13 Giu Dinamiche del regime: le ragioni di una sconfitta (1)
di Giuseppe Baiocchi del 13/06/2016
Si è aggirato per anni negli Italiani un luogo comune, un pensiero ripetuto come una convinzione sottaciuta e condivisa, una certezza tramandata a mezza bocca, un qualcosa che si pensa, ma non si dice. In molti hanno creduto che il fascismo fosse stato, sì è vero, una dittatura che ha strappato con violenza la libertà agli italiani e avesse eliminato ogni opposizione, dissenso, libertà di stampa, partiti politici, ma almeno (è questo il pensiero segreto, forse indicibile) i fascisti non rubavano, non erano corrotti, non corrompevano, non abusavano, non favorivano, non piegavano lo stato ai propri interessi, anzi (è questo il luogo comune) apparivano disinteressati, puliti, irreprensibili. In molti, anche in buona fede, lo credevano, ma non era vero, almeno per i dirigenti.
Le ragioni di una sconfitta.
Il 3 Gennaio 1925, Mussolini esclamava in parlamento: “Antindividualista, la concezione fascista è dello Stato; ed è per l’individuo in quanto esso coincide con lo Stato, coscienza e volontà universale dell’uomo nella sua esistenza storica. E’ contro il liberalismo classico che sorse in bisogno di reagire all’assolutismo e ha esaurito la sua concezione storica, da quando lo Stato si è trasformato nella stessa coscienza e volontà popolari. Il liberalismo negava lo Stato nell’interesse dell’individuo particolare; il fascismo riafferma lo Stato come la realtà vera dell’individuo. E se la libertà dev’essere l’attributo dell’uomo reale e non di quello astratto fantoccio a cui pensava il liberalismo individualistico, il fascismo è per la libertà. E’ per la sola libertà che possa essere una cosa seria, la libertà dello Stato e dell’individuo nello Stato. Giacchè per il fascista, tutto è nello Stato e nulla di umano o spirituale esiste e tanto meno ha un valore fuori dello Stato. In tal senso il fascismo è totalitario, e lo stato fascista, sintesi e unità di ogni valore, interpreta, sviluppa e potenzia tutta la vita di un popolo”
E’ a questa totalitaristica concezione “tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato, nulla contro lo Stato”, che si informano le grandi realizzazioni che portano la data del 3 Gennaio 1925. Sono di quel tempo la legislazione sindacale e la Carta del lavoro che sfoceranno nella creazione del Consiglio nazionale delle Corporazioni, “la più radicale riforma” dirà Mussolini “nella storia dei tempi moderni”. Veri pilastri, che oltre a sfociare in un più che giusto consenso popolare risolvevano con l’equilibrio giuridico, diseguaglianze sociali che ai tempi solo il regime comunista era riuscito (con la forza ovviamente e altre tipologie di soprusi) a sanare.
Allora perché Piazzale Loreto? Perché tanto accanimento? In questo articolo si cercheranno di spiegare queste motivazioni. Avverranno dei chiarimenti tra la realtà del regime fascista e come citato sopra la teoria, del regime.
Una cosa è certa: come fu un leader indiscusso del fascismo, Benito Mussolini pagò per tutti i suoi collaboratori (se li era scelti lui, ovviamente) corrotti che portarono a fondo l’Italia, fino alla guerra civile.
30 ottobre 1922, due giorni dopo la marcia su Roma, Mussolini ottiene dal Re l’incarico di formare il nuovo governo, è il nuovo presidente del Consiglio e lo deve per l’ampia schiera dei fedelissimi di sempre: i gerarchi, gli squadristi, i RAS locali.
E’ arrivato il momento di ripagare chi ha creduto in lui, chi lo ha sostenuto nella affermazione del fascismo, chi per lui si è “sporcato le mani”; non solo per riconoscenza, ma soprattutto per assicurarsi l’obbedienza e la dedizione di personalità spesso ambiziose, avide e certo non insensibili allo odore dei soldi. Questo lo sa bene il nuovo Duce (da Duca)che nel 1923 in una riunione del suo primo governo elargisce a piene mani incarichi alle sue, fedeli, camicie nere.
Si apre una vera e propria corsia preferenziale per i sostenitori della prima ora, ed è subito assalto alle cariche pubbliche. Le poltrone più ambite vengono destinate ai gerarchi: (i gerarchi erano i dirigenti del PNF, partito nazionale fascista) ministeri, forze armate, aziende, banche, giornali; non solo nella capitale, anche nei centri più remoti di provincia. Sembra infatti, che il comandamento del Duce (pur se celato sotto la retorica del regime) sia uno solo: “fascisti arricchitevi!” E i fascisti non se lo fanno dire due volte, al punto che “l’Assalto” (il giornale fascista di Bologna) già nel Dicembre del 1922 in polemica con la dilagante corruzione nel PNF fa suo il motto: “il fascismo si serve, non serve”.
A parole Benito Mussolini è per una intransigenza morale assoluta. Il 10 luglio del 1929 rivolto ai Gerarchi milanesi dichiara: “il fascismo è una casa di vetro, nella quale tutti possono e devono guardare. Guai a chi profitta della tessera e indossa la camicia nera per concludere affari che altrimenti non gli riuscirebbe di condurre a termine.” Un rigore, che in realtà, verrà applicato solo nei confronti dei “pesci piccoli”.
Tutt’altro accade difatti, quando a delinquere sono eminenti personalità del regime e una accusa potrebbe suscitare scandalo. Non c’è dubbio che Mussolini sia informato di tutti i maneggi dei suoi dirigenti… eppure lascia correre.
Cominciamo questo elenco dalla passione per le residenze, palazzi di lusso comune a molti Gerarchi.
Non manca, chi approfitta dei contributi del ministero dei lavori pubblici per costruirsi Chalet in Montagna e ville al Mare: come il RAS di Cremona, l’avvocato Roberto Farinacci (l’uomo dei manganelli e dell’olio di ricino) l’organizzatore dello squadrismo agrario della Lombardia, il più estremista, esagitato e fanatico, ma non il più onesto. A Farinacci il mare piace molto, tanto da acquistare una grande villa in prossimità della spiaggia di Gaeta. Dal mare alle città, gli immobili del Farinacci sono situati in postazione strategiche: a Milano, a Napoli, a Roma (nella capitale, in più, possiede una tenuta di 12 ettari con annessa casa colonica sulla via Numentana). A Cremona poi ha fatto costruire il palazzo dove ha sede il suo giornale: “il regime fascista”.
Lo stesso Mussolini nel 1943 annoterà nel suo scritto “pensieri continui e saldi”: “stento a credere che in casa di Farinacci si siano trovati ottanta chili di oro”.
In un ventennio il tesoro accumulato da Farinacci è veramente imponente: si parla di un capitale di circa 300.000.000 di lire del 1945, oltre 10 milioni di euro di oggi.
Passiamo ora a Giuseppe Volpi nominato Conte di Misurata, grazie al suo governatorato in Tripolitania e collante fra il mondo dell’industria e il fascismo. Già ricco di famiglia Volpi di Misurata vede crescere esponenzialmente nell’arco del ventennio i suoi possedimenti: acquista appartamenti, palazzi e terreni.
A Roma, a Venezia, a Firenze e a Siena; oltre ad una imponente villa a Tripoli quando è governatore di quella regione. Ma quello che colpisce maggiormente è l’assolta spregiudicatezza con la quale gestisce il conflitto di interessi. Diventa Ministro delle Finanze, mentre al tempo stesso è già strettamente legato alla banca commerciale che agevolerebbe finanziamenti in favore di imprese meccaniche e siderurgiche di sua proprietà. Nel 1948, il ministero delle Finanze della neonata repubblica italiana farà degli accertamenti sull’ammontare dei profitti del Regime, relative al Conte Volpi: un ammontare di 165.000.000 di lire, circa 2 milioni e 800.000 euro di oggi; come emerge da alcuni documenti presso l’archivio centrale dello Stato di Roma.
Non tutti però, approvano tanta diffusa illegalità. Augusto Turati (segretario del partito 1926/1930) avrebbe detto a Mussolini: “il popolo stanco di sacrifici e di soprusi, odia i gerarchi e li divide in due categorie: quella dei ladri e quella dei fessi”.
Sfidato dal Duce a compilare la lista degli uni e degli altri gli avrebbe consegnato due elenchi, dove in quello dei “fessi” il primo nome era proprio quello di Benito Mussolini, quello dei “ladri” cominciava con il nome di Costanzo Ciano (padre del più noto Galeazzo Ciano, ministro poi degli esteri e fucilato dallo stesso Mussolini per tradimento) eroe della grande guerra, uno degli uomini più potenti del regime, è così influente che perfino Mussolini trova necessario farselo amico.
L’alleanza viene sancita dal matrimonio celebrato nel 1930 tra il figlio di Costanzo: Galeazzo e la primogenita del Duce: Edda. Tra un brindisi e l’altro Costanzo Ciano opera in barba agli interessi statali: è ministro delle comunicazioni, ma al tempo stesso è anche azionista di grandi aziende che vincono appalti di forniture statali, aziende che portano lauti guadagni nelle sue tasche. E’ evidente che questo doppio ruolo di ministro e di azionista gli permette un giro d’affari molto lucroso e certamente ambiguo.
Il 30 aprile 1934, Ciano è eletto per acclamazione presidente della Camera dei Deputati; perfino il Re mal digerisce l’eccessiva libertà concessa al Conte Ciano che alla sua morte lascia una eredità che ammonterebbe oggi a circa 700.000.000 di euro.
L’elenco degli arricchimenti sospetti è lungo. Basti ancora citare quelli di Leandro Arpinati, il sottosegretario agli interni. Arpinati riesce ad acquistare la grossa tenuta di Malacappa: 70 ettari nei dintorni di Ferrara.
Addio Damaro, ambasciatore di Mussolini in Svizzera nelle sue memorie scrive che l’avrebbe ricevuta in dono, da un gruppo di amici vicini ad alcuni dirigenti della Banca Commerciale.
Un regalo in cambio di cosa mi chiedo, ma molte informazioni sono andate perdute.. o distrutte.
Molto chiacchierato è anche Edmondo Rossoni , uomo forte del sindacalismo fascista e ministro dell’agricoltura dal 1935 al 1939. Si dice che i fondi ministeriali finiscano tutti in opere per il suo paese natale: Tresigallo in provincia di Ferrara. In un inchiesta riservata che arriva sul tavolo del Duce si legge: “risulta che la stessa popolazione del suo paese è sbalordita di fronte ai grandi lavori eseguiti, sproporzionati di fronte alle esigenze del posto.”
Opere per cui vengono sborsati nel complesso 500.000.000 di lire del 1939, circa 400 milioni di euro, per un paese di 4.503 abitanti. Si agisce nei propri interessi grazie alle cariche pubbliche che si ricoprono un po’ ovunque. Per esempio nella Milano del 1925.
Il RAS Ernesto Belloni, pur ricoprendo la carica di podestà (nome dato alla carica dell’attuale sindaco italiano) del capoluogo lombardo entra in una ventina di consigli di amministrazione, in alcuni casi il conflitto di interessi è particolarmente grave poiché le sue aziende firmano contratti di un certo peso con lo stesso comune.
Belloni ama fare sfoggio delle sue ricchezze, nel periodo in cui è primo cittadino compra una enorme villa, varie opere d’arte e mantiene molte amanti.
Quanto al conflitto di interessi, un caso a sé è quello del ragioniere Edmundo Balbo, fratello di Italo (il potentissimo RAS di Ferrara e quadriunviro della marcia su Roma, il famoso trasvolatore, il governatore della Libia). Edmondo è soltanto un ragioniere di provincia, eppure in virtù di questa sua altolocata parentela diventa presidente di quattro società, liquidatore di cinque, amministratore unico di una, consigliere di quattro e revisore dei conti di altre venti. Miracoli della parentela.
Neanche le banche sfuggono al potere della avidità dei Gerarchi fascisti: molti sono fortemente coinvolti nel crac della Banca Agricola di Lusignani di Parma che finanzia gli agrari del luogo.
Nel 1925, nella Siena che festeggia il palio, i fratelli Ciliberti (eminenti fascisti della città) vengono accusati letteralmente di “profittandismo” per aver sfruttato a fini personali, la loro posizione all’interno della banca Monte dei Paschi di Siena.
Coltivano interessi illeciti, non solo ministri, sottosegretari e podestà, ma il malaffare tocca anche i vertici militari. Il generale della milizia Ulisse Igliori è un invalido di guerra ed ora è un imprenditore edile. Così scrive una informativa di un agente dell’OVRA (la polizia politica di Mussolini): “la nota impresa Igliori, ha assunto un nuovo appalto per la costruzione di altre caserme a Viterbo in località Acque Albule, per un importo di 28.000.000 di lire, fra la ditta Igliori e alcuni funzionari dell’ufficio tecnico del ministero della guerra (oggi ministero della difesa) intercorrono reciproci e illeciti interessi”. Il Duce viene quindi informato di tutto, eppure, anche questa volta “lascia fare”. Così come è impossibile che non sappia degli strani traffici del generale Emilio del Bono, il più anziano dei quadriunviri (coloro che hanno guidato la marcia su Roma) ed eroe della Grande Guerra, governatore della Tripolitania dal 1925 al 1928. Incaricato di gestire lo sviluppo della agricoltura nelle colonie africane, Del Bono opererebbe in modo così malaccorto da mandare in fumo 30 milioni di lire di finanziamento speciali dello Stato, per il generale fu un operazione con un tornaconto assolutamente personale.
Insomma, i più alti rappresentanti del fascismo si danno parecchio da fare. Il Duce chiude un occhio, ma come ho detto questo atteggiamento nasconde in realtà uno scopo ben preciso: avere in pugno i gerarchi, poterli ricattare, e per far questo Mussolini mette in opera la polizia: vengono incoraggiate denunce, lettere anonime, segnalazioni e la polizia prepara voluminosi dossier. Tomi preziosi per Mussolini. Potentissime armi da utilizzare all’occorrenza contro i suoi più stretti collaboratori.
La dittatura di Mussolini, come abbiamo visto, convive con la corruzione.. eppure nonostante tutto la maggior parte del popolo italiano continua ad illudersi di vivere nel più onesto dei paesi.
Molti, forse, non si rendono neppure conto, di un nuovo diffuso e turpe malaffare che ha inizio dal 1938 con la promulgazione delle leggi razziali.
Per Benito Mussolini (che aveva diverse amanti ebree) l’adozione delle leggi marziali ha carattere meramente politico, una mossa in uno scacchiere (quello europeo) dove conviene inserire il pedone nella casella giusta. Ovviamente Mussolini è costretto ad assecondare il più forte alleato, ma guadagnerà anche su questa legge, non avendo nulla assolutamente contro la razza ebraica come quella negra. Il ciò non è giustificabile, ma gli orrori che sarebbero venuti, non furono conosciuti neanche da Mussolini in pieno.
Così, gli ebrei che possono accampare meriti particolari verso il regime, hanno la possibilità di evitare l’applicazione della legge con la cosìdetta pratica di “arianizzazione”. E’ una procedura che deve essere svolta da una apposita commissione impropriamente detta “Tribunale della Razza”.
La commissione viene istituita dalla direzione generale per la demografia e la razza, la famigerata “demorazza”. Questa dipende dal ministero degli interni e fa capo al sottosegretario Guido Buffarini Guidi. Ci saranno avvocati e fra loro alcuni gerarchi, che non esiteranno ad esigere dagli ebrei parcelle vergognose di migliaia di lire per patrocinare queste pratiche e altri soldi serviranno per oliare i commissari.
Fra questi, ancora una volta, l’avvocato Roberto Farinacci, che si faceva pagare direttamente in oro. Chi non ha un padre o un nonno caduto in guerra o non è stato iscritto al fascio prima della marcia su Roma non ha altra possibilità che cedere al non malcelato ricatto dei membri della commissione di arianizzazione, i quali non si fanno scrupoli a chiedere ed estorcere grosse somme di danaro, oro o gioielli. Si occupa di questo traffico è il sottosegretario agli interni Buffarini Guidi che ben conosce i commissari, oppure per sfuggire alle leggi razziali molti ebrei sono costretti ad infangare l’onore delle proprie famiglie sostenendo di essere il frutto delle relazioni che le proprie madri avrebbero avuto con ariani, ma lei stessa deve dichiarare la propria infedeltà, in caso contrario servono testimoni che possano garantire del suo comportamento adulterino. Come si denota, vi è una delle grandi caratteristiche italiche: quella di poter cercare di aggirare le regole o i regolamenti, con sotterfugi di tutte le tipologie. L’esempio sulla razza è un caso stocastico.
Non mancano i detrattori: da Venezia una lettera avverte il ministero a Roma, che il Barone Gastone T. (ex squadrista) avrebbe detto in giro di aver pagato per la sua arianizzazione un milione e mezzo di lire, circa un 1.250.000 euro odierni considerando il valore della lira nel 1938. Il Barone, continua la lettera, vorrebbe fare arianizzare i nipoti, facendoli far passare per figli propri, sostenendo che la cognata sarebbe stata la sua amante.
Fin qui, ho analizzato gli uomini di cui si circonda Mussolini: Gerarchi, Ministri, Prefetti, Generali i quali rubano, rubacchiano, corrompono, imbrogliano.
Nel prossimo articolo vi racconterò del Duce stesso. Da questo articolo possiamo solo iniziare ad analizzare l’accanimento (sempre ingiustificato) di Piazzale Loreto.
Una riflessione finale: ma oggi dopo i numerosi scandali politici, la situazione (rapportata al contesto sociale e civile odierno) non è strettamente similare?
Per approfondimenti:
_Di Figlia Matteo “Farinacci, il radicalismo fascista al potere”, Editore Donzelli
_ Leonardo Salvatore Siliato “Costanzo Ciano”, Edizioni Cantore, Torino
_Franco Fucci, “De Bono, il maresciallo fucilato”, Edizioni Mursia
_Pier Giorgio Zunino “L’ideologia del Fascismo”, Edizioni il Mulino
_Renzo de Felice “il Fascismo” Editore Laterza
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