19 Ott Kant. La metafisica che resiste
di Danilo Serra del 19/10/2016
Immanuel Kant è stato il filosofo che, più di ogni altro, ha sostenuto e manifestato l’inconsistenza della vecchia metafisica.
Nella sua monumentale Critica della ragion pura egli aveva mostrato che la ragione che si spinge ad argomentare in merito ad alcune idee metafisiche (Dio, anima immortale e libertà) finisce per sbattere in una serie di antinomie che non portano a nessuna conclusione o dimostrazione.
Eppure, malgrado il suo netto «no!» alla metafisica scientifica, la metafisica in Kant non può dirsi – oggi – veramente morta.
Perché? Perché la metafisica, in fondo, spinge la ragione ad andare avanti. C’è un bisogno naturale, indissolubile, pulsante, attivo, intramontabile. Esso è il bisogno della ragione: la ragione è questo bisogno. Il bisogno non va soppresso o rimosso; il bisogno va soddisfatto.
Kant è universalmente riconosciuto come il filosofo che, con la sua critica serrata ed il suo rigore analitico, ha contribuito a “distruggere” la validità scientifica della metafisica. Egli, tuttavia, non ha potuto negare del tutto la sua presenza, il suo r-esistere. La metafisica non è per Kant una scienza determinata, con un proprio metodo specifico e delle leggi ben definite, bensì è una tendenza naturale, un corso d’acqua che non s’arresta, una disposizione naturale umana avente una sua dimensione peculiare, la dimensione del gioco. Il gioco implica una situazione di oscillazione e movimento. Il gioco consente il movimento, il muoversi del pensare. La ragione, secondo il filosofo di Königsberg, non può fare a meno di pensare metafisicamente. Anzi, seguendo in pieno il pensiero kantiano, giungiamo alla conclusione secondo la quale il pensiero metafisico è “necessario”, in quanto la metafisica stessa è una disposizione naturale che apre le porte della vita pratica e morale.
Nel luglio del 1786 fu pubblicato un piccolo saggio che – di fatto – inserì il nome di Kant nel cosiddetto Pantheismusstreit (o Spinozismusstreit), la delicata controversia sul panteismo (o sullo spinozismo), in voga soprattutto in quegli anni presso i circoli intellettuali della Germania: Was heißt sich im Denken orientieren? (Che cosa significa orientarsi nel pensiero?).
Come Franco Volpi ha più di una volta precisato, in questo scritto [Che cosa significa orientarsi nel pensiero?] Kant, avvalendosi di abili stratagemmi retorici (in particolare di metafore), dimostrò che la ragione non possiede soltanto funzioni dissolvitrici di ogni precedente credenza, ma può valere come preziosa bussola per orientarci meglio nel buio della nostra vita.
Attraverso il bisogno della ragione osservo la mia vita, la indago, la sento. Il bisogno della ragione è, più precisamente, il “sentimento” del bisogno della ragione.
Il sentire mette in evidenza la coincidenza del bisogno della ragione con la ragione medesima. Il sentire è un sentire non sensibile, ma intenso, intimo, profondo.
È il “mio” soggettivo [proprio del soggetto] sentire, il sentire della autocoscienza. Il bisogno della ragione è un cammino indefinito, una tensione continua, un volere andare oltre. Il bisogno della ragione è una necessità incontestabile-inesauribile. In tal senso, Kant parla di “diritto del bisogno della ragione”.
La ragione, per Kant, non è contrassegnata dall’attività produttiva. La ragione, ovvero, non mira alla produzione e non s’incammina al fine di possedere qualche cosa. La dimensione del possesso non le appartiene. La ragione, molto più semplicemente, sta sul limite (Grenze). Il limite è una linea immaginaria di distinzione tra l’empirico e l’intelligibile. Limite è, letteralmente, “ciò che sta tra”.
Nel lessico kantiano, distinguiamo le parole Grenzen, che traduce “limite”, e Schranken, che traduce “confine”. Il confine è una sbarra, una barriera. Il confine è qualcosa di restrittivo, circoscritto. Il limite, invece, ha a che fare con la frontiera. Come la frontiera, il limite è ciò che si affaccia da una parte e dall’altra. Il limite è ciò che apre, disvela, dispiega. Limite è quella tensione che permette il movimento del pensiero (o della ragione). Per questo motivo, il limite non è limitazione di potenza, ma esaltazione-generazione di potenza. Il suo è un significato non restrittivo, bensì generativo.
La capacità della ragione è quella di visionare e di pensare ciò che sta aldilà dell’esperienza immediata e diretta. L’esperienza è limitata ai fenomeni (Erscheinungen) e, di conseguenza, riguarda solo i fenomeni [ciò che appare dinanzi a noi]. L’esperienza, in altre parole, è limitata alla materialità dei sensi. Per tale ragione, [l’esperienza] si trova ad ed essere costitutivamente finita, limitata. La kantiana «cosa in sé» non potrà mai essere com-presa e conosciuta. È e rimane una X, un nihil negativo.
Il pensare invece trapassa la finitezza della materialità, spingendosi oltre, torcendosi aldilà dello spazio definito. Il pensiero ha in sé l’esigenza di muoversi continuamente, di mettersi in cammino, di superare i limiti dell’esperienza fisica, pur non potendo mai conoscere effettivamente la natura della “cosa in sé“.
Il pensiero riesce ad oltrepassare i limiti in quanto è propriamente questa capacità di collocarsi sulla linea dell’orizzonte.
La ragione, dunque, sta sul limite e, in questo stare-sul-limite, interviene mettendo in relazione “ciò che sta di qua” e “ciò che sta di là”. Essa riesce a vedere da una parte e dall’altra, poiché entrambi (il “ciò che sta di qua” e il “ciò che sta di là”) sono ambiti che le competono di diritto.
La ragione è la bussola che indica come procedere in un territorio che per noi è simile ad una stanza buia. È quel principio di orientamento che è proprio di ogni soggetto, il nocchiero della nostra nave, la guida che ci prende per mano e reclama noi d’in-seguire le sue tracce.
Vorrei concludere ancora con una frase del grande filosofo tedesco: “Questo mezzo soggettivo, l’unico che rimane, altro non è che il sentimento del BISOGNO proprio della ragione”.
Per approfondimenti:
_Kant I., Che cosa significa orientarsi nel pensiero?, ed. it. a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano 2011.
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