Fabiano. Il contadino divenuto Papa

di Danilo Serra del 22/06/2016

L’anno 236 iniziò in maniera disgraziata. Una grande tragedia colpì l’intera comunità cristiana e la neonata Chiesa. Il 3 gennaio, infatti, venne ucciso papa Antero (successore di Ponziano, il secondo papa dimissionario della storia dopo Clemente I), pontefice in carica dal 21 novembre del 235.
Al principio del 236, dunque, in un’epoca funestata dalla precarietà e dall’odio profondo e «pubblico» esercitato nei confronti dei seguaci del «Figlio di Dio», i fedeli cristiani avevano bisogno di nominare un nuovo pastore in grado di guidare l’intero popolo messianico verso l’unità e l’ordine.
Tanti erano i personaggi nobili ed illustri che ambivano ad essere eletti successori di quell’adorato Pietro, al quale Gesù Cristo conferì, nell’aprile del 30, il primato su tutta la Chiesa proclamandolo primo papa, rivolgendosi a lui con poche e semplici parole: “Pasci le mie pecorelle”.

Eppure, quel giorno del 236, la Storia, maestra di vita, volle emanare la propria luce sul cammino di un uomo qualsiasi, destinato a divenire eterno: Fabiano. La sua elezione fu riportata per iscritto da Eusebio di Cesarea, scrittore cristiano (uno dei cosiddetti Padri della Chiesa) dalle grandi doti politiche ed intellettuali, consigliere e biografo dell’imperatore Costantino I. Nella sua Storia ecclesiastica (in greco: Ἐκκλησιαστικῆς ἱστορίας; in latino: Historia Ecclesiastica o Historia Ecclesiae), egli andò descrivendo, con taglio prettamente storico, l’intero cammino della Chiesa, dai dodici apostoli fino ai suoi giorni (265-340 ca.: data di nascita e morte di Eusebio).
In questa monumentale opera, Eusebio narrò – tra le altre cose – l’evento straordinario che precedette, nel 236, l’elezione del nuovo pontefice. In un clima di grande incertezza, la comunità cristiana era riunita a Roma per scegliere il sostituto dello scomparso Antero.
Quand’ecco che una colomba si posò sul capo di un contadino che tornava dalla campagna e che, per caso, si trovava in città. Nessun dubbio: lo Spirito Santo era sceso in Terra, Dio aveva deciso.
Quell’uomo, così semplice e così umano, diventò il nuovo pastore della cristianità. Così, secondo l’Annuario pontifico, Fabiano fu consacrato la mattina del 10 gennaio del 236. Il popolo cristiano accolse ed acclamò il suo ventesimo papa, l’uomo del popolo, il contadino dalle gesta autentiche.
Fabiano, malgrado la sua ascendenza sociale, si rivelò subito un abile amministratore. Divise la città di Roma in sette diaconie, ovvero in sette distretti o rioni. Ogni diaconia doveva essere guidata da un diacono, il quale aveva la funzione di amministrare e tutelare gli ospedali, i ricoveri e le cappelle. I diaconi, inoltre, lavoravano in stretta sinergia con i preti che ricoprivano un titulus, cioè un incarico permanente: erano i cosiddetti «incardinati» o, più tardi chiamati, “cardinali”.
Sono tante, oggi, le notizie poco attendibili che circolano attorno al nome di Fabiano. Una di queste, senza dubbio, risulta assai suggestiva e riguarda il battesimo portato a termine dal papa all’imperatore Filippo l’Arabo (asceso al trono nel luglio del 244), considerato – non a caso – da S. Girolamo il primo vero imperatore cristiano. Fu un periodo storico relativamente sereno. Le persecuzioni contro i cristiani ebbero una pausa e Fabiano, non senza difficoltà, riuscì a trasmettere il messaggio di Cristo con il tacito benestare dell’Impero. Ma nel 249, tutto cambiò. All’inizio dell’estate di quell’anno, le truppe di Filippo l’Arabo si scontrano nei pressi di Verona con quelle di Gaio Decio. Quest’ultimo riuscì a sconfiggere a morte il nemico, trionfando e diventando il nuovo imperatore di Roma. Decio si mostrò duro ed insensibile nei confronti della crescente comunità cristiana capeggiata da papa Fabiano. Il nuovo imperatore reputava i cristiani degli individui politicamente pericolosi. Tra le sue prime mosse politiche vi fu l’emanazione di un editto che imponeva ad ogni suddito dell’Impero di presentarsi dinanzi ad una commissione costituita da cinque membri ed offrire un sacrificio agli Dèi per provare l’adesione al culto dello Stato. Il suddito avrebbe ricevuto un certificato, detto libellus, che attestava la sua pubblica devozione alle divinità pagane.
Era un’ordinanza che tendeva a minare l’equilibrio e la presenza dei cristiani in tutto il territorio governato. Chi si ribellava o si rifiutava di accettare quanto sancito dall’editto di Decio, veniva sottoposto a torture, confische di beni, prigionie e, inevitabilmente, condanne a morte. I cristiani reagirono, tutto sommato, passivamente. Molti, per evitare le pene e per paura di perdere la propria vita, abiurarono e si convertirono al paganesimo. Taluni, i più ricchi, riuscirono a comprare i libelli corrompendo le autorità competenti (e per questo furono chiamati “libellatici”). Nonostante la pietà cristiana continuava miseramente ad essere calpestata e l’integrità spariva a poco a poco, vi furono uomini audaci che ebbero il coraggio di schierarsi contro un editto ritenuto sciagurato ed ignobile. Tra questi, il pontefice chiamato in causa dallo Spirito Santo, quell’uomo qualunque, il contadino divenuto papa. Fabiano, dopo 14 anni di pontificato, venne arrestato con l’accusa d’essere un nemico pubblico di Roma e dell’Impero. Il 20 gennaio del 250, nel carcere Tulliano, isolato senza cibo e senza acqua, si spense dopo aver lottato fino all’ultimo nel nome del suo Dio, della sua Chiesa, del suo gregge. Nel nome di una fedeltà e di un culto che chiedevano – e richiedevano – rispetto, sacrificio e giustizia.
 
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