
15 Mar Perché Charles Bukowski
Perché Charles Bukowski
di Marco Squarcia del 15/03/2016
Sarebbe ancora di moda? Se andiamo a cimentarci nel magico mondo di Bukowsky, in molti direbbero che stiamo parlando di un mondo fatto di alcool e sesso, di donne e brutture.
Siamo sicuri? Lo scrittore di origine tedesche, ma nato e cresciuto negli Stati Uniti,è vissuto nel pieno del 19° secolo, morto negli anni 90’ e l’analisi che qui vorremmo tentare di fare, è semplicemente prendere di peso il suo stile e poggiarlo nella nostra quiete quotidiana: nel famoso 20° secolo.

Cosa significa? In molti suoi libri esprime il disagio che le persone assaporano, paragonando spesso la vita ad una grossa giostra fatta di giochi, con il limite superato e spesso lungamente defraudato, a farla da padrone.
E’ però probabile che non vada vista questa sua visione, con eccessivo malessere, perché sta semplicemente raccontando in un modo molto diverso dal normale, un disagio. Il modo di farlo è tuttavia gradevole ai più, ma anche fastidioso ad altri più; perché dice la verità. Narra le vicende cosi come accadono, cosi come le persone e lui stesso spesso, le vivono.
Il modello americano viene messo a nudo, ma con una dolcezza nascosta, quasi velata, che viene fuori ad esempio in frasi come queste : “La bellezza non è niente,la bellezza non dura. Non lo sai quanto sei fortunato a essere brutto,perchè se a qualcuno piaci,sai che è per qualcos’altro“. Questa semplice frase tratta dal libro “Storie di ordinaria follia”, ci fa’ pensare a come non viviamo con semplicità i nostri giorni, ancor più di prima, oggi. Il tempo che scorre è segnato ormai da un tweet o da un post su Facebook, piuttosto che dalle foglie che cadono, dalle parole condivise da un gruppo di amici o da un bicchiere di vino in riva al mare. Oggi si punta all’avere più che all’essere, si punta più al “sembrare”, che al “sono”.
L’io è messo sempre al centro dell’ attenzione, con un bombardamento che Charles definirebbe “Vomito”, ed avrebbe ragione. Già la ragione, chi la usa più? Siamo omologati, siamo etichettati, schedati, pieni di dati. Tratto da “Compagni di Sbronze”
“Ma cos’è che puo’ fare un pover’uomo? Le ragazze non vanno a caccia di operai: le ragazze vanno a caccia di medici, di scienziati, di avvocati, di uomini d’affari ecc. Noi becchiamo le ragazze quando hanno smesso di essere ragazze, quando non sono più ragazze – noi ci pappiamo le usate, le deformi, le malate, le matte. Dopo un po’, invece di prendere la seconda, la terza, la quarta – mano – la pianti lì. O cerchi di piantarla lì.
Gli ultimi. Anche con le donne”.
Esce fuori in A Sud di Nessun Nord, tutta la sua capacità di essere famigeratamente diverso e attuale, qui secondo me, il passaggio decisivo: “Il sollievo più grande è quello di non dover più incontrare altri esseri umani sul marciapiede, di non essere più costretto a guardarli camminare grassi e corpacciuti, con i loro occhietti da topo, le loro facce crudeli, la loro animalesca robustezza. Che sogno: non dover più guardare in faccia un altro essere umano.”
Sembra una triste visione pessimistica di un uomo arrivato alla fine, che giudica i suoi simili, ma è tutt’altro, a vederla bene, un assoluta abnegazione alla vita, un appello a vivere, ad essere sé stessi e a non guardare agli altri come nemici da superare, bensì solo come persone. Nel citare Hemingway lui da anche quella che sembra la sua personale opinione, del pensiero dell’Ernest, che scrisse: “La tragedia è la situazione americana nella quale bisogna essere sempre vincenti. Nessuna alternativa è accettabile. E quando il vincitore cade non salva nulla“.
Ecco come attraverso i suoi scritti analizza e pone in contrasto questo essere limitati e limitanti, che Hemingway consiglia ai suoi lettori. Per Charles infatti, se si ragionasse come l’Hemingway si finirebbe per arrivare al suicidio, visto come sconfitta, perché….perchè non si accetta la vita per quella che è, con la possibilità più che remota, di poter fallire.
Siamo uomini, non macchine perfette. Siamo uomini e abbiamo pregi e difetti, accettiamo e accettiamoci cosi come siamo. Questo il grido di Bukowsky, certo affrontato con il suo enorme stile , a volte pesante ma struggente. Quello che oggi manca assolutamente, sono modelli ed esempi, di umiltà vera, riscontrabile nel sempre più egoismo ed egocentrismo, che la vita di ogni giorno ci ha fatti diventare. Qui nessuno sbaglia più, qui nessuno si prende una responsabilità. Serve tutto quindi, serve equilibrio.
E certo, chi non è moralista capisce che gli esseri umani necessitano anche di Bacco e Venere ma alla fine, forse il solo modo di mettere nel sacco la Morte è come dice Bukowski proprio l’arte, soprattutto quella della parola perché:
“il lampo abbagliante della parola batte la vita in vita, e la morte arriva troppo tardi per vincere davvero contro di te”. In chiusura una chiosa su quello che è stato un personaggio prorompente e fuori schema, nella cultura occidentale degli ultimi anni:
“Se non scrivo per una settimana mi ammalo, non riesco più’ a camminare, mi gira la testa, vomito, non mi alzo dal letto. Ho bisogno di scrivere a macchina. Se mi tagliassero le mani scriverei con i piedi. Sicché’ non ho mai scritto per i soldi, ho scritto per questo stimolo imbecille.” Grazie allora Charles, per questo grande , immenso stimolo ancora attuale.
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