Le tracce e i segni di Osvaldo Licini

di Stefano Papetti del 20/06/2016

Licini si è servito di ogni supporto possibile per i suoi disegni, pagine di libro, carta da lettere, piccoli lacerti strappati, tutto era buon per fissare all’istante una idea balenata nella mente del pittore e molto spesso a questi disegni non corrisponde poi una realizzazione pittorica compiuta. Soltanto pochi schizzi di paesaggio, realizzati negli anni Venti in Francia, appaiono più direttamente destinati alla stesura di un dipinto e sono brani ripresi dal vero sulle spiagge della Costa Azzurra o su quelle adriatiche, appunti più compiuti nei quali Licini registra anche delle indicazioni relative ai colori che sarebbero poi stati usati nella stesura definitiva.

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 La recente acquisizione da parte della Galleria d’Arte Contemporanea dì Ascoli Piceno di molto materiale cartaceo, di libri, cataloghi di mostre e riviste, appartenuti ad Osvaldo Licini contribuirà certamente a chiarire il senso della complessa ricerca esistenziale e pittorica che l’artista ha intrapreso dagli anni Venti fino alla morte, improvvisamente sopravvenuta nell’ottobre del 1958, dopo aver ricevuto il Gran Premio alla IX edizione della Biennale, proprio quando per Licini, dopo un lungo periodo di volontario isolamento nel natio borgo selvaggio di Monte Vidon Corrado, si apriva la possibilità di uscire dall’esilio che si era imposto.

I disegni di Licini non rivelano mai un tratto “pulito”, contorni nitidi eseguiti con mano ferma e fluente: al contrario sono schizzi molto sofferti, il segno procede incerto e spesso l’artista è portato a ripassare i contorni delle immagini dando vita ad una sorta di sismografo dei sentimenti che risente della situazione psicologica del momento. Frequentissime appaiono anche le cancellature, che tuttavia non nascondono del tutto quanto viene rifiutato, consentendoci comunque di ripercorrere la strada compositiva seguita dall’artista ed anche l’intensità del tratto cambia di frequente: talora il segno di grafite denuncia una energia fisica irruente e sorgiva, talaltra invece sembra subentrare una sorta di incertezza che rende il tratto più lieve e timido.

Come scriveva Elena Pontiggia nel 1991, “…c’è qualcosa di singolare, di unico nei disegni di Osvaldo Licini, al di là del loro fascino visivo, al di là della loro capacità di suggerire il mistero dell’infinito, gli enigmi della natura, della trascendenza del male. Come in una tela di Penelope in cui il disfarsi dell’ordito non è un fatto accidentale ma voluto, così nei disegni liciniani lo sfibrarsi delle linee, i pentimenti mal nascosti, le sovrapposizioni dei progetti sembrano non solo tollerati, ma accolti e protetti nel vuoto germinante della superficie.”
Le recenti indagini riflettografiche compiute su vari dipinti di Licini a cura del laboratorio della Scuola Normale Superiore di Pisa, pubblicate da Mattia Patti nel volume Tracce disperse e segni nuovi, confermano che anche nel dipingere su tela l’artista marchigiano fosse solito rivedere di continuo
quando aveva già tracciato e ritornasse sull’immagine anche a distanza di tempo, modificando in modo sostanziale l’opera. Ed anche nel caso degli interventi successivi, egli non cancella mai del tutto quanto ha dipinto in precedenza, consentendoci così di vedere il travaglio che ha attraversato il suo operato.
 
Tanto nelle opere di carattere astratto realizzate nel corso degli anni Trenta quanto nelle successive fasi della sua attività, Licini ha tenuto fede a questo modus operandi, lasciandoci una quantità cospicua di disegni che evidenziano la natura immaginativa e sofferta del suo operare: il rilievo che la produzione disegnativa assume nel quadro generale dell’opera liciniana non dovrà essere giudicato alla stregua di un dato utile alla comprensione dei suoi dipinti, ma piuttosto come un genere per certi aspetti autonomo che da solo basta a segnare la grandezza dell’artista. Sebbene infatti la lettura incrociata dei disegni e delle tele rappresenti comunque un utile strumento di verifica, non si può disconoscere che i fogli liciniani possano essere considerati anche una forma espressiva compiuta che registra con immediatezza la tensione emotiva di un attimo fuggente.
 
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