01 Lug Il Futuro è nostro
di Diego Fusaro del 16/06/2016
“il Futuro è nostro” se sapremo appropriarcene, cioè se sapremo agire con l’ottimismo della volontà come diceva Gramsci ovvero vincere quelle “passioni tristi” come la pigrizia, il disincantamento, la rassegnazione al cinismo che si sono impadronite nell’uomo occidentale, soprattutto dopo il 1989, quando appunto si è prodotto un duplice e sinergico movimento di desertificazione dell’avvenire e di eternizzazione del presente.
Il 1989 è dal mio punto di vista, non solo la più grande tragedia geopolitica del secondo 900, ma è l’anno in cui sotto le macerie del muro di Berlino resta sepolta l’idea, avrebbe detto Marx “del sogno di una cosa” di un mondo alternativo sia al comunismo reale, sia al capitalismo. Dopo il 1989 si spegne secondo me l’idea del perseguimento del paradiso in terra, ma di un futuro diverso rispetto al presente, cioè l’idea che sia possibile combattere in nome di qualcosa di più grande e meno misero del presente oggi totalmente reificato all’interno del capitalismo.Nel 1989 si impone quello che nei miei lavori ho chiamato Spinozianamente “il capitalismo stile natura” ovvero una sorta di naturalizzazione e destoricizzazione, di fatalizzazione in forza delle quali il presente si presente da “natura” già da sempre data, che non concede alternative, a tal punto che del presente si rende possibile dire: (quello che Goethe diceva della natura) “sempre è stata, sempre è e sempre sarà così come è“.
Stiamo vivendo a tutti gli effetti dal mio punto di vista un epoca di eterno presente che mira (complici le prestazioni dell’ideologia neoliberista) a privare soprattutto le nuove generazioni del futuro possibile: inteso non tanto e soprattutto come promessa di salvezza messianica, ma come possibile luogo di progettazione di un esistenza degna di essere vissuta. Oggi i giovani sono costretti (complici le forme salariali più meschine e abiette come il precariato e i lavori a tempo determinato) a vivere in una situazione di assenza totale di futuro e di presente eternizzato che li coarta a dimensione della inautenticità e insieme dell’assenza di certezze e stabilità con cui progettare la loro vita. Vi è inoltre un conflitto quasi esasperato tra “giovani e vecchi” (generazioni non allineate fra loro) già Isocrate racconta di come già tra giovani e vecchi vi sia una tensione..e questa arriva in tempi recenti con Pirandello..ma mai nella storia si era creato un conflitto insanabile fra queste due fazioni, perchè storicamente se è vero che “giovani e vecchi” non erano assimilabili, ciò non di meno c’erano relazioni fra loro..i giovani andavano ad apprendere dai vecchi (portatori di esperienza e di saggezza) e in maniera convergente i vecchi amavano circondarsi dei giovani perchè erano appunto potenza biologica e apertura verso il futuro. Oggi la situazione è tragicamente mutata perchè per un verso si è creata una vera e propria frattura incolmabile fra giovani e vecchi e per un altro verso si è creato un conflitto generazionale totale, i vecchi sono sempre più considerati dalla società non più come risorsa di saggezza, ma come corpi inutili non produttivi (che non rientrano nel ciclo della produzione), mentre i giovani dal canto loro sono considerati (da una società malata patologica come è la nostra) non per la loro potenza biologica, culturale, per la loro sete di futuro, ma sono considerati come eternamente immaturi, questa è la società che mira a renderci permanentemente immaturi e non è un caso che si sia considerato giovani fino a 70 anni, cioè fino alla fine dell’esperienza lavorativa, flessibile precaria, dove l’eterno mondo del tecnocapitalismo è esso stesso flessibile e giovanilistico ed impedisce di giungere a maturità, perchè tramite le forme del lavoro flessibile/precario impedisce di raggiungere avrebbe detto Hegel la stabilità etica delle istituzionalizzazione familiare/professionale, impedisce cioè ai giovani di farsi una famiglia e di trovarsi un posto di lavoro fisso, impedisce loro di accedere alla dimensione etica/borghese e quindi li considera giovani fino a settantanni per un verso accanto a questo indecente elogio al giovanilismo di maniera (i giovani ragazzi vengono elogiati in quanto giovani, se calciatori o veline) non importa nulla alla società di far acquisire ai giovani un posto di rilievo nella cultura, nella politica, nelle istituzioni, per cui è un giovanilismo falso e ingannatorio, che illude i giovani con il miraggio del successo sfrenato. Io credo che si debba abbandonare questa prospettiva e cercare nuovamente una formula un pò pomposa di “patto intergenerazionale”. Oggi non esiste più il ruolo del maestro, il quale strutturava la testa, oggi vige imperituro il ruolo del professore che trasmette meri contenuti. I professori troppo spesso all’interno di un sistema scolastico universitario ridotto a fabbrica di esami non sono coloro che coltivano e che portano avanti una paideia dei giovani, ma sono semplici burocrati o per usare una nota formula di Max Weber “sono specialisti senza intelligenza” e direbbe György Lukács “maestri di idiotismo specialistico” non danno una visione olistica dell’uomo e della società. I veri maestri sono quelli (nell’antichità vi erano le scuole filosofiche, dove vi erano maestri che portavano avanti un discorso filosofico coerente) che più che darti dei dogmi su cui adattarsi, ti danno un “modus” di pensare, ti danno la capacità di pensare criticamente sulle cose, senza cedere ai dogmatismi di maniera, per cui oggi bisogna ritrovare la figura del maestro. Io ho avuto parecchi maestri nella mia formazione, ma due soprattutto sono coloro che hanno formato la mia persona: a Torino il filosofo marxista Costanzo Preve, che mi ha avvicinato ai testi di Marx e a Milano ho avuto come maestro (e lo ho tuttora) Andrea Tagliapietra che mi ha insegnato la passione della critica e con il quale collaboriamo all’interno di un centro di ricerca chiamato “Crisi”. Oltre che maestri li chiamerei anche compagni (utilizzando una formula di Hans-Georg Gadamer) perchè il maestro non è colui che tiene una rigida separazione rispetto alle vicende, ma è colui che istituisce un rapporto che insegna e impara allo stesso modo e su questo la pedagogia di Gentile ha molto da insegnare. Infine vi sono i maestri ideali (quelli con i quali non ho avuto un rapporto diretto) che leggendo e studiando i loro scritti, mi sono formato: come Marx, Gramsci e Hegel.
© L’altro – Das Andere – Riproduzione riservata
No Comments