02 Dic Camus: l’assurdo generatore di un uomo in rivolta
di Maurilio Ginex del 02/12/2016
Albert Camus nasce il 1913 a Mondovi, l’allora Algeria francese. Sin da subito manifesta una forte inclinazione per la speculazione filosofica, cosa che verrà avallata e incalzata, ai fini di un’iscrizione all’università di Algeri, dal suo professore nonché amico Jean Grenier.
Camus rappresenta una delle figure più influenti della cultura del Novecento. Una di quelle figure apparentemente controverse, ma che in realtà fanno giungere al palato il sapore della più alta e limpida coerenza in vita rispetto alle proprie tesi e al proprio pensiero. Un autore che diagnosticò i problemi che si trovavano a fondamento della realtà di quegli anni: un’Europa segnata dai totalitarismi radicati dalla Seconda guerra mondiale. Egli descrisse i luoghi in cui si manifestarono queste forme sociali e politiche, dove il delirio dello spirito divenne il protagonista effettivo di ogni agire.
All’interno di questo scenario socio-politico – tutto europeo – Camus fonda la sua filosofia. Quella parte dell’intellettuale che era stata inizialmente emarginata, da questo contesto sociale, prende forma e si plasma intorno alla scrittura con la stesura de“Lo straniero” e de “La peste”. La sua filosofia si fonda su tematiche esistenziali. L’assurdo , inteso come condizione di vita dell’individuo, diventa la tematica di fondo per gli sviluppi del suo pensiero.
Nel 1942, a Parigi presso Gallimard, viene pubblicato il suo primo saggio filosofico, intitolato “Il mito di Sisifo”, che sancirà la personalità filosofica di Camus. L’assurdo è la rappresentazione di un’incompatibilità tra le aspirazioni dell’uomo e le possibilità ontologiche dell’essere. Una condizione che permanentemente pervade l’esistenza, come se fosse una condizione con naturale legittimità di essere e di esistere. Nella mancanza di senso della vita, generata dall’assurdità dell’essere dei fenomeni che costituiscono la realtà, Camus riscontra l’assoluta incapacità dell’uomo – a causa di tale assurdo – di scorgere un legame con l’altro e con gli altri individui.
L’assurdità dell’esistenza è oggettivamente data dal fatto, che la realtà si sviluppa e si compie provocando – attraverso le sue svariate manifestazioni – la scissione tra gli individui. Quest’ottica di vita vede nell’atto umano il tentativo di trovare legami con l’altro, il tentativo di combattere l’assurdo e la negatività dei fenomeni che attraversano l’uomo, ma allo stesso tempo, vede nel fallimento di questo tentativo di coesione la metafora di un Sisifo, che sempre sfida il suo Dio con il masso sulle spalle e sempre ricadrà verso il fondo.
L’assurdo che pervade il singolo individuo – all’epoca di Camus – è un assurdo che abbraccia in realtà una comunità generale, quella dell’Europa del Novecento. Un secolo che vede il continente dilaniato dalla guerra, uno spirito annientato dall’abominio dei campi di concentramento nazisti e dei gulag sovietici, un’atmosfera generale intrisa dei segni indelebili dei vari totalitarismi, i quali liquidano le speranze dei singoli che accumulandosi generano le comunità, in cui la speranza sembra ormai una parola scritta senza finalità morali. Dunque, “il mito di Sisifo”, diventa un’interpretazione della realtà circostante, in cui però Camus non sembra rientrare negli schemi canonici di un pessimismo esistenziale che fa dell’esistenzialismo una corrente sensibile alla finitezza dell’uomo e alla negatività di fondo che abbraccia la sua esistenza. L’autore sembra proporre all’uomo una via d’uscita da quest’assurda condizione di vita senza significazioni e senso. Qui subentra l’importanza del secondo testo filosofico che Camus pubblica sempre presso Gallimard, nel 1951, “L’uomo in rivolta”. Questo, un secondo capolavoro, si prefissa di segnare la via all’interno del caos che regna nella sfera esistenziale. Camus affronta il concetto di Rivolta, visto come un insieme di valori che portano l’uomo a resistere contro il male che incombe, in qualsiasi forma esso si manifesti: una dittatura coercitiva che piega un’intera nazione o una delusione che dilania l’anima del singolo. Il senso della rivolta è la concretizzazione del concetto di lotta contro l’assurdo. Nella lotta rivoltosa risiede il rifiuto di una coercizione che oggettiva lo stato esistenziale e osserva nella sopportazione la volontà del singolo di autodeterminarsi, senza che ci sia un qualcosa di esterno ad esso che possa deciderne il destino. Tale sentimenti si avvicina al senso che la ribellione assume in Stirner, autore da cui poi l’autore francese rievocherà le sue posizioni politiche arnarco-individualiste. Camus cita autori, da Nietzsche, con il suo smarrimento esistenziale frutto della morte di Dio, ad Heidegger, con la sua “gettatezza” nel mondo che prevede un’autodeterminazione del sé tramite una progettualità del dover-essere, passando per Kierkegaard, con il concetto di “malattia mortale” che ha come identità pratica la disperazione nel vivere dell’uomo. Tutti autori attraverso i quali il nostro autore forma questa personalità che si erge a paladino della lotta contro l’assurdo. Il senso della rivolta è proprio quello di riuscire a “sconfiggere”, o quanto meno propriamente tener testa senza chinarla mai, l’ineluttabilità dell’essere e trovare all’interno di questo uno spirito di adattamento – come prevedeva il Superuomo nietzschano l’autodeterminazione del sé. E’questo il senso della rivolta, il senso dell’opposizione, il motivo probabilmente del perché nasce la resistenza nella guerra o perché naturalmente l’individuo non può sedare le proprie pulsioni nel momento in cui si vede annientato e represso.
I diritti, il proprio destino, la propria dignità diventano valori essenziali da difendere con l’azione, poiché qualcosa che resta fermo senza muoversi non ha che un destino malsano e passività dell’essere che sta alla base. Se ti fai manipolare dalla realtà oggettiva senza tentare di decostruirla, per definizione diventi uno strumento che -riposto nella realtà – si presenta come funzionale al progresso dei sistemi assurdamente costituiti. La geniale intuizione di Camus di rimodellare il cogito cartesiano secondo la sua ottica della rivolta, “mi rivolto, dunque sono”, è la perfetta rappresentazione analitica della morale e dell’atmosfera che attraversava la sua epoca in cui l’uomo deve “ritornare ad essere mediante l’agire“. Quest’epoca prevede un’intenzionalità di fondo che porta l’uomo a voler cambiare l’essere attraverso la soggettività delle azioni. Un autore che venne dichiarato a accusato di ogni cosa, dal nichilista, al misantropo, al pessimista, ma che in realtà si è rivelato più ottimista e forte che mai. La svolta “rivoltosa” fu una grande, anche se pur sporadica, via d’uscita dalla “putrida” esistenza che i grandi uomini del potere mondiale hanno dato agli individui. Camus rientra tra le figure che nel Novecento hanno creato lo scandalo, una di quelle figure che ha rotto con la normalità e con i canonici schemi delle credenze. Le sue posizioni politiche da anarco-individualista che presero forma con “l’uomo in rivolta” e con la sua feroce critica al marxismo-leninismo , isolarono Camus all’interno del panorama intellettuale francese degli esistenzialisti. Ruppe l’amicizia con Sartre, dopo la sua critica senza mezze misure del blocco sovietico e le degenerazioni etiche della Rivoluzione Russa. Criticò Lenin, quanto Stalin, per una cattiva interpretazione del marxismo per fini disumani. Insomma fu un intellettuale che volle mantenere sana la sua integrità davanti alle sue idee.
Le quali gli costarono il prezzo di quell’assurdo tanto combattuto che, proprio nella sua vita, si andava manifestando in quella tanto odiata recisione del legami umani e nell’isolamento del singolo. Era la mattina del 4 Gennaio 1960, un incidente insolito porta via al mondo una delle menti più lucide e brillanti del Novecento. Quella di Albert Camus è una morte particolare, inaspettata. Chi spende parole delineando la forma di un omicidio a sfondo politico, chi invece – ancora oggi – pensa che il fato sia stato non solo suo nemico, ma allo stesso tempo avverso anche del progresso della cultura.
Chissà quanto avrebbe scritto, cosa avrebbe fatto oggi quell’uomo. Quanti altri saggi presso Gallimard avrebbe potuto pubblicare. Molto spesso si esagera nel ricordare la storia e quasi ci si erge a eredi di tradizioni passate, attraverso la memoria. In questo caso la memoria è stata annullata, sopita, resa muta. Di Camus rimangono i suoi scritti, ma si tende sempre a ricordare i più “conosciuti” probabilmente, o meglio, i più “comodi”.
Per approfondimenti:
_ Albert Camus, il mito di Sisifo. Edizioni Bompiani;
_Albert Camus, l’uomo in rivolta. Edizioni Bompiani;
_Albert Camus, la peste. Edizioni Bompiani;
_Bruno Thürlimann e Giovanni Fornerole, Filosofie del Novecento. Edizioni Mondadori.
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