05 Nov Il conservatorismo: interpretazioni, idee e princìpi
di Francesco Giubilei del 05/11/2016
Secondo Moeller van den Bruck il conservatore non guarda al passato ma all’eterno: “Conservare non è ricevere per tramandare, ma innovare le forme, istituzionali o ideali, che consentono di rimanere radicati in un mondo solido di valori di fronte ai continui sobbalzi storici. Di fronte alla modernità in quanto epoca delle insicurezze, non basta più opporre le sicurezze del passato, bisogna invece ridisegnare nuove sicurezze assumendo e facendo proprie le stesse condizioni di rischio con cui essa si definisce. Il conservatore difende l’ordine costituito cercando di mantenere l’equilibrio sociale e politico nella decadenza della società e si domanda quali siano le perdite derivanti dall’avanzare della modernità che implica la sostituzione della tradizione con la ragione.
Il conservatorismo è legato a valori universali che trascendono una singola epoca e sono validi in ogni periodo storico perciò, realizzando una classificazione in categorie, può essere storico, ideale, funzionale e sociologico-trascendentale.
Qual è quindi il ruolo del conservatorismo? Tenere fede ai valori non negoziabili, certamente; ma anche aprirsi alle avventure del tempo nuovo non per avversarle sterilmente, ma partecipare ad esse con lo spirito di chi non vuole rinunciare a stabilire una certa idea di convivenza civile, fondata sulla dignità della persona e sull’irrinunciabile progetto ad edificare comunità differenti eppure convergenti con l’idea di un ordine universale fondato sul diritto naturale, sul rispetto dei popoli e delle culture, sulla sovranità e sull’autorità che protegge la libertà. Roger Scruton ha dedicato gran parte della propria vita allo studio del conservatorismo pubblicando diversi libri sull’argomento tra cui il Manifesto del conservatorismo e Essere conservatori. In quest’ultimo testo, nel capitolo VII, “Le verità del Multiculturalismo”, descrive la nascita del conservatorismo e il suo rapporto con l’Illuminismo: il conservatorismo come filosofia politica nasce con l’Illuminismo. Non sarebbe stato possibile che nascesse senza la rivoluzione scientifica, il superamento dei conflitti religiosi, l’ascesa dello Stato laico e il trionfo dell’individualismo liberale. La maggior parte dei conservatori riconosce i vantaggi contenuti nella nuova concezione della cittadinanza, che investe del potere il popolo, e nello Stato designato – e in parte eletto – come suo rappresentante.
che verranno dopo. L’antitesi del conservatorismo è il progressismo, l’idea di progresso ha dominato il pensiero occidentale tra il 1750 e il 1900 legandosi strettamente alla fede nello sviluppo economico, le credenze progressiste non appartengono solo al capitalismo ma sono anche alla base del comunismo. Gli studiosi, tuttavia, sono tra loro in disaccordo su quando sia nato il concetto di progresso. Se J.B. Bury nel suo libro del 1920 “The Idea of Progress” lo fa risalire non prima del XVII secolo e della rivoluzione scientifica, altri studiosi come Ludwig Edelstein ed E.R. Dodds credono che derivi addirittura dall’antica Grecia. Una posizione condivisa da Robert Nisbet nel suo libro “History of the Idea of Progress” del 1980 che considera il progresso acquisito dalla filosofia cristiana della storia. In seguito la dottrina del progresso è fatta propria dal liberalismo classico (che enfatizza il concetto di libero mercato), dal liberalismo statalista (concetto di welfare state) e dal socialismo. Si crea così una contrapposizione tra i puritani, i liberali classici e i darwinisti che credono in varie forme del progresso e i reazionari, i cattolici tradizionalisti e i conservatori che invece ripudiano il concetto di progresso. Da qui nasce il progressismo, un’ideologia basata sull’inevitabilità del progresso storico e sociale che porterà a un’epoca storica caratterizzata dalla libertà totale, dall’uguaglianza sociale ed economica. Padri del progressismo sono Francis Bacon, Bentham, Mill, Rousseau, Marx, Comte, Edward Bellamy, Condorcet…
La trasformazione della società auspicata può avvenire solo grazie a un governo centralizzato che ha sufficienti poteri per farlo. Secondo i conservatori le riforme progressiste nascono invece da un’incomprensione di fondo della condizione umana e dalla non accettazione del ruolo del diavolo nel mondo. Il filosofo tedesco Hermann Lübbe, autore di decine di libri in Germania di cui alcuni pubblicate nel nostro paese come “Religione dopo l’Illuminismo” e “La politica dopo l’Illuminismo”, ha stilato le Regole fondamentali del comportamento conservatore:
_È conservatrice la prassi della difesa di ciò a cui non si può rinunciare, contro le sue minacce attuali o prevedibili. […] chi ritenga giusta e irrinunciabile una cosa simile e intenda salvarla in circostanze che mutano minacciosamente.
_È conservatrice l’esigenza di validità di una regola distributiva dell’insieme degli argomenti, secondo la quale, sia nella scienza che nella politica, il progresso e non la tradizione abbia bisogno di essere giustificato.
_È conservatore il riconoscere alla prevenzione delle catastrofi la priorità di fronte alla prassi della realizzazione di utopie. L’orientamento verso i mali che vanno indicati per la loro eliminazione è politicamente più sicuro di quello verso l’immagine di una felicità sconosciuta. I conservatori sono contrari non solo alla Rivoluzione francese come avvenimento in sé ma a tutti i cambiamenti economici e di ordine morale da essa derivati. Il conservatorismo delle origini si basa sulla società medievale europea e considera le conquiste della modernità le cause non dell’emancipazione dell’individuo ma della sua alienazione, perciò il pensiero conservatore si oppone al razionalismo e all’individualismo propugnato da Voltaire, Diderot e Kant.
I temi centrali del conservatorismo, enunciati negli ultimi due secoli, non sono altro che dei corollari agli enunciati di Burke sulla Francia rivoluzionaria. Burke era ben consapevole del fatto che la Rivoluzione francese avesse, in fondo, una valenza europea, ma questa consapevolezza, per trovare conferma, dovette attendere le opere di ardenti tradizionalisti come Bonald, Maistre e Tocqueville, in cui è possibile notare i contorni di una filosofia della storia diametralmente opposta a quella del progressismo, oltre che una perspicace affermazione dell’importanza del feudalesimo e di altre strutture sviluppatesi storicamente, come la famiglia patriarcale, la comunità locale, la chiesa, la corporazione e la regione che, sotto gli effetti individualizzanti e centralizzati della filosofia del diritto naturale, sono quasi scomparse dal pensiero politico europeo in tutto il periodo che va dal XVII al XVIII secolo. Thomas Hobbes, John Locke e Jean-Jacques Rousseau guardarono sempre con ostilità alla società tradizionale, ai suoi gruppi e alle sue tradizioni. L’attenzione, nei loro scritti, era rivolta esclusivamente alla realtà concreta dell’individuo, lasciando nell’ombra l’organizzazione delle istituzioni.
Tutto ciò è da vedersi spazialmente, ma il trionfo delle idee del 1789 si ripete anche temporalmente nelle grandi spinte contro le potenze conservatrici e i regimi personalistici, contro gli imperi formati dalla massa, contro la monarchia restaurata, contro la regalità borghese e la borghesia fondiaria conservatrice. I castelli vengono distrutti o trasformati in musei, anche laddove si incontrano ancora i Re. La parola “conservatore” non appartiene alle creazioni felici. Racchiude un carattere che si riferisce al tempo e vincola la volontà di restaurazione di forme e condizioni divenute insostenibili. Oggi chi vuole ancora conservare qualcosa è a priori il più debole.
In un articolo pubblicato sul numero 3 della rivista “La Destra” nel 1972 intitolato Perché non conservatore?, Mohler enuncia il cosiddetto paradosso dei conservatori:
sorprendentemente, il conservatore non è più d’accordo con lo status quo. Secondo l’opinione corrente, il conservatore si aggrappa allo status quo o vuole addirittura ripristinare il passato: la sinistra, invece, sarebbe quella che vuole cambiare lo status quo e quindi spalancare la porta sul futuro.
Il paradosso sta nel fatto che oggi i conservatori sono malcontenti e aspirano a un cambiamento mentre le forze progressiste, o di sinistra, un tempo rivoluzionarie, aspirano a mantenere lo status quo. I conservatori infatti: considerano catastrofiche l’attuale politica estera ed economica, non approvano né lo stato attuale dell’esercito né quelli dell’università e della scuola, e non accettano neppure il sesso sterile e industrializzato che si vuol propinare loro come un tranquillante. […] Anche il meno convenzionale dei conservatori non avrebbe davvero mai osato pensare, fino a poco tempo fa, che si sarebbe improvvisamente trovato ad essere il vero rivoluzionario – l’unico, infatti, che non accetta lo status quo – ma è dell’opinione che ci dovrebbe essere una via migliore di quella sulla quale ci trasciniamo come un branco di pecore. Mohler prende le distanze dal tentativo di esportare il pensiero di Burke in ogni epoca e contesto, per lui quanto teorizzato da Burke è giusto se legato al suo tempo e all’Inghilterra, chi auspica un Burke tedesco sbaglia perché in Germania non avrebbe ragion d’essere.
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