire.
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