Il risultato così ottenuto da artisti come Jean Hans Arp, il quale scagliava pallottole di carta straccia in aria lasciando che si incollassero su dei cartoncini, sono un radicale annientamento dell’arte. Analogo è anche il caso della poesia d’avanguardia: non dovendo più somigliare a se stessa (per tentare di scimmiottare la velocità e la manipolazione del dato spazio-temporale che invece nell’ambito cinematografico sono consentite) rinnega la sua forma classica e diventa qualcosa di nuovo. Di fronte alle poesie colme di spazi vuoti, monologhi insensati e onomatopee confuse di August Stramm (uno dei primi espressionisti) è impossibile raccogliersi in silenzio a meditare.
Tornando al concetto di Benjamin, “l’arte viva” con la sua “aura”, grazie al suo rasserenante esistere in un luogo per volta, possiede una fissità nello spazio e nel tempo che consente all’osservatore quelle azione statiche della contemplazione e della critica ragionata, essenziali per concepire un’opera d’arte in quanto tale.
L’arte d’avanguardia, per via del suo dato dinamico, irruente e aggressivo, è uno spettacolo che non consente una concentrazione contemplativa perchè mira, volutamente, a voler essere inutilizzabile a quei fini artistici tipici della pittura, della scultura e dell’architettura.

Michelangelo-Buonarroti – La Cappella Sistina (Particolare).
Infatti l’arte dei dadaisti, nata più per dissidio politico nei confronti della società che per semplice e genuino amore per il bello, ha l’esigenza di suscitare la pubblica indignazione. Questa sua essenza violenta, sia nell’esecuzione che nel risultato finale, colpisce l’osservatore come un proiettile di pistola e lo investe travolgendolo proprio come le sequenze di fotogrammi che dallo schermo ghermiscono l’attenzione del pubblico riducendolo in uno stato costante di choc. L’effetto di choc causato dal cinema, per mezzo dei mutamenti dei luoghi dell’azione e delle inquadrature, è colto dalle masse con una maggior presenza di spirito, nel senso che esso, a differenze delle poesie di Rilke o dei dolci idilli dipinti da Derain, è più coinvolgente, ma anche più estraniante dalla realtà.
L’opera d’arte avente un’aura per essere goduta e apprezzata necessita di tempo, introspezione e riflessione su di essa. L’osservatore attento e predisposto al raccoglimento, in questo caso, penetra nell’opera, vi si immerge. Al contrario la massa distratta e disattenta fa sprofondare l’opera d’arte in sé perché la sua ricezione avviene tramite la collettività e in maniera disattenta e superficiale. Benjamin espone l’esempio dell’architettura: essa, la più atavica fra tutte le forme d’arte è circonda da tutti i cittadini della città, eppure la maggior parte di questi assuefattasi ad essa, hanno cessato di percepirla come un’opera d’arte e ne fruisce nella distrazione, senza più percepirla come tale.
In modo analogo anche le masse, assuefatte all’arte cinematografica e alle nuove creazioni statiche, assorbono le creazioni circostanti senza più prestar loro la dovuta attenzione e senza più avvertire il bisogno di contemplarle, commentarle e quindi criticarle. Benjamin, con una notevole lungimiranza, parlando delle opere d’arte create a fini altri rispetto a quelli artistici e usate in modo disattento, anticipa la nascita del design.
La fruizione tattile dell’opera d’arte a cui le masse vengono addestrate, le getta in uno stato di totale acriticità e passività nei confronti dell’opera d’arte stessa e ciò permette agli individui di fruirne pur eseguendo altri compiti nel medesimo istante.
È proprio la televisione, appendice tentacolare del cinema, che insinuandosi in tutte le case ha apportato questa radicale metamorfosi della percezione umana, rendendola inconsapevole. L’aesthesis senza consapevolezza di sé è il più grande trionfo del cinema, che trasforma il pubblico in un esaminore disattento. Il cinema, grazie al suo effetto di choc a cui il pubblico si è abituato in fretta, conduce l’osservatore a un atteggiamento avalutativo, esonerandolo dall’impegno di darvi l’attenzione che invece richiede un’opera d’arte avente l’aura.
Attuando un piccolo salto ancor più nel passato, Platone già asseriva come la più grave piaga che può uccidere un popolo è proprio la licenziosità. Nelle università pubbliche vi sono professori che sono autori di libri che elogiano la pornografia come inevitabile conseguenza della democrazia, facendosi paladini dell’estrema libertà, è questo è un grave pericolo morale. Esistono associazioni culturali che usano il termine “Pop” per banalizzare ogni aspetto culturale con la speranza che un pubblico maggiore affluisca in massa ai loro eventi. Credo che tutto ciò abbia intrinsecamente una grande modestia: l’arte non può e non deve mai essere banalizzata.
“L’art pour l’art”, motto dei poeti parnassiani, è la ghigliottina che separa l’arte contemporanea dall’arte neoclassica, il bello dal brutto, l’etico dall’orrido, il bene dal male. Affermare che l’arte sia fine a se stessa significa porre la personalità dell’artista in primo piano ed eclissare così le sue caratteristiche accademiche, tecniche ed educative nei confronti del pubblico che l’osserva.
Agli albori dell’XIX secolo le creazioni estetiche, ammorbate dalle prime teorie sulla libertà democratica di Tocqueville e Benjamin Constant, sovvertirono le forme tradizionali d’espressione artistica e le usuali tecniche accademiche. Così, l’arte, iniziò a divenire il riflesso del mondo interiore degli artisti, assumendo toni sempre più personali e soggettivi, sia nella forma dell’esecuzione che nei contenuti.
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