Bach: musica vocale strumentale e polifonia dei Sei Solo

di Carlotta Travaglini del 12/11/2016

Molti musicologi sostengono sia opportuno denominare l’epoca Barocca età del basso continuo, per determinare, in ambito strettamente musicale, quella che ne è una costante caratteristica – un brano diventa facilmente riconoscibile dal suono di un clavicembalo, di un organo o di un liuto, o di un arco grave come il contrabbasso o il violoncello, che insieme ne abbraccia e sostiene la melodia. La musica viene conchiusa su strutture ben delineate e le forme strumentali esplorate si vanno via via stigmatizzando; i diversi strumenti, distaccatisi dalla voce, iniziano così a profilarsi e ad emergere nelle loro vesti più caratteristiche.
Il ruolo del violino nell’epoca barocca era già consolidato in due prassi fondamentali, quella solistica e quella dell’accompagnamento orchestrale; musicisti provenienti da diverse aree ci testimoniano questo tipo di approccio allo strumento. Nell’opera di personalità autorevoli del periodo immediatamente successivo, ad esempio, l’eredità della profonda ricerca teorica e pratica di più di due secoli di musicisti si fa già abitudine e studio quotidiano.

Bonaventure Migliore, Natura morta con strumenti musicali – Olio su tela, fine XVII

Secondo Leopold Mozart:
Non si deve suonare da solisti se prima non si sa bene accompagnare (…) si deve essere capaci di interpretare correttamente e in modo appropriato le più svariate composizioni prima di accingersi a eseguire concerti solistici. Così come si può riconoscere immediatamente se un quadro è stato dipinto da un artista, allo stesso modo si può capire subito se uno che esegue con criterio il suo assolo abbia mai imparato ad accompagnare in modo appropriato una sinfonia o un trio, o se sappia apportare il miglior affetto in un’aria”.
Questo autore, di grande levatura nella letteratura violinistica, considera infatti essenziale una formazione a tutto tondo del musicista, che fin da subito sia ben indirizzata ad una costante e consapevole ricerca.
Diverse fonti fanno risalire pressappoco agli inizio del XVI secolo la nascita del violino, frutto di numerosi nomi della celebre scuola di liuteria italiana; già nella musica vocale cinquecentesca le parti delle voci vengono gradualmente sostituite da strumenti ad arco. Ad esempio, nelle Sacrae Symphoniae di Giovanni Gabrieli, organista e maestro di cappella della Basilica di S. Marco, compaiono specifiche designazioni strumentali; il maestro affronta approfonditamente ed assume tutte le possibilità che la polifonia possa offrirgli, creando una musica sinfonica vocale in cui gli strumenti non raddoppiano semplicemente le voci ma si muovono secondo altre linee melodiche che arricchiscono l’armonia. Con Claudio Monteverdi, in particolare nel VIII libro di Madrigali guerrieri et amorosi abbiamo invece un’evoluzione: egli è il primo ad indicare, nello specifico per il violino, delle ben precise “affezioni”, dei ben precisi modi di eseguire delle note che obbediscono al gusto e all’intenzione del testo e della melodia. Trattasi di effetti che si ottengono con un ben preciso modo di far scorrere l’arco sulle corde: è Monteverdi, ad esempio, ad inventare il caratteristico tremolo.
La capacità espressiva del violino viene rivelata, ma lo strumento è ancora al di sotto della voce, protagonista indiscussa del panorama musicale; la accompagna e ne segue strettamente le parole.
La nozione ‘corale’ della composizione musicale permea la produzione di questo periodo. Iniziano ad apparire composizioni esclusivamente strumentali (prive, cioè, di parti vocali) basate su una polifonia garantita dall’esecuzione di più strumenti o da uno strumento a tastiera.
La nozione di concerto grosso compare per la prima volta con il compositore Arcangelo Corelli.
Prima di allora, questa forma non viene istituzionalizzata, ma ne troviamo dei precedenti nelle opere di numerosi compositori, anche nei rinascimentali: nei cori spezzati di Andrea e Giovanni Gabrieli, compositori del periodo, troviamo un embrione di quello che sarà poi la sua alternanza tra ripieno e concertino.

Da sinistra a destra: Leopold Mozart, Giovanni Gabrieli, Claudio Monteverdi, Arcangelo Corelli (particolari di ritratti).

E’ qui che il violino assolve nell’esecuzione questi due ruoli insieme, svolti alternativamente e in due gruppi differenti dell’orchestra – di questi due il secondo (anche detto, appunto, soli), quello “concertante”, tiene le redini dell’intera orchestra. Non c’è contrapposizione tra due gruppi dell’orchestra, bensì su un dialogo vero e proprio, in cui i soli si trovano a convergere col resto dell’orchestra nel momento del ripieno orchestrale, creando, per l’incremento degli strumenti in uso, il caratteristico contrasto tra piano e forte. Il concertino è formato da due violini ed un violoncello, sulla scia dell’immediato antecedente: la sonata a tre barocca.
La forma del concerto grosso viene in seguito “superata” – ma non interrotta – da quella del più evoluto concerto solista. Verrà tuttavia a più riprese rielaborata e riutilizzata: si pensi al Concerto brandeburghese n.3 di Johann Sebastian Bach, o all’Op.3 e all’Op.6 di Georg Friederich Haendel.
Nel concerto solista sicuramente la voce del violino viene maggiormente esplorata e valorizzata nelle sue sfumature e potenzialità. Il lascito che Antonio Vivaldi ci fornisce risulta a questo punto di sconfinato valore. Nei suoi innumerevoli concerti per violino solo e orchestra si avverte uno stacco netto dai modelli precedenti: il dialogo strumentale scompare e i ruoli di orchestra e solista si stabilizzano, rigorosamente distinti e ben profilati all’interno della strumentazione. Il solista spicca su tutti, ha una parte propria e possiede una chiara identità ed autonomia ragionata.
Così il violino troneggia nelle composizioni a lui dedicate, e, di pari passo con l’incremento del suo studio nelle sue diverse scuole, crescono, all’interno dei brani, la potenza di suono, lo scarto dinamico, la varietà espressiva, la difficoltà oggettiva, l’ambito di note che viene toccato (che procede sempre di più verso l’acuto), la velocità, il modo di eseguire singoli passaggi.
Il violinista ha modo di esprimere la propria voce ed il proprio virtuosismo quanto più trionfalmente possibile, potendo anche a tratti cimentarsi in un’inventiva propria in passi di larga libertà. La melodia era, infatti, al più un canovaccio, una linea guida sulla quale poter apporre variazioni sancite da serie di abbellimenti e fioriture di uso consolidato all’epoca.
Questo filone di ricerca viene seguito e notevolmente coltivato da numerosi successori e cultori di questo stesso (Geminiani, Locatelli, Tartini, etc.). La direzione che prendono i loro studi non è che un incremento, un’amplificazione della sua stessa – la voce del violino è vista come un unicum che per sua virtù di potenza sonora e naturale attitudine al virtuosismo può levarsi al di sopra degli altri strumenti: le sue possibilità appaiono sconfinate e la ricerca è prolifica, aprendo sempre nuovi interrogativi e strade da percorrere.
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Da sinistra a destra: Antonio Vivaldi, Francesco Geminiani, Pietro Antonio Locatelli, Giuseppe Tartini (particolare dipinti).

Appaiono così singolari, in tale frangente, le Sei sonate e partite per violino solo BWV 1001-1006, di Johann Sebastian Bach.
Scritte nel 1720, data in cui compare la partitura autografa, nel periodo in cui l’autore era maestro di cappella presso Cöten, rimangono inedite per l’intera vita dell’autore. Come suggerisce lo stesso titolo impressovi, non è assolutamente previsto l’accompagnamento di un basso continuo. La composizione strumentale viene privata delle sue “fondamenta”; la sola voce dello strumento deve ‘compensarne‘ la mancanza e rendersi l’intero canto.
Di queste, tre sono indicate con il nome Sonata e tre con quello di Partita (sinonimo di Suite, in francese): includono tempi rapidi e veloci, alcuni nella forma strutturale di danze. Il violino, per la propria conformazione, non ammette l’esecuzione simultanea di più di due note appartenenti a due corde contigue, poiché sono facilmente suonabili appiattendovi sopra l’arco e facendolo scorrere. Di qui la tradizionale presenza di altri strumenti, nelle composizioni in cui è presente anche in veste di protagonista, che completassero l’armonia che da solo non era capace di coprire. Anche il termine “sonata”, di per sé, in epoca barocca, designava una composizione polifonica, dunque resa dalla compresenza di strumenti o almeno di un solista ed un basso continuo. Bach impone al violinista di eseguire da solo con il proprio strumento anche tre o quattro voci insieme.

Due particolari: Sonate e partite per violino (a sinistra). Statua di Johann Christian Bach a Lipsia in Sassonia, Germania.

 I musicisti del tempo rimangono sicuramente sconcertati da un tale apparato musicale. Sappiamo che al tempo di Bach circolassero sì numerose copie manoscritte, ma che l’opera intera non fu mai pubblicata da editore se non successivamente. Risulta però essere già argomento di studio, come scrive Carl Philip Emanuel Bach, il secondo e il più famoso dei venti figli del compositore, in una lettera a Johann Nikolaus Forkel del 1774: “Uno dei maggiori violinisti mi disse una volta che non aveva mai visto nulla di più perfetto per diventare un buon violinista, né avrebbe potuto consigliare nulla di più utile per l’insegnamento, di questi Soli per violino senza basso”.

L’apparato musicale dei Sei Solo è una costruzione architettonica rigorosa e impeccabile: nessuno è mai riuscito a trovarvi alcun segno di cedimento, alcuna struttura più debole al livello esecutivo. Come ammette lo stesso Forkel, musicologo e musicista tedesco, “I sei Soli per violino e i sei per violoncello […], privi di accompagnamento, non ammettono assolutamente l’aggiunta di un’altra voce cantabile”. Egli stesso fu uno dei massimi estimatori del compositore, contribuendo già al tempo alla diffusione della sua musica (fu anche il primo a comporre una sua biografia). Aggiunge, inoltre, che “Bach seppe combinare tutte le note necessarie all’autonomia della modulazione, in una sola parte, rendendone una seconda non solo superflua, ma addirittura impossibile”.

Si può trovare un esempio di questo tipo di autosufficienza musicale nella Fuga dalla Sonata I in sol minore, nella quale il violinista arriva ad eseguire fino a quattro note in simultanea, in lunghi passaggi dal notevole impatto emotivo.
In epoche successive, nonostante il progresso musicale avvenuto, gli esecutori devono trovare ancora ‘incompleto’ il discorso musicale; ne vengono eseguite infatti numerose edizioni con una parte di accompagnamento svolta dal pianoforte (ad esempio, quella scritta da Robert Schumann), nel tentativo di attenuarne la difficoltà interpretativa. Si trattò soltanto, tuttavia, di una prova: tutt’ora l’opera originale resta di uno dei pilastri dell’intera letteratura violinistica, uno dei pochi sui quali si sia effettuato, e si effettui tutt’ora, un vero e proprio culto, destinato a perdurare e ad amplificarsi per l’eternità; è inevitabile che ogni esecutore di ogni tempo si cimenti e si confronti con una tale opera di ingegno.
La parte del violino è del tutto autonoma; questo aspetto è chiaramente verificabile all’ascolto, dove ogni intenzione musicale sembra aver trovato il suo posto. Non mancano ampi soli, in cui la melodia si “desquama” e si riappropria della monodia originale, propria del violino: è il caso del Presto o dei lunghi divertimenti della Fuga nella Sonata I.

Dettaglio delle prime battute del “Presto” dalla Sonata I

Ma ad una mancanza di note non corrisponde una carenza di difficoltà tecnica o di perizia esecutiva; anche i lunghi “soli” bachiani hanno uno spessore senza pari, ed una delicatezza che si leva al cielo.
Con la sua opera Bach ha conseguito un atto risolutivo senza precedenti, ponendo a conclusione uno degli studi più maestosi e complessi che un’intelligenza potesse concepire. Il ruolo dello strumento viene emancipato, ed allo stesso musicista viene conferito un compito superiore ed universale: conservare ed innalzare una musica destinata a non perire, perché mai liberata dalla sua stessa costante spinta interiore di perenne rinnovamento.

 

Per approfondimenti:
_Leopold Mozart, Versuch einer grundlinchen Violinschule, 1756
_Giovanni Gabrieli, Sacrae Symphoniae tam vocibus, quam instrumentis, editio nova, ibid., 1597, Venezia
_Johann Sebastian Bach, «Sei solo / à / Violino / senza / Basso / accompagnato. /Libro primo / da Joh.Seb.Bach», 1720
_Johann Sebastian Bach, Suites a Violoncello solo senza basso, 1717-1723, Cöten
_Sechs Sonaten für die Violine von J.S. Bach mit hinzugefügter Begleitung des Pianoforte, Lipsia, 1885

 

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