L’antropologo rumeno Mircea Eliade definì il salazarismo “una forma cristiana di totalitarismo” – intendendo con ciò, sottolineare che attraverso il cristianesimo veniva proposta una particolare pratica totalitaria. In quell’epoca, il cristianesimo manifestava una tendenza totalitaria, benchè avversa al modello “cesarista”, perché riteneva che l’unica via alla salvezza passasse dalla piena adesione alla propria dottrina. Analogamente, per Salazar la democrazia liberale e il comunismo dovevano essere sconfitti attraverso la “conversione” – concetto centrale nell’ideologia dell’Estado Novo. Beninteso, non si trattava di un “totalitarismo totale” – poiché il totalitarismo perfettamente compiuto rimane sempre una meta irraggiungibile – né di un espediente puramente retorico, ma di una pratica di governo tendenzialmente totalitaria. Per esempio, Salazar permise lo svolgimento delle elezioni con regolare scadenza come stabilito dalla Costituzione, ma tutte furono falsate per impedire il ritorno a un sistema liberal-democratico. Quando per le elezioni presidenziali del 1958 si candidò Humberto Delgado, Salazar modificò immediatamente la legge, facendo passare l’elezione del Presidente della Repubblica attraverso un collegio formato da figure necessariamente aderenti al regime (membri dell’Assemblea nazionale e della Camera corporativa, presidenti delle Camere ecc.). Da tale punto di vista, Marcelo Caetano (suo futuro successore) era più coerente: già nel 1938 affermò che uno Stato corporativo non doveva prevedere elezioni, ma l’adesione incondizionata all’União nacional (Unità nazionale).
Si trattò, dunque, di un corporativismo non integrale. In altri termini, il sistema era presentato come un corporativismo nazionale – espressione della comune volontà di lavoratori e datori di lavoro – ma in realtà tutte le istituzioni corporative erano di formazione statale. D’altra parte, Salazar difficilmente avrebbe accettato l’idea di uno Stato nel quale gli organi di potere fossero costituiti davvero in modo corporativo, anche se in prospettiva le assemblee legislative avrebbero dovuto essere sostituite da nuovi organi composti per metà da tecnici. Questa forma ambigua e incompleta di Stato corporativo non soddisfaceva Marcelo Caetano, che aspirava a un corporativismo più compiuto e rapidamente costruito.
La sua fu una dittatura a tutti gli effetti; e come ogni totalitarismo che si rispetti aveva la propria polizia segreta, la PIDE (Polícia Internacional e de Defesa do Estado), formata nel 1933, e delle strutture di inquadramento di massa, tra le quali troviamo “l’Estatudo do Trabalho Nacional” e il “Segretariado pela Propaganda Nacional”. Pochissime furono le associazioni riconosciute nel paese e molto dure furono le repressioni perpetrate nei confronti di coloro che si fossero avvicinati ad ideali “distanti” dal regime salazarista (come il comunismo). Venne limitata la libertà di stampa e l’unico partito riconosciuto fu “l’União Nacional”, fondato nel 1931.
Una grande afflusso culturale, venne anche dal continente europeo, in particolare la Francia: senza dubbio la tradizione letteraria, filosofica e sociologica francese ebbe grande influenza, poiché se da un lato svolse un ruolo di opposizione alle dottrine razionaliste, dall’altro suscitò un particolare interesse per la produzione filosofica, musicale, giuridica e letteraria tedesca, nonché per quella italiana. Inoltre, l’ordinamento corporativo dell’Estado Novo traeva ispirazione sia dal corporativismo cattolico di Leone XIII, sia dal corporativismo fascista e sia dal “socialismo della cattedra” tedesco. La forma culturale portoghese si plasmò nel contesto europeo, in una logica di scambi e circolazione di idee. Non fu assolutamente una cultura autoctona, esclusivamente riversa su se stessa e sui suoi valori, anche se questi – come da visione nazionalista – fossero affermati con grande impeto.
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