Si cercò, quindi, di modernizzare il sistema amministrativo fortemente arretrato e centralizzato provando anche a tracciare una linea marcata tra le nazionalità che componevano il mosaico linguistico del Paese, attraverso l’imposizione della lingua tedesca come l’unica ufficialmente riconosciuta sul territorio, verso cui tutti, a partire dalla borghesia, si sarebbero dovuti attenere.
Qui è opportuno fermarsi per riflettere su due aspetti.
L’Impero Asburgico aveva sempre avuto sotto il suo dominio diverse realtà nazionali, mai del tutto rispettate. Le etnie che lo componevano erano circa una decina e vi si annoveravano cechi, ungheresi, italiani, sloveni, croati, tedeschi, polacchi, romeni, serbi, slovacchi ed ucraini. Le religioni al suo interno comprendevano cattolici, ortodossi, protestanti, ebrei e musulmani. E’ facile capire come una realtà di questo tipo fosse suscettibile a scossoni di ogni genere, senza considerare il fatto che l’800 è il secolo di alcune fra le più importanti formazioni nazionali della storia (Italia e Germania per esempio), con una velocità di circolazione di notizie, eventi, ma soprattutto ideologie, sempre più elevata ed efficiente grazie ai nuovi sviluppi delle comunicazioni. Era normale per molti popoli provare una generale voglia di rivalsa e autoaffermazione verso il loro “padrone”, una voglia che sarebbe poi dovuta confluire nell’indipendenza nazionale. Tutto ciò creava, ovviamente, non pochi problemi.
L’ampiezza del suo territorio (era il secondo impero più vasto d’Europa dopo quello russo) e l’infinità delle genti che lo componevano, erano una continua spina nel fianco per una classe dirigente arretrata e poco propensa al cambiamento, interessata soprattutto a marcare le proprie differenze di lingua e tradizioni con gli altri abitanti dello Stato.
L’Europa attuale non è l’Impero Asburgico. Non è uno Stato che vive di violenza e sottomissione. Non ha un sovrano alla sua guida. Ma ha comunque preoccupazioni molto simili.
Il nodo più lampante è quello dell’integrazione. Diversi gruppi, molti di più rispetto a quelli presenti nel XIX secolo, compongono l’attuale Europa. Oggigiorno ci sono persone provenienti anche da altri continenti, che fanno fatica ad integrarsi a causa della loro lingua, delle loro tradizioni, della loro cultura. Oppure della loro religione.
L’altro grande problema è l’assetto amministrativo. L’Impero, in quanto impero a tutti gli effetti, era retto da una burocrazia fortemente centralizzata. E qualcuno doveva pur pagarla e mantenerla. Questo qualcuno era la borghesia produttiva del tempo.
Forse questo può essere considerato il più grande errore commesso dall’Impero Asburgico. Sacrificare lo sviluppo economico che stava dilagando in tantissimi territori europei (come la Boemia e la Lombardia, due zone sotto lo stesso controllo Asburgico) grazie alla grande dinamicità ed intraprendenza della borghesia ottocentesca, a favore di un avvicinamento non molto solido verso la Chiesa ed il mondo contadino. Questa scelta, con una potenza in espansione come la Prussia in qualità di vicina di casa, andò ad aggiungersi ai difetti sopracitati, formando un calderone di complicazioni i cui effetti si sarebbero visti di lì a poco.
Il paragone con l’Europa è improprio. Ma una gestione centralizzata del potere che non riesce con efficacia a coordinare le diverse forze, anche quelle militari, da assicurare stabilità e prosperità alla sua popolazione è altresì un tratto caratteristico dei “burocrati” di Bruxelles.
E’ inopportuno fare paragoni tra queste due realtà così diverse fra loro, ma è anche necessario riuscire a comprendere gli errori commessi dall’uomo nel passato per evitarne di nuovi.
Non si vive più nell’ottocento, questo è chiaro per tutti. Oggi la piattaforma internet ci ha permesso di unirci e di scavalcare confini con una facilità estrema senza alcun rischio. Abbiamo, pur nella nostra crisi, una forza ed una coscienza economica molto maggiore rispetto al passato. Possiamo fare molto, senza che eserciti, immaginari o fisici, debbano per forza percorrere il territorio europeo per mettervi ordine; oppure che muri e sbarramenti vengano costruiti tra un paese e l’altro andando a limitare così la nostra libertà di circolazione all’interno dell’UE (paradossalmente è l’Austria a rendersi protagonista questi giorni sui giornali e notiziari per la costruzione di una barriera lungo lo storico confine con l’Italia).
Ma torniamo ancora indietro nel tempo.
Avevamo lasciato un’Austria in difficoltà a vedersela con un vicino teutonico troppo scomodo. Lo scontro era nell’aria.
In quel tempo, in Prussia, vi era una delle figure più amate dagli storici in quanto fonte di spunti e analisi continue in molti ambiti, il cancelliere Otto Von Bismark. Ferreo rappresentate degli Junker, l’aristocrazia terriera prussiana, venne nominato capo del governo nel 1862 dal sovrano Guglielmo I.
Il suo programma era molto semplice. Si doveva unificare la Germania, con qualsiasi mezzo, contro qualsiasi nemico. In un celebre discorso disse che voleva giungere al suo scopo “non con discorsi né con deliberazioni della maggioranza […] bensì col sangue e con il ferro”. Era l’uomo giusto al momento giusto per tutti coloro che avessero condiviso i suoi ideali, ma non per l’Austria (ecco un altro piccolo paragone con la Germania attuale, questo forte spirito di leadership da parte di importanti esponenti politici del mondo tedesco non è scemato a quanto pare nel corso del tempo).
La guerra austro-prussiana (anche chiamata guerra dei ducati) scoppiò nel 1866 per una errata gestione di tre ducati danesi, e durò solo tre settimane; ventuno giorni furono sufficienti per annientare le truppe austriache e per mettere in pratica per la prima volta la cosiddetta guerra di movimento, che avrebbe reso celebre da quel momento in poi il tipo di guerra condotta dalla potenza tedesca.
Dopo la firma della pace di Praga l’Impero asburgico perse un solo territorio (il Veneto, che finì all’Italia), ma lo scossone psicologico fu potentissimo. La Prussia si avviava a diventare la potenza egemone sul continente, mentre lo sconfitto fu costretto a rivedere la sua rotta con il cosiddetto “compromesso” del 1867, dividendosi in due Stati, quello austriaco e quello ungherese, uniti solo dallo stesso sovrano, ma ciascuno con un proprio Parlamento e governo.
Da quel momento l’Impero austro-ungarico iniziò a volgersi verso est, dando il via ad un lento e tragico declino segnato da accordi, alleanze e firme di trattati volti soprattutto a cristallizzare la situazione sul continente (in particolare nell’area danubiano-balcanica), al fine di favorire ancora una volta le grandi compagini statali nella zona senza tener conto dei possibili effetti nefasti che queste azioni avrebbero provocato sulla popolazione locale. Di grande importanza sarà la Duplice alleanza (divenuta poi triplice con l’arrivo dell’Italia nel 1882), voluta da Germania e Austria come cautela nei confronti della Russia.
Ma le cose peggioravano anno dopo anno in quella polveriera che era l’est europeo, dove troppe forze venivano a contrastarsi e dove la popolazione, stanca dei continui scambi territoriali tra uno Stato e un altro, e animata da rancori mai del tutto sopiti, era sempre più pronta ad un colpo di mano.
Colpo di mano che arriverà il 28 Giugno 1914, quando uno studente bosniaco di nome Gavrilo Princip uccise con due colpi di pistola l’arciduca, ed erede al trono, Francesco Ferdinando e sua moglie, nelle vie di Sarajevo.
Fu la goccia che fece traboccare il vaso e che porterà alla Prima Guerra Mondiale, un evento dai contorni inaspettati e, purtroppo, spiacevoli, che segnerà la fine di quattro imperi: tedesco, russo, ottomano e austro-ungarico.
L’Europa che ne uscì fuori era molto diversa, e dell’Impero austro-ungarico non vi era più traccia. Dalle sue ceneri emersero moltissime nuove realtà nazionali, tra le quali spiccava la Repubblica d’Austria, con un territorio di 85.000 km quadrati contro i 680.000 dell’impeo di mezzo secolo prima, e una popolazione di sei milioni di abitanti dei quali più di un quarto risiedeva a Vienna (in seguito questo nuovo Stato verrà paragonato ad un “girino”, dalla testa enorme, Vienna appunto, ma dal corpo insignificante).
A trarre beneficio (se di beneficio si può parlare) dalla dissoluzione dell’Impero furono, oltre all’Italia, i popoli slavi. Emersero Stati come la Polonia, la Repubblica di Cecoslovacchia (con boemi e slovacchi al suo interno) e la Jugoslavia (formata dagli abitanti della Serbia, del Montenegro, della Croazia, della Slovenia e della Bosnia-Erzegovina).
Pur essendo Stati giovani, appena istituiti, i problemi saranno sempre gli stessi, e continueranno ad insanguinare l’Europa fino ai nostri giorni; lascito di un bambinone mai del tutto cresciuto che non ha saputo ben gestire i suoi affari, mentre spettri e tensioni di un passato non troppo lontano sono pronti dietro l’angolo per un altro colpo di mano.
_Marco Bellabarba, “L’impero asburgico” Edizioni il Mulino, le vie della civiltà
_Alfredo Pieroni “La gaia apocalisse” Rizzoli Edizioni
_François Fejtő “Requiem per un impero defunto” Arnaldo Mondadori Editore
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