30 Giu La tempesta storica perfetta (3)
di Francesco Di Turi del 30/06/2016
Il ritorno quali tratti dominanti degli elementi identitari e, diciamo pure, tradizionali, non è un semplice fatto che riguarda alcune nazionalità o la maggior parte di esse. Quello in atto è un vero e proprio rivolgimento storico che sta riplasmando l’intero globo. Per usare un linguaggio hegeliano, oggi più che mai appropriato, diciamo che è uno snodo nella storia dello Spirito che si scrolla di dosso il vecchio mondo per crearne uno nuovo dai caratteri inediti e pur tuttavia figlio di ciò che abbandona.
Questa marea di ritorno del fattore culturale è ormai un fatto più che assodato, tanto che alcuni autorevoli studiosi di diverse discipline hanno rilevato fin dal principio questa tendenza fondamentale, collocandola storicamente, e a ragione, allo spartiacque costituito dal dissolversi della Cortina di ferro.
Non tutti furono d’accordo nel riconoscere questo fenomeno. L’ubriacatura occidentale a fronte del crollo dell’Impero sovietico fece parlare dell’ingresso dell’umanità in un’epoca storica il cui tratto fondamentale sarebbe dovuto essere la stessa «fine della storia» (Fukuyama).
La realtà, come spesso accade, ha smentito in modo categorico e impietosamente queste ardite affermazioni. Tuttavia è altrettanto vero che non si è mai andati oltre la giusta constatazione che acquisisce il dato del ritorno. Come degli scienziati intenti a operare nel laboratorio, ancora si continua ad indicare il fatto incontestabile senza che si offra una ragione plausibile del perché o dei perché del fenomeno. Non è sufficiente rifugiarsi, ad esempio, nella risposta più acclamata, quella che indica nello spaesamento dei popoli e degli individui al venir meno dei grandi sistemi ideologici la causa in virtù della quale, come effetto, c’è stata la riscoperta di una presunta identità diluitasi o perduta.
Risposta troppo debole e solo in parte vera, poiché gli stessi sistemi ideologici, i quali tendevano a sovrapporsi architettonicamente alle istanze identitarie, pur operanti per inerzia in tutto il corso dell’intero XX secolo, erano in realtà già dei vecchi arnesi erosi alle loro fondamenta dal fenomeno più importante ed influente degli ultimi due secoli: il Nichilismo.
Dunque, questo ritorno delle identità è sotto gli occhi di tutti; basti accennare al caso russo, ai Balcani, in misura tutta particolare, sui generis alla stessa Cina, la civiltà più antica della terra; si veda il Giappone, per fare un altro esempio dell’Estremo Oriente, oppure alcune tendenze mitteleuropee tra cui su tutte spicca l’esperienza ungherese degli ultimi anni.
Nelle popolazioni arabo-islamiche questo stesso fenomeno si è verificato in modo decisamente più vigoroso concentrandosi, qui sta la specificità, sull’esperienza religiosa.
La ragione che spiega questo dato è da attribuire probabilmente all’effetto tutto particolare che il riflusso dall’ideologismo novecentesco ha proiettato sulle specifiche esperienze storiche attuali dei popoli e degli individui, determinando i caratteri peculiari, oggi attivi, a partire dalle e in funzione delle loro distinte provenienze storiche, psicologiche, culturali. Le provenienze storiche dei popoli da cui discende il riflusso nell’attuale situazione delle comunità e degli individui hanno poi diverso ordine temporale, ossia per ognuna di esse si collocano su differenti momenti della loro cronologia storica, e ciò tanto rispetto alla specifica e attuale esperienza storica di ognuna quanto rispetto alla loro propria ed irriducibile storicità, la quale non è altro che l’insieme dell’esperienza storica attuale – quella che in fieri va facendosi sotto i nostri occhi – e di tutte le possibili provenienze storiche che un popolo e ogni singolo individuo che ne è cellula custodiscono. Questo ordine temporale della provenienza storica è il luogo – il nuovo mondo creato dallo Spirito, per restare all’immagine hegeliana – in cui l’attuale situazione concreta e di fatto della vita individuale e collettiva sembra essere sostanzialmente ricaduta in senso analogico. Questa dinamica storica non vale in maniera esclusiva per nessuna esperienza di una data cultura, popolo, individuo bensì per tutte le esperienze cultural-comunitarie e per tutti i popoli della nuova epoca.
I «movimenti storici», quindi politici, si spiegano correttamente in virtù di una «sostanziale analogia del rifluire della storia».
Ciò che si vuole marcare non è la mera constatazione, certamente esatta e assodata ormai da tutti, circa il carattere generale di riscoperta delle identità nazionali e culturali da parte di popoli e gruppi umani nel post-Guerra fredda. La differenza di ciò che qui si vuole affermare rispetto alla semplice constatazione di questo dato di fatto è di natura sostanziale; si va oltre esso ricollocando il problema delle culture nella loro più concreta e specifica «esperienza storica», nella loro specifica e irriducibile «storicità». La prospettiva, in questo senso, rende dinamica la realtà di fatto attualmente operante in relazione ad uno specifico passato di un individuo e di una esperienza comunitaria, interpretando quindi l’oggi concreto, il presente dello Spirito, in direzione di un tendenziale futuro proiettato dalle singole storicità dei popoli.
L’«analogia sostanziale del rifluire della storia» va pensata e interpretata a seconda di una difficile ma possibile connessione del piano storico attuale e vigente di fatto della vita concreta di un individuo, di un popolo e della loro esperienza culturale, rifluente, in modo diverso per ognuno, ad un livello storico nuovo, inedito, che tuttavia si determina in misura della scarto tra situazione attuale e situazione storica dissolta, tanto rispetto all’individualità concreta del singolo quanto rispetto alla comunità di cui esso è espressione in senso attivo e passivo, ossia come fattore capace di influenzare la comunità di cui è parte e che da essa è al tempo stesso influenzato. La situazione storica dissolta – quella che la storia dello Spirito si lascia alle spalle – si localizza in un arco temporale compreso tra l’inizio della situazione attuale e il congedo dell’attualmente ritornante situazione analogica del passato rispetto alla situazione storica dissolta; la situazione attuale – quella che entra in una nuova fase della storia dello Spirito – si localizza nel punto di congiuntura tra la situazione storica dissolta e la ritornante situazione analogica del passato; mentre la situazione analogica del passato – quella a partire dalla quale lo Spirito riplasma una nuova epoca – si localizza nell’arco temporale compreso tra l’origine della situazione storica dissolta e il principio della situazione analogica del passato.
Il «concetto» dell’analogia sostanziale del rifluire storico è, sul piano formale, decisivo. Esso infatti ci obbliga, in concreto, a calare ogni tentativo di interpretazione della situazione storica attuale di un dato individuo, popolo o gruppo culturale, non semplicemente nel suo contesto storico, ma più precisamente nelle condizioni storiche effettive da cui proviene il suo riflusso, cioè di individuare la giusta collocazione storica da cui solo è possibile comprendere realmente l’oggi più concreto. Le condizioni storiche effettive attuali di un dato popolo o cultura, cioè l’incontro tra situazione analogica da cui l’attualità proviene e la situazione attuale, richiedono per essere davvero comprese, una integrazione di fattori geopolitici, socio-economici, culturali in senso lato, storici, psicologici e religiosi, sia rispetto alla provenienza storica del riflusso in atto sia, ovviamente, rispetto alla situazione attuale. Solo un lavoro di questo genere può darci come risultato una comprensione concreta e affidabile dell’oggi e del suo tendenziale futuro. Ed un lavoro di tal fatta è possibile solo con l’ausilio della filosofia, poiché filosofico è il cuore del problema.
Ora, le situazioni di provenienza e di rifluenza storica saranno sempre altamente differenziate da un popolo a un altro popolo, da una conformazione culturale ad un’altra; ma ad ognuno di essi o esse potrà essere applicato, dovrà essere applicato pena incomprensione, il medesimo principio concreto-formale.
Il significato fondamentale del principio ermeneutico sta tutto nell’impossibilità, da parte di qualsivoglia ricercatore di senso all’interno dei processi storici, politici, culturali, psicologici, vigenti di fatto in una data cultura o più culture, di partire, nell’interpretazione che desidera compiere della reale condizione attuale di esse, da una provenienza storica impropria, non euristica per la comprensione effettiva dell’oggi. L’eventuale errore nell’individuare la provenienza storica non va considerato come un mero fattore che causa una mancata comprensione dell’oggi poiché riletto alla luce di una periodizzazione storica passata errata; non è nemmeno unicamente un possibile errore teorico di un dato ricercatore da mettere sempre in conto nella ricerca scientifica, cioè avulso da qualsiasi conseguenza pratica; al contrario, l’individuazione errata della situazione storica di provenienza della situazione rifluente attuale è strettamente relata alla singola storicità di ogni individuo appartenente alla comunità e si verifica per mezzo del singolo a causa delle sovrastrutture del mondo storico dissolto le quali continuano ad agire nonostante il dissolversi di esso. Tali sovrastrutture sono costituite dall’ossatura civile, politica, economica e culturale di una comunità così che l’errore si rivela in ultima istanza come figlio dell’incapacità, senza colpa, dell’intera collettività, di scrollarsi di dosso il vecchio mondo al fine di operare appropriatamente nel nuovo. E certamente lo stesso discorso va fatto in senso inverso e speculare per quanto riguarda un’appropriata comprensione o intuizione, ma anche, anzi, soprattutto, assimilazione della reale provenienza storica a partire da cui si muove oggi individualmente e collettivamente una comunità, una data cultura, una specifica esperienza di popolo.
Le conseguenze derivanti da questa ricaduta individuale e collettiva del corrispondere o meno alla situazione di fatto vigente a seguito di una rottura netta da una situazione storica ormai dissolta eppure vicina, sono di notevole portata e andrebbero sviluppate con grande attenzione al fine di penetrare maggiormente la psicologia operante nell’oggi storico europeo.
Quest’ultimo punto lo svilupperemo adeguatamente dedicando nel prossimo futuro un contributo sulla «Psicologia del riflusso storico».
Insomma, il modo del riflusso storico europeo, in sé diversificato, è quindi completamente diverso dal modo in cui rifluiscono, il Giappone, la Cina, la Russia, l’India o, appunto, il mondo arabo-islamico; ognuna di queste culture rifluisce a partire da un ordine temporale, da una provenienza storica, differente anche sul piano della cronologia. Dovrebbe essere intuitivo quindi quanto siano completamente differenti sul piano formale e di conseguenza anche sul piano della concretezza, popoli e culture quali quella russa o nipponica le quali sono un tutt’uno formale in forza della modalità con cui accade il loro sviluppo storico attuale, rispetto ad altre configurazioni culturali quali possono essere quella americana del sud e del nord o l’Australia, anch’esse riconducibili ad un tutt’uno formale in forza della modalità con cui accade il loro sviluppo storico attuale. La provenienza storica da cui si produce l’oggi del primo gruppo (Giappone, Cina, Russia, India) presenta una storicizzazione che dispiega la sua proiezione attuale in termini temporalmente e quindi essenzialmente differenti dai popoli appartenenti al secondo gruppo (USA, Brasile, Australia, altri).
Non possiamo soffermarci, in questo momento, su ciascuno o qualcuno di questi blocchi o singoli popoli perché qui ciò che ci interessa è esclusivamente l’introduzione del principio ermeneutico generale a cui ci affideremo come una bussola per ogni analisi che proporremo, principio che in realtà era già operante nel corso dei contributi precedenti.
La proiezione storica vigente oggi nei diversi blocchi culturali ha caratteristiche che si determinano a partire sì da quella che è la cronologia storica, ma letta ed esperita secondo una «storicità intrinseca» operante nell’individuo e nella comunità di cui è parte in senso attivo e passivo. Questa «storicità intrinseca» è il tutto del variegato ventaglio dello spessore storico, culturale, religioso, spirituale, di un individuo e di una collettività in cui esso si situa, di cui è parte e rispetto alla quale conta solo ed esclusivamente la capacità da parte del singolo e della comunità di aderire e corrispondere a sé medesima.
Ma a questo punto è indispensabile rendere ancora più concreta l’ipotesi ermeneutica. Per farlo prendiamo come esempio il caso arabo-islamico, già in parte delineato.
Se è vero che ciò che è andato in crisi nel Grande Medio Oriente negli ultimi anni è anche il senso e la struttura stessa di un’egemonia occidentale di durata bisecolare, molteplice nelle sue forme ma unitaria nella sua sostanza; allora, il modo corretto di interpretazione di questa crisi dal lato arabo-islamico, preso come spazio sostanzialmente unitario, andrà letto come un rifluire di connotazione post-moderna, attuale, della «storicità» di un mondo congedatosi circa un paio di secoli fa dal contesto arabo-islamico. Per il mondo mediorientale, insomma, non si tratta, come spesso a sproposito viene detto, della semplice e mera fine dell’ordine instaurato dall’accordo Sykes-Picot a seguito della Grande Guerra ma, molto più concretamente, della fine di un ordine che ha proprie radici ben prima del piano che porta il nome dei due diplomatici di Francia e Impero britannico. La riorganizzazione mediorientale che trova nel Sykes-Picot un momento importante della sua storia e che oggi ormai è sostanzialmente dissolto, non potrà mai essere efficacemente adoperato da tutti i punti di vista quale punto storico appropriato al fine di spiegare la situazione analogica attuale rispetto alla sua reale e appropriata provenienza storica rifluente e oggi ormai sostanzialmente vigente.
Insomma, dal punto di vista storiografico il Sykes-Picot resta un momento importante; ma dal un punto di vista della comprensione viva nell’oggi concreto dei movimenti storici dice qualcosa di inessenziale poiché punto di riferimento solo apparentemente esatto che, certo agisce ancora in modo importante ma che, questo il punto, non è per niente quel fattore che una volta venuto meno ha causato la crisi dello Stato e i rivolgimenti politici dell’oggi mediorientale.
La vera crisi dello Stato, che è crisi ben più profonda che dello Stato stesso, ha origine in realtà nelle nuove direttrici di senso che hanno preso a dominare architettonicamente questi spazi culturali e che rifluiscono da una storicità che è quella anteriore al XVIII secolo.
Quella che possiamo chiamare tranquillamente la «questione islamica», dalla fine del Settecento fino alla seconda metà del Novecento, si è solo creduto di averla risolta mentre in realtà la si era solo sospesa, neutralizzata. È questa la notizia che fa la differenza e che si è imposta nell’ultimo trentacinquennio scandendo la sua tempistica in momenti storici ben precisi e riconoscibili: la Rivoluzione khomeinista iraniana (1979), il Jihad antisovietico e pan-islamico afgano (1979-1989), la rottura dei leader mujhaeddin con le monarchie del Golfo, su tutte con la casa reale Saudita (1991), le Torri Gemelle di New York (2001), la mutazione rilevante dello stesso Jihad a seguito della guerra USA contro l’Iraq (2003-2011) il quale, negli ultimi quattro anni, ha ripreso grande vigore inserendosi abilmente e strumentalmente all’interno delle rivendicazioni di cui erano portatrici le «primavere» (2011); e siamo ad oggi. Non si può non sottolineare en passant che è stato proprio in forza del sostanziale fallimento delle «primavere arabe», fallimento che non è stato ancora spiegato con adeguatezza nelle sue vere cause, che ha cominciato a mettere radici territoriali il progetto califfale siro-iracheno ridando energia a gruppi jihadisti al-zarkawiani che, su quel fronte, erano stati contenuti e in parte abbattuti con intelligenza al tempo del tormentato periodo post-Saddam Hussein.
Eppure il vero punto di svolta di questa dinamica storica rimane il crollo dell’Impero sovietico, semplicemente perché l’evaporare della Cortina di ferro ha sciolto, creando una sorta di «tempesta storica perfetta», il fenomeno islamista ricollocando tutto lo scenario del GMO su direttrici storiche pre-ideologiche rifluenti e altamente eloquenti in virtù della specifica e spessa «storicità» di questo spazio geopolitico. È certo ed evidente che il fenomeno jihadista operasse anche in forme dure e pure prima del venir meno dell’Impero sovietico; tant’è che proprio queste forze fondamentaliste lo avevano infatti combattuto, spalleggiate e finanziate da USA, Arabia Saudita e Pakistan, nella guerra afgana anti-sovietica (1979-1989); ma non è questo il punto. Il punto di reale importanza storico-politica sta nel nuovo senso, nelle nuove direttrici storiche che si aprono di fatto e immediatamente all’evaporare della Cortina di ferro secondo-novecentesca che ricollocano il fenomeno jihadista già operante, in una storicità qualitativamente altra, davvero inedita.
Il prossimo contributo sarà dedicato alla Turchia, leggeremo il «caso turco» facendo affidamento su quanto in questo articolo è stato detto in merito al modo in cui la storia ritorna riproponendosi sempre fedele a sé nella creazione di un mondo nuovo.
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