
14 Ott Rocket men: Keith Richards, Il pilota, l’amante e l’immortale
Rocket men: Keith Richards, Il pilota, l’amante e l’immortale
di Simone Ciccorelli del 15/10/2016
“Essere il passeggero di una Ferrari guidata da Keith Richards è un brivido secondo solo a scendere giù per una collina con Ray Charles al volante. Mi sono quasi ammazzato drogandomi con lui, ma andarci in auto era anche peggio”
Dalle parole di Nick Kent iniziamo questa chiacchierata su Richards. Il critico seguita nella descrizione: “Spesso durante i tragitti Richards si dimenticava da che lato guidare e non aveva mai con sé la patente, la stessa che non ha mai nemmeno preso. O meglio, qualcuno l’ha presa per lui. Si perché, dopo due tentativi andati male, il chitarrista ha deciso che il terzo lo avrebbe fatto sostenere proprio al suo autista”.
“Come minimo avrai ipnotizzato l’esaminatore” gli dice Tony Sanchez, il suo spacciatore di fiducia, quando Keith gli mostra con entusiasmo la patente appena conquistata. E’ l’otto gennaio del 1966. Richards è l’ultimo degli Rolling Stones a patentarsi e nelle trasferte precedenti, quando non guidava lui (perché guidare senza patente non è mai stato un problema), dormiva. Ma lo faceva come in nessun altro posto. Quel furgone che lo portava da una trasferta all’altra era il suo unico letto e si può dire che dormisse realmente solo a bordo di quelle quattro ruote.

Keith Richards è un chitarrista, compositore e attore britannico, membro fondatore dei Rolling Stones.
Una volta, nel 1964, nel bel mezzo delle Midlands, l’autista sbanda mentre lui dorme come un bambino su un amplificatore a ruote. Urtarono accidentalmente qualcosa e andarono a sbattere bruscamente. L’ amplificatore/materasso sfondò il portellone del furgone e rotolò giù per la collina, scivolando in mezzo ai prati, con ancora il chitarrista a bordo.
Gli Stones, disperati e quasi certi che fosse morto, lo hanno cercato per un’ora urlando senza sosta e perlustrando ogni angolo della zona, fino a quando non lo hanno trovato. Era in una buca profonda, ancora sdraiato sull’amplificatore, che russava.
La prima volta che Keith guidò fu quando rubò l’auto di Mike Jager, proprio quando il cantante aveva deciso di tenerla per qualche giorno a riposo dopo aver preso una multa e rischiato l’arresto.
Così Keith gli prende le chiavi e insieme a James Phelge, il coinquilino, se ne vanno in giro per Londra per giorni, usando la patente di Tony Calder.
E’ stato il giorno dell’inizio di un rapporto ai limiti del suicidio.
Una delle sue prime auto è Blue Lena. Una Bentley S3 blu, una delle prime con cambio automatico. Centocinquanta all’ora come fossero per legge e sempre sotto gli effetti di qualche stupefacente. Il suo colpo preferito è quello verso i cordoli. Li prendeva tutti, matematico. Di classe.

Keith Richards e la sua Bentley blue-lena
E’ il Natale del 1967 e Keith è in macchina con Michael Cooper, direzione Marrakesh.
Più di sette ore di viaggio al volante per le stradine colme di curve dell’Atlante. Una Peugeot noleggiata è strozzata dalla volontà di Keith, più spericolato che mai e con il desiderio di arrivare a destinazione il prima possibile, stanco dalle troppe ore di viaggio e impaziente. Il piede è pesante, gli occhi anche, ma tutto fila liscio tra un tornante e l’altro, fino a quando sbucano due moto militari che occupano tutta la carreggiata.
Una ha fatto in tempo a scansarsi per evitarlo mentre lui da parte sua ha cercato di non colpirle finendo quasi nel precipizio e salvandosi con un controsterzo da
stuntman. Superate le moto è il turno del camion militare ma questa volta Keith va dritto, non si sposta e urta una moto che precedeva il camion. Finisce contro il cordolo e mentre affianca il camion si accorge che trasporta un missile enorme, lungo quasi quanto il convoglio.
Prepara la curva evitando tutto il possibile e finendo con una ruota nel precipizio, ma anche questa volta riesce a tenere la macchina e a rimettersi nella carreggiata.
Keith, scosso dall’aver rischiato la vita una quarantina di volte in tre curve, ha deciso quindi di accelerare e di fermarsi alla prima officina per cambiare auto, ormai molestata al punto di averla consumata. Accelerando si è lasciato dietro di sé un enorme boato, un’esplosione che non aveva mai sentito prima di quel momento e una nube nera sollevarsi dallo specchietto retrovisore.
Il giorno dopo ha letto tutti i giornali per rintracciare qualche notizia, ma niente. Nessuno ha parlato di un grosso boato causato dall’esplosione di qualcosa, magari proprio di un missile, nel mezzo dei monti del Marocco. E’ salvo, ma qualcun altro no.
Se fosse stato lui a morire forse se ne sarebbe parlato di più, forse. Ma lui non bada a questo e nella sua autobiografia scrive: “Precipitare in un dirupo a cavallo di un razzo del terzo mondo sarebbe stato un triste epilogo ma forse era l’unico congedo che si addicesse all’erede della fortuna degli armamenti Krupp”.
Si, perché questo Krupp era un erede della dinastia di fabbricanti di armi tedesche ed era in macchina con lui proprio mentre prendeva a sportellate una montagna ed evitava convogli con missili e moto militari, facendoli poi saltare in aria.
Una delle migliori avventure è senza dubbio quella del 27 marzo 1971.
Il giorno prima aveva partecipato alle registrazioni al Marqee Club per un famoso programma televisivo.
Si era disintossicato da poco e aveva anche lasciato Anita in clinica per la cura del sonno. Tre giorni a dormire, questo è quello che prevedeva la terapia; non sentire il dolore dell’astinenza attraverso il sonno prolungato per giorni.

Keith Richards e Anita Pallenberg
Keith era da poco andato a far riparare la Bentley visto che il giorno prima aveva perso le chiavi e ha dovuto chiamare la polizia per farsela aprire.
Proprio in quel momento Tony Sanchez riceve una telefonata da Anita, dominata da un attacco isterico a causa dei sonniferi; non facevano effetto. Si sentiva malissimo, al punto di impazzire. Infatti impazzì. Strillò al telefono fino a quando Tony non si decise e le promise che sarebbero andati a riprenderla.
In qualche modo Tony riesce a rintracciare Keith che, ignaro dello stato di Anita, era andato a bere all’Hilton.
Dopo tre ore scandite dai Margarita insieme a Michael Cooper, che nel frattempo lo
aveva convinto a rifarsi di eroina, i due si lanciarono sulla Bentley, appena riverniciata di
rosa .
“Così la trovo più facilmente”, ha risposto Keith quando gli è stata chiesta la motivazione di quel colore. L’ha subito ribattezzata “Pink Lena”.
Dopo una serie di Margarita, però, non ci si può mettere al volante, sarebbe da incoscienti. Quindi Keith e Michael ricorrono alla coca per tirarsi un po’ su. Saggi.
Il motore si accende e al volante c’è uno dei migliori chitarristi al mondo; pieno di alcool, con i postumi di eroina e ora anche sotto l’effetto di cocaina. Una sicurezza.
Sticky Fingers al massimo volume possibile e si vola da Anita.
Michael durante il tragitto pensa che forse quelli saranno i suoi ultimi minuti da vivo. La macchina è come una pallina in un flipper e passa da un lato all’altro della strada come se non ci fossero regole e confini. Sorpassi in ogni direzione, clacson ripetuto a chiunque gli intralci la strada, litigi e urla, insulti all’ultimo grido con altri automobilisti.
Che equilibrio. Un camion di fronte a lui non ne vuole sapere di spostarsi, viene dalla direzione opposta e Keith, contromano, la prende come una questione personale.
Strano. Il camion sta per andargli addosso ma lui non si sposta. Vive come se fosse immortale, fino all’ultimo metro, fino a quando capisce che il camionista non si sarebbe mosso e che a rimetterci sarebbe stato soltanto lui.
Per evitarlo si schianta senza nemmeno frenare contro una rotonda e si ferma soltanto quando batte contro una cancellata sfondando tutta la parte anteriore della Pink Lena. I giornali di quel tempo parlano di “disastro stradale” e “danni per migliaia di dollari”.
Una folla di curiosi sono subito accorsi per vedere cosa fosse successo, temendo forse per la sua incolumità. Qualcuno ha anche chiamato la polizia, ma nessuno è riuscito a trattenerli. Keith e Michael sono scesi dall’auto e sono corsi, zoppicando, a casa di Nicky Hopkins, il pianista che ha collaborato più volte con i Rolling Stones e che viveva a duecento metri da lì.
Il suo aiuto è stato fondamentale. I due si sono nascosti a casa sua e si sono medicati il medicabile, prima di salire su una limousine chiamata dallo stesso pianista e ripartire in direzione Anita.
Keith però prima di partire ha deciso di chiamare la sua amata e le ha raccontato della folle corsa per andare da lei e dell’incidente, ancora eccitato, rassicurandola e dicendole che ci avrebbero messo poco; che presto sarebbe uscita di lì tra le sue braccia.
La reazione di Anita è la solita strillata isterica per telefono
“Portami un po’ di eroina e me ne vado di qui subito!”
“Ok ok, te ne porterò un po. Ma soltanto un po‘”.
E così andò. Anita uscì dalla clinica e riprese a farsi dopo nemmeno due giorni. Anche Keith era di nuovo nel vortice, ma poco gli importava. Lui voleva vivere così e ogni restrizione era un reprimere se stesso e il suo senso alla vita: la spericolatezza, l’incoscienza, il nichilismo e l’eccesso. Tutto può essere racchiuso nell’immagine di una Bentley Rosa contro una cancellata, senza più la parte anteriore, fumante e presto abbandonata.
Siamo ai primi di ottobre del 1974 e Richards deve recarsi agli studi della BBC per un intervista sul suo ultimo album “It’s Only Rock and Roll”, che sarebbe uscito nelle due settimane successive.
E’ passato del tempo ma lui è sempre lo stesso scalmanato incosciente di qualche anno prima. Solo con la pelle un po’ più dura e la mente un po’ più libera e distesa grazie ai successi ottenuti.
Ovviamente, per andare agli studi, la velocità era sempre la stessa, uno standard di centocinquanta chilometri all’ora che quasi potremmo ribattezzare “Velocità Richards”. Standard mantenuto dalla sua enorme coerenza anche nelle curve strette delle province inglesi. L’arrivo agli studios gli illumina un viso pallido e stanco, con i riflessi rallentati di chi da giorni non chiude occhio. E’ scomposto, trasandato e con un buco al posto di un incisivo. Le pupille sono dilatate e buie, come fossero una galleria da attraversare in fretta, magari proprio a centocinquanta all’ora.
Per i più curiosi, è possibile trovare l’intervista a questo link: (https://www.youtube.com/watch?v=3knLO2sM-6o).
Guardatela in fretta, ma non troppo. Guardatela come se non doveste morire mai, ma allo stesso tempo come se aveste soltanto più oggi a disposizione.
Più o meno come ha vissuto lui. Come vive lui. Uno spericolato a bordo di una Bentley rosa, che dorme sugli amplificatori in mezzo ai rovi e fa esplodere missili militari proprio mentre è in macchina con un ereditario di fabbriche di armi.
Un amante degli eccessi e dell’autodistruzione controllata ma allo stesso tempo fuori controllo. Un controsenso vivente, contromano. Guardatela così.
Come se riesciste ad entrare nella galleria dei suoi occhi, attraversandola. Ma fatelo in fretta. Fatelo alla “Velocità Richards”.
Come si fa? Non lo so, non posso saperlo.
Altrimenti sarei Keith Richards, l’uomo che guida e suona come se stesse per morire, in eterno.
Per approfondimenti:
_Keith Richards, Life (autobiografia)
_Renzo Stefanel, Sesso Droga e calci in bocca
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