
30 Giu L’Europa, il nichilismo e la Chiesa di Roma (7)
di Francesco Di Turi del 30/06/2016
Così come, infatti, il neoconservatorismo USA credette di forzare bellicamente l’instaurazione della forma democratica nei territori mediorientali, allo stesso modo, ma politicamente poiché già «giardino dell’Impero», il nuovo spazio europeo ormai riunito di fatto dal venir meno dell’altro polo, fu prima consolidato con la nascita dell’Unione Europea (1993), quindi gradualmente espanso non senza essere prima preceduto dalla ben più strategicamente rilevante annessione militare alla Nato di molti paesi ex Patto di Varsavia, a cui, infine, è seguito il sempre maggiore e graduale «allargamento» alle strutture istituzionali della UE.

Trattato di Parigi
Tuttavia, quello che fu il crollo dell’equilibrio ideologico, fu al tempo stesso, come già si è detto, il defluire simultaneo di tutto il sistema ideologico europeo post Seconda Guerra Mondiale a cui l’ideologismo «democratico» era legato a doppio filo.
Ritornando al parallelismo con l’interventismo neoconservatore USA nel GMO, si può, anzi si deve dire, che così come l’idea di plasmare con la forza i teatri mediorientali ad immagine e somiglianza della stessa fede ideologico-democratica USA non faceva realmente i conti con l’effettivo e nuovo rifluire storico in atto nel GMO, allo stesso modo, la medesima volontà politica soggiacente al processo di consolidamento militare (NATO) e istituzionale (UE) europeo, in realtà già si condannava ad un probabile insuccesso, in quanto non più storicamente appropriato alla nuova storicità, alla nuova condizione storico-politica in atto in tutta la nuova Europa; è questo uno dei fattori più importanti della crisi istituzionale dell’Unione Europea: una costruzione di ordine ideologico del tutto inappropriata e quindi destinata ad entrare in crisi a causa di nuovi «movimenti storici» che non riescono nei fatti a corrispondere più ad alcuna forma ideologica, astratta, formalistica, pretenziosamente universalistica, meccanica, metafisica, kantiana e di conseguenza quintessenzialmente nichilistica: già in nuce autocontraddittoria e ormai non più operante perché storicamente dissolta.
L’Europa, di fatto, è entrata in una fase storica post-ideologica che non può ricadere sic et simpliciter all’interno della vicenda nichilistica poiché quest’ultima in verità è stata inghiottita insieme ai suoi prodotti, è stata riassorbita in quanto epoca definitivamente dissolta.
Lo smarrimento europeo di oggi sta tutto qui.
Qual è l’importanza di questo fatto fondamentale per il nostro discorso circa l’assorbimento del nichilismo; decisiva.
Per quanto il nichilismo continui a influire nella vita concreta delle società civili, pubbliche e private di tutt’Europa, ed anzi sembri essere ancora più acuta la sua azione, in realtà esso ha già smesso di essere elemento architettonico ed egemonico per mutarsi in elemento sì rilevante ma ormai soggetto ad essere subordinato da una nuova direttrice di senso storica. Non diciamo che è già subordinato ad una nuova direttrice di senso storica, ma crediamo che sia divenuto, per la prima volta dopo il suo dominio, suscettibile, passibile ad essere subordinato.
Ma il nichilismo si è detto essere proprio quel fenomeno storico europeo che intrinsecamente contiene la possibilità di un auto-annientamento che non è di ordine teorico astratto bensì pratico-attuativo, concreto: la storicizzazione concreta del nichilismo. Quindi esso dovrebbe necessariamente condurre il mondo storico europeo alla sua effettiva auto-distruzione da pensare non solo come catastrofe materiale ma soprattutto come profonda e irrimediabile alienazione, impoverimento spirituale. Questa convinzione è errata; perché pensa il nichilismo come un processo deterministico inarrestabile, lo pensa in modo astratto come un destino e non come l’ultima tappa potenzialmente autodistruttiva di una storicizzazione europea che va «oltre» esso conservando la carica nichilistica ma non più architettonicamente operante in virtù del dissolvimento dell’epoca del nichilismo europeo. Chi pensa il nichilismo fino in fondo è già andato più a fondo di esso traendo cioè dall’esperienza del pensiero del nichilismo le energie nuove e ormai pre-disponibili che la nuova epocalità europea mostra.
L’Europa può rifluire storicamente solo se le sue collettività, gli individui che compongono la sua comunitarietà dispersa prendono coscienza in superficie di questa verità subcosciente che essi «sono».
Sì, ma dove ricade la nuova direttrice di senso se ogni senso regresso è destituito del suo fondamento, eroso, inaridito e non più disponibile? Come sarà possibile riorientarsi se la bussola stessa che dovrebbe indicare l’Oriente è andata in frantumi? Come si pone tutto ciò nei confronti della tecnica moderna che su questo non senso sembra dilagare e propagarsi in una oggettiva alienazione collettiva di rincorsa piatta e senza fine verso un nuovo che non è mai nuovo poiché già sempre nato vecchio?
Le seconda domanda è in verità a nostro avviso già decisa: il venir meno del nichilismo europeo già pone le condizioni stesse affinchè il «tecnico-globale» in realtà si ridisponga, si riorienti, non essendo più di fatto «concretamente» globale ma essendolo armai solo «formalmente», astrattamente. Il riflusso storico dei popoli è riflusso della globalizzazione stessa in senso concreto poiché essa permane e opera solo in senso astratto. Il fenomeno della globalizzazione o mondializzazione, che è stato il tratto caratteristico di tutta la seconda metà del XX secolo, considerato ancora oggi come dato acquisito da pressoché tutti gli studiosi, in realtà si è arenato, si è ristretto e contratto delimitandosi all’interno degli spazi culturali riemersi alla fine dell’epoca ideologica del mondo. Il «villaggio globale», questa felice e fulminante espressione che sintetizza fedelmente cosa è stato il mondo globalizzato del XX secolo, si dimostra oggi tutt’altro che un «unico villaggio», quanto piuttosto come un proliferare di innumerevoli villaggi culturalmente sempre più chiusi in se stessi e al tempo stesso globalizzati nella forma astratta e appiattente, ad esempio, della tecnica, dell’economia, della finanza.
La tecnica figlia della modernità e che oggi ha raggiunto una potenza inimmaginabile solo qualche decennio fa, e che è vista da molti filosofi come uno spauracchio che tutto domina, è in realtà un processo che è funzione del nichilismo e non il contrario; la tecnica non è il nichilismo e nemmeno lo domina, semmai è il nichilismo che dominando il tecnico, lo subordina alla sua dialettica negativa. A sua volta il nichilismo si pone nei confronti dell’uomo quale principio egemonico agente e autodistruttivo di ogni sostanzialità a partire dalla quale l’uomo europeo ha pensato se stesso nelle diverse forme del suo storicizzarsi: è appunto l’erosione di ogni possibilità di riconduzione dell’ente nel suo insieme, in tutte le sue manifestazioni, ad un principio unitario, ad un senso ultimo. Ma il nichilismo, di fatto, si pone esso stesso quale principio orizzontale ordinatore di una sostanzialità che ha agito e agisce fintanto che si conservano le condizioni storico-ontologiche della sua possibilità le quali hanno una scansione ben precisa, una propria storicizzazione segnata da momenti che non sono determinazioni utili per fare storiografia filosofica astratta e devitalizzata ma nodi di riorientamento del senso storico in cui si situa l’uomo concreto e che hanno sempre una origine politica, hanno quale presupposto l’azione cosciente e viva dell’uomo. L’introiezione del nichilismo europeo da parte dell’uomo concreto non può che condurre al disincanto, alla resa e allo spaesamento al cospetto della caduta degli assoluti, ad una etica impossibile, ad una tecnica ormai ingovernabile e fagocitante ogni primato umano, fintanto che, l’europeo di oggi, non operi nella sua concreta esistenza una reale assunzione del senso che ha avuto per la sua storicità l’epoca del nichilismo europeo.
In verità, ciò di cui realmente c’è estremo bisogno, è l’uscita da parte dell’uomo europeo dalla minorità che si è auto-imposto, sé autodistruggendo a causa – prendendo una categoria tabù della contemporaneità – dell’azione in forma conscia e subconscia di una falsa idea di libertà che ha posto il nichilismo stesso come Principio Assoluto, come Sostanza, Unità, Ultimo Dio. È un effetto letale del nichilismo stesso quello di ergersi ideologicamente come destino sotto le mentite spoglie dei suoi prodotti ben precisi e riconoscibili; la tecnica, l’ideologismo in tutte le sue forme, politiche e dunque anche filosofiche, per poi tacciare di oscurantismo, primitivismo, irrazionalismo e di ogni altra «spregevole» categoria chiunque si ponga nei suoi confronti in senso lucido, critico, ragionevole, non ideologico.
Questo avviene proprio perché il nichilismo è essenzialmente auto-contradditorio e dialettico, riesce cioè a padroneggiare i «cuori e le menti» in quanto nasconde la sua intima natura (alienazione) in una manifestatività (libertà) che, mentre in modo apparente contraddice la prima, in realtà continua a perpetuarsi nell’insensato «cattivo infinito» del suo braccio tecnico-operativo.
Ma il senso da riattingere concretamente? Qui è la «Cosa stessa» che si fa scottante.
L’unica possibilità di attuazione, di riflusso storico vivo e proiettato in avanti per l’Europa post-nichilistica va ricercato nella ri-creazione del senso, in una rianimazione delle esperienze storiche europee, dunque e necessariamente anche di quella nichilistica, a partire da risorse simboliche e concreto-pratiche effettivamente spendibili, concretamente presenti.
È infatti velleitario oltre che oggettivamente impraticabile un ritorno alle origini aurorali del pensiero pre-metafisco (Heidegger) in un’attesa che è una definitiva resa. Oltre che ad essere irrealistico è completamente disimpegnato dall’esigenza pratico-politica necessaria per il «balzo in avanti» post-nichilistico; esso si rinchiude in una rassegnazione in cui il pensiero rimedita nell’intimità di se stesso una provenienza astratta, impossibile: è solo sogno. Lo stesso va detto in riferimento a quella che dovrebbe essere una creazione di risorse simboliche nuove, quasi che le risorse simboliche si possano creare a tavolino, impacchettarle e metterle a disposizione dell’umanità futura europea; anche questa è chimera figlia del nichilismo, del suo costringere a sé nella sua dialettica interna autodistruttiva tutto ciò che la storicità concreta europea ha esperito. Ed anche la prospettiva che vede la tecnica come destino (Severino), come immane potenza che domina il tutto a partire dal tramonto definitivo della stessa possibilità di unificare, di ricondurre ad unità, è figlia del nichilismo; è il destino di una «notte in cui tutte le vacche si tecnicizzano» e ogni determinazione dell’ente nel suo insieme va a fondo nel burrone che gli si è preparato: è pensiero astratto, nichilismo. Tutto ciò è talmente intriso di fatalismo, rassegnazione, in-azione che, in verità, la nostalgia delle origini, la creazione del nuovo simbolico, l’incontrovertibilità della verità di un essere eterno che di fatto necessita dell’alienazione di ogni pensiero, tradizione ed esperienza storica dell’Europa sotto il giogo della «tecnica», ecco tutto ciò è talmente intriso di rassegnazione e inattività che, in verità, si rivela essere nient’altro che la forma più radicale del nichilismo stesso al suo definitivo tramonto. La risposta alla domanda filosofica, forte e improrogabile, sul nichilismo europeo, che è l’unica domanda degna della filosofia contemporanea, non può trovare una risposta che si limiti a considerazioni in philosophicis, ossia nell’arida ed esangue speculazione; ma essa ha senso e significato solo se si declina in termini storici e pratico-attuativi, ossia politici.
Si deve attingere a quelle oggettività storiche che hanno attraversato la storicità dell’Europa, anche quella del nichilismo, rimanendone sì gravemente ferite e pur tuttavia indenni nella loro propria storicità: e l’unica storicità vivente capace di operare un simile contromovimento epocale, per quanto oggi sia in Europa quasi esangue e certamente prostrata, è solo la storicità della Chiesa di Roma. Sicuramente parrà strano e bizzarro affermare una cosa simile, eppure è la «Cosa stessa» che lo impone.

Solo la Chiesa Cattolica oggi avrebbe realmente la carte in regola storiche per ri-orientare secondo lo «Spirito del tempo» una collettività europea ormai priva di ogni effettiva capacità di guida e gestione politica futura; ma una Chiesa cattolica che necessiterebbe di un profondo mutamento a partire da un ripensamento di sé alla luce della fine del nichilismo europeo, e certo non per riaffermare la sua Verità pre-nichilistica – il nichilismo non si elimina poiché «figura» concreta della storicità europea – bensì, più essenzialmente, per mettere a disposizione la sua storicità vivente e così rianimare e ricreare il senso della nuova epoca europea riattingendo a tutte le esperienze storiche, politiche e filosofiche che essa ha attraversato e che è la Chiesa di Roma.
Il Concilio Ecumenico Vaticano II è stato un elemento decisivo per la stessa sopravvivenza della Chiesa Cattolica nella fase ultima del nichilismo europeo, ma anch’esso oggi necessita di essere ripensato e non certo per tornare indietro ad un mondo estinto e sepolto pre-conciliare quanto per ripensare sé alla luce del nichilismo di cui, ne sia consapevole o meno, la Chiesa Cattolica ha intimamente fatto esperienza concreta; esso è stato parte della sua storicità. Essa lo ha di fatto assunto subordinandosi al suo dispositivo di senso derivante dall’egemonia culturale del nichilismo; per quanto essa si sia ad esso contrapposta in realtà ne è stata dominata; perché il nichilismo europeo non è stata una corrente culturale, filosofica o politica, ma il senso stesso di una precisa «figura» epocale dell’Europa in cui, ogni cellula della sua storicità, è stata in molteplici forme concretamente assorbita, di conseguenza anche quella cellula che è la Chiesa Cattolica.
La Chiesa di Roma ha attraversato intimamente tutte le esperienze della storicità europea con una continuità senza pari: l’esperienza originaria della vita di Cristo e la dimensione implicita in essa della storicità ebraica; l’assunzione della molteplice e decisiva esperienza greca; l’hereditas et dignitas romana; l’esperienza da cui è nata la stessa Europa così come l’abbiamo conosciuta nella storia, e cioè l’osmosi dell’elemento germanico, slavo e latino; il Medioevo europeo; l’Umanesimo italiano e il suo Rinascimento nonché la nuova proiezione globale dettata dalle nuove scoperte geografiche. È stato appunto con l’avvento della modernità scientifica e filosofica che la Chiesa di Roma subisce un arresto qualitativamente diverso da ogni altro subito in precedenza. È allora che accade la sua lacerazione interno-scismatica occidentale la quale è intimamente figlia della modernità e del suo nichilismo allora inizialmente agente su tutti i piani e a tutti i livelli della coscienza e subcoscienza europea. Ha attraversato la Rivoluzione francese, quint’essenzialmente nichilistica in nome di un astrattismo giuridico e un culto della ragione che ha visto nella Chiesa cattolica romana il nemico per eccellenza da annientare; le grandi ideologie della storia europea ottocentesca e novecentesca di matrice germanico-hegeliana da cui discendono il materialismo storico marxiano generante il comunismo ed anche il nazionalsocialismo, il quale ha intercettato in forme inquietanti e neopagane il positivismo scientifico del nichilismo e l’organicismo politico-corporativo hegeliano integrato con il volontarismo alla potenza nietzschiano. Entrambi gli ideologismi continentali non hanno non potuto intravedere nella Chiesa Cattolica un nemico pericoloso per la loro effettiva praticabilità politica. Infine il «democraticismo proprietario», in origine economico-commerciale (XVII- metà XIX) poi capitalistico industriale ( seconda metà XIX – 3/4 XX) e infine digital-finanziario (ultimo quarto XX – ?) di stampo anglosassone, il quale in nome del nichilismo assoggetta a sé la Chiesa Cattolica dandole una patina di libertà purché si limiti a vivere la sua missione spirituale in termini esclusivamente privati, ossia assoggettati di fatto al potere egemonico culturale del nichilismo, funzionale ad esso poiché costretta a riconoscerne i dogmi.

Non si vuole certo affermare che la Chiesa di Roma debba assumere il «Potere»; non siamo degli sprovveduti privi del senso effettivo delle realtà storiche. Affermiamo solo e in modo deciso che un futuro possibile per la comunità europea non può non passare attraverso la valorizzazione concreta di ciò che è stata ed è l’esperienza storica della cattolicesimo romano in quanto risorsa preziosa a cui attingere in forme nuove, appropriate alle nuove incombenze dettate dal riflusso storico in atto.
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