L’apertura al mondo: tra Scheler e Plessner

di Danilo Serra del 11/07/2016

Il concetto di “apertura al mondo” è un concetto derivato dal pensiero di Max Scheler, il quale, in un’opera conosciuta in italiano con il titolo La posizione dell’uomo nel cosmo, risponde alla domanda riguardante l’essere dell’uomo (Che cos’è l’uomo?) affermando: [egli è] «un essere spirituale non più legato alla tendenza e all’ambiente, ne è libero, e perciò aperto al mondo» .

L’uomo descritto da Scheler è l’essere “aperto al mondo” (Weltoffen) in grado di svincolarsi dalla pressione biologica, estraniandosi dalla purezza organica ed esclamando il “no” alla vita in se stessa. Egli ha la capacità di apertura verso il proprio esterno.
L’apertura al mondo è dunque, per Scheler, la caratteristica fondamentale dell’uomo, ciò che lo identifica e lo rende unico. Essa è il risultato dell’azione di una “facoltà spirituale” in grado di fare l’uomo aperto, libero, propriamente umano. Grazie all’azione di tale principio “spirituale” (Geist), l’uomo si colloca in una posizione unica, aldilà dell’ambiente materiale, oltre il terreno della natura, «in una dimensione lontana e persino contrapposta a quella animale: si determina un vero e proprio rovesciamento – dice Scheler – nel rapporto di questo essere con il proprio esterno» .
L’essenza dello spirito consiste nella sua capacità di sottrarsi alle dipendenze della vita, “oggettivando” la propria realtà, producendo idee, intuizioni particolari e provando emozioni speciali e del tutto originali (come la bontà, l’amore, il rispetto, ecc.).
Per comprendere la qualità dell’essere umano, chiarendone la “sua” posizione nel cosmo, Scheler pone in essere un particolare processo nel quale vengono scanditi i ritmi dell’esistenza naturale. Egli intende postulare la “composizione biopsichica” del mondo della vita, ponendo in relazione organica la natura vegetale, quella animale e quella umana. Scheler è affatto convinto che, oltre al possesso di componenti visibili naturalmente – come il movimento – il vivente contenga una costituzione interiore, ossia una interiorità psichica segnata essenzialmente dalla spontaneità e dall’autonomia, attributi capaci di rendere determinate movenze leggiadre e colme di grazia. «È un dato di fatto che oltre a possedere il movimento, la formazione, la differenziazione, la delimitazione spontanei rispetto allo spazio e al tempo […], le cose che noi chiamiamo “viventi” non sono solamente oggetto di una osservazione esterna, ma posseggono, come loro caratteristica essenziale, un modo di essere per se stesse e interiore onde riconoscono se stesse» .
Le quattro forme essenziali della vita psichica designate da Scheler (“impulso effettivo”, “istinto”, “memoria associativa”, “intelligenza”) appaiono in uno stretto rapporto evolutivo reciproco, formando di fatto uno schema graduale armonistico: «si tratta cioè di tappe successive nell’evoluzione di un unico principio, le quali pertanto derivano l’una dall’altra senza salti qualitativi» .
Questo processo di evoluzione organica si sviluppa gradualmente. In tal senso, viene presupposta «una continuità graduale e progressiva tra le forme della psichicità vitale» .
Scheler intende con esso delineare una frattura qualitativa tra l’uomo e l’animale. Solo l’uomo ha la facoltà di dirigere le proprie qualità psichiche al servizio di scopi diversi da quelli dettati semplicemente dalla necessità organica, «solo lui è in grado di avere la categoria di cosa e di sostanza; solo lui ha sin dal principio una intuizione unitaria dello spazio» . L’uomo è dunque aperto, non incastrato in una realtà meramente naturale: egli «soprattutto si trova in un “rapporto metafisico” con il principio del mondo» .
Il concetto di “apertura al mondo” riveste un ruolo centrale anche nel pensiero antropologico di Helmuth Plessner. Attraverso il proprio comportamento, la propria espressività, il proprio apprendere, l’uomo determina una continua trasformazione della sua esistenza e della sua dimensione: «l’oggettivazione dell’ambiente ha avuto ormai inizio e continuerà lungo il filo conduttore della sempre più elaborata articolazione linguistica. I vincoli che lo stringevano alle situazioni si allentano: al loro posto compare il rapporto obiettivo, che distingue l’analogia de diverso dalla diversità dell’analogo. L’uomo si apre al mondo».
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Max Scheler (Monaco di Baviera 22/08/1874 – Francoforte sul Meno 19/05/1928)  –  Helmuth Plessner (Wiesbaden, 04/09 1892 – Gottinga, 12/06/1985) è stato un filosofo e sociologo tedesco

Plessner si fa portavoce di una concezione originale di “apertura al mondo”. Diversamente da Scheler, egli non giunge a stabilire una cesura, un distacco, tra la sfera umana e quella della natura. «L’uso oggi invalso di attribuire all’animale un condizionamento totale all’ambiente e all’uomo l’apertura verso il mondo è piuttosto semplicistico, perché in questo modo non si tiene abbastanza conto del duplice aspetto della “natura” umana e ci si lascia troppo facilmente suggestionare dal vecchio schema copo-anima-spirito, come avviene in Scheler» . Ciò che Plessner intende denunciare è la troppa facilità con la quale ci si è sbarazzati del concetto di “natura”, ammutolendo la componente naturale/animale che pure risiede all’interno dell’unità umana. L’uomo è l’essere eccentrico per eccellenza. Non abitando in un luogo centrato e ben circoscritto, egli gode della facoltà dell’eccentricità, attraverso la quale riesce a mantenersi in vita nonostante gli evidenti (morfologici) oneri che lo determinano. Ma qui sta il passo essenziale dell’antropologia plessneriana: l’uomo eccentrico non perde il contatto con il proprio “prima”, il suo divenire non cancella il passato. Nell’organismo posizionato verso un nuovo orizzonte è presente la radice naturale. La natura è in lui, è dentro di lui. L’eccentricità non esclude la centricità, ma, derivando da essa, la include e la custodisce entro sé. «Solo in quanto animale, infatti, l’uomo può essere “oltre” l’animale; solo in quanto centrico l’uomo può essere (anche) eccentrico» .
Animalità ed umanità, centricità ed eccentricità, natura e cultura sono tutti binomi facenti parte di un unico orizzonte dialettico. Essi convivono e si conservano nell’essere umano. Senza natura, dunque, non potrà esserci alcuna realtà culturale, e ciò significa essenzialmente «che una quantità di atteggiamenti istintuali e di comportamenti tendenziali interviene in maniera decisiva nelle faccende più “spirituali” dell’essere umano, essendone in fondo concause» . L’uomo possiede un corpo organico (Körper), attraverso il quale è ancorato all’ambito prettamente fisico/naturale. Egli ha la capacità di condurre il proprio corpo, facendolo divenire corpo vivente, corpo “pulsante”, “corporalità” (Leib). Il termine Körper designa in Plessner l’insieme corporeo, il corpo in quanto “oggetto”, “cosa corporea complessiva”, corpo che è. Diversamente, Leib indica il corpo vivente, del vivente, un corpo posseduto da un vivente che ha corpo.
Questa paradossale “doppia natura” (l’essere corpo e l’essere “nel” corpo) è in realtà una duplicità nell’unità dell’essere umano. «Queste due disposizione sono reciprocamente intrecciate e formano una singolare unità. È infatti possibile caratterizzarle autonomamente, ma non separarle l’una dall’altra […]. Voler decidere in favore di una delle due disposizioni significherebbe fraintendere la necessità del loro intreccio reciproco» .
L’uomo oscilla tra il naturale e il culturale, percependo come propri entrambi gli ambiti. Plessner, seguendo questo ragionamento, si distacca fortemente da chi, con toni retorici affascinanti, propugnava un’apertura illimitata verso il mondo esterno: «essa sarebbe possibile solo a un soggetto che – come gli angeli della teologia medievale – fosse senza corpo o possedesse un corpo di sostanza spirituale, e per mondo si intenderebbe qui l’essenza del reale nella sua piena rivelazione» .
L’uomo non è separato dalla natura. Egli, nella sua unità, nel suo essere e non-essere, è aperto. La natura, la sua natura, lo attiva, lo attrae e lo spinge oltre, in una nuova era, legandolo comunque a sé. «La nostra apertura è limitata da barriere, oltre le quali soltanto ci è possibile afferrare la cosa» .
In Scheler, la separazione tra un essere umano ed un qualsiasi altro vivente è determinata dal lavoro svolto dallo spirito (Geist): l’uomo lo possiede, l’animale no. Soltanto l’uomo può condurre le proprie azioni indirizzandole «verso la realizzazione di scopi non dettati immediatamente dai bisogni organici e per questo si colloca su di un piano esistenziale del tutto unico» .
Tuttavia, Max Scheler, nella formulazione dell’elemento spirituale, intende precisare che il suo intento non è affatto quello di riporre l’accento sul tradizionale dualismo cartesiano (corpo/mente, corpo/anima); tutt’altro. La nuova comunicazione “vita-spirito” è di estrema importanza per l’affermazione della peculiarità umana. Attraverso una tale relazione, l’uomo si rende non-animale, aprendosi al mondo.
Paradossalmente, lo spirito non è in grado di attivarsi senza la presenza della natura.
Lo spirito esige la natura per combatterla, sconfiggerla e renderla propria, “snaturalizzandola” (o “spiritualizzandola”). La forza dello spirito è secondo Scheler imponente, nefasta, ma, senza un principio naturale, l’energia spirituale è nullità, vera impotenza, incapace di agire. La realizzazione del Geist implica così il sacrificium della vita, troppo debole per potere resistere alle intemperie dello spirito. L’uomo, avente in sé stesso non solo un principio naturale, riesce, attraverso il principio spirituale, a rinunciare agli impulsi vitali (solo così può pronunciare il “no” alla vita), divenendo l’«asceta della vita» .
L’uomo della vita lotta contro la vita per la vita oltre sé medesima: questo è il vero paradosso dell’umanità.
Nella concezione “umana” plessneriana viene, invece, rimarcato l’accento sulla contiguità del grado umano con quello animale. L’uomo, costituendosi di “animalità”, ha la capacità di distinguersi, oltrepassando il regno necessario dell’animale. Egli, a differenza dell’animale, sa di essere corpo e non semplicemente di possederlo. Questa consapevolezza interna lo rende in grado di proiettarsi in una dimensione esistenziale “culturalmente” e “profondamente” diversa. L’uomo, attraverso la capacità di scelta, attraverso il suo sapersi, conquista il terreno della libertà.
 
Per approfondimenti:
_M. Scheler “La posizione dell’uomo nel cosmo” M. T. Pansera, Armando, Roma 1997
_V. Rasini “L’essere umano. Percorsi dell’antropologia filosofica contemporanea” Carocci editore, Roma 2008
_H. Plessner “ Conditio humana”, Mondadori, Milano 1967
_H. Plessner “I gradi dell’organico e l’uomo. Introduzione all’antropologia filosofica” Bollati Boringhieri, Torino 2006
_H. Plessner “ Il riso e il pianto. Una ricerca sui limiti del comportamento umano” Bompiani, Milano 2010
 
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