
27 Giu La cravatta: storia dell’eleganza maschile
di Davide Bartoccini del 27/06/2016
“Ditemi che ho sbagliato una battuta, ma non una cravatta.”
Affermava sicuro e vanitoso l’attore David Niven . Lui, emblema di quell’eleganza puramente britannica che non c’è più, possedeva ben tre stanze di cravatte, che venivano ordinatamente suddivise per toni di colore e fantasie. Ma facciamo un passo indietro, e vediamo dove trova le proprie origini questo vezzo tutto maschile. Uno degli ultimi e pochi simboli d’eleganza tenuti in voga dalla barbara contemporaneità.

Nata non come abbellimento dell’essere, ma come timida maniera di ripararsi dal freddo, in molti sostengono che furono i legionari romani per primi a portare la cravatta. Si trattava di un pezzo di stoffa grezza, detto “focale”, che veniva fasciato intorno al collo già dal II secolo dopo Cristo. Se ne trova la testimonianza nelle raffigurazioni dei legionari sui rilievi della Colonna Traiana (101 -106 d.C.). Ad onor del vero però, non si intuirebbe un gran collegamento fra la cravatta intesa nel senso moderno e questa sua “antesignana”. I veri precursori della cravatta come la intendiamo noi oggi sono i fazzoletti da collo invece, che nella progressione sarebbero arrivati ad assomigliare all’ Ascott, tuttora in uso.

Il nome: “Cravatta” deriva probabilmente dal francese. Sembra infatti che sia stato l’uso di un capo simile a quello precedentemente citato ad ispirarne il nome: una specie di “foulard” questa volta (la kravatska, precisamente, dallo slavo krvat: croato), annodato attorno al collo dei mercenari croati al soldo del re di Francia Luigi XIV durante la guerra dei trent’anni. Esso portava con se un significato estremamente romantico, poiché si trattava del dono fatto da mogli e amanti ai soldati che partivano per la guerra, ed era testimonianza di legame e segno di fedeltà verso la donna amata. Dal 1650, la cravatta si afferma al collo dell’intera corte di Francia e nel 1661 lo stesso Luigi XIV istituisce la carica di “cravattaio” del re, un gentiluomo con il solo compito di aiutare il sovrano ad annodare la cravatta. A chi ne faceva uso allora donava audacia e personalità, aggiungendovi merletti e fasce di seta. Presto la moda si diffuse in tutta Europa, venendo adottata da reali e araldi. Il re inglese Carlo II degli Stuart indossava cravatte del valore di 20 sterline del tempo (1660), divenendo in seguito capo d’uso comune tra i ricchi Borghesi, e segno di riconoscimento dei primi dandy.
Lord Brummell, Le Beau, indossava regolarmente cravatte di mussolina leggermente inamidate di colore bianco assieme ai suoi innumerevoli frac blu e pantaloni beige. Si narra che ogni mattina il suo valletto gliene portasse una numerosa quantità, Lord Brummel tentava il nodo, e se non vi riusciva gettava immediatamente la cravatta in terra facendosene porgere un’altra.Un giorno un ospite mattiniero interrogò il valletto a cosa si dovesse quella montagna di mussolina sul pavimento, ed egli gli rispose affranto: “Quelli sono i nostri fallimenti”.

Avvicinandosi alla forma delle cravatte contemporanee, nel 1880, i membri dell’ Exeter College di Oxford decisero di togliere i nastri dai propri cappelli e di annodarseli al collo creando, di fatto, la prima vera cravatta da club. A seguito di questo strambo ma quanto mai riuscito costume, ordinarono ad un sarto di produrre dei nastri appositi con i colori del club da adoperare come cravattini, dando così il via ad una moda che contagiò presto tutti i club e i college inglesi. Da qui deriveranno difatti le così dette cravatte Regimental, ossia quelle cravatte a righe, notoriamente da giorno, che portano i colori e gli stemmi di club e in un secondo momento dei reggimenti d’appartenenza.
Nel XIX secolo la cravatta divenne quella che conosciamo oggi, una capo più funzionale che venne battezzato inizialmente “cravatta alla marinara” , e che fu la base di partenza da cui si sviluppò la cravatta moderna. Mr. Jesse Langsdorf fu il primo, nel 1926 a New York a trovare la soluzione giusta per la produzione industriale e di qualità: quella di tagliare il tessuto con un angolo di 45° rispetto al drittofilo, ed impiegare tre strisce di seta da cucire successivamente. L’idea, che venne brevettata ed esportata in tutto il mondo, rappresenta ancora oggi una cravatta di buona sartoria. Indossata in tutti i suoi colori e le sue fantasie, la cravatta al giorno d’oggi è di uso comune in tutto il mondo come simbolo di eleganza e formalità.
Dalla scuola al luogo di lavoro, essa rimane, insieme alla giacca, uno dei pochi capi significativi che ogni uomo impara a portare e fare suo per le grandi occasioni. E per quanto ministeri e nuovi movimenti politici devoti alla barbara informalità e comodità vogliano cercare di abolirne l’uso sul lavoro, noi sappiamo che il vero gentiluomo non l’abbandonerà mai. Due ricercatori di Cambridge alla fine degli anni ’90 hanno dimostrato attraverso modelli matematici che esistono 85 modi diversi di annodarsi la cravatta.
Del resto come diceva l’adorabile Oscar Wilde: “Una cravatta bene annodata è il primo passo serio nella vita.”
Fonte: Polinice.org
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